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ScuolaOggi: O studente o apprendista, il "ma anche" non funziona neanche a destra

Fabrizio Dacrema

22/01/2010
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ScuolaOggi

La vicenda dell’emendamento, cosiddetto Cazzola ma in realtà dell’esecutivo, che introduce la possibilità di assolvere l’obbligo di istruzione nei percorsi di apprendistato è esemplarmente rivelatrice degli "animal spirits" che animano il governo Berlusconi. Un provvedimento ha senso innanzi tutto per la sua funzione di narrazione ideologica, per la capacità di suscitare consenso nel proprio blocco sociale di riferimento. E questo indipendentemente dalla sua effettiva praticabilità.

Gli autori dell’emendamento sanno di aver fatti il pieno di voti tra il cosiddetto popolo delle partite iva e tra i cittadini meno istruiti (dati attestati da tutti le indagini sul voto degli italiani) e ritengono, probabilmente non a torto, di ottenere il loro consenso sostenendo che tenere giovani migranti e svantaggiati italiani a scuola fino a 16 anni sono soldi e tempo buttati, meglio mandarli a lavorare così almeno fanno e imparano qualcosa di utile.
Solo in questo modo si spiega il continuo attacco del Governo contro una conquista di civiltà, come l’obbligo di istruzione di 10 anni, introdotto finalmente anche in Italia nel 2006. Già con la legge 133/2008 infatti era stato assestato un primo colpo: la possibilità di assolvere l’obbligo di istruzione anche nella formazione professionale regionale. Ora l’opera di demolizione continua con un emendamento ad un disegno di legge sul lavoro in esame alla Camera che introduce la possibilità di assolvere all’obbligo di istruzione nei percorsi di apprendistato.
I giovani che scelgono di assolvere l’obbligo di istruzione fuori dalla scuola acquisiranno quelle competenze chiave di cittadinanza che l’Unione Europea considera indispensabili per continuare ad apprendere per tutta la vita, essere lavoratori occupabili e cittadini attivi?
C’è da dubitarne se sceglieranno la formazione professionale regionale: la situazione dell’offerta formativa regionale è infatti estremamente diversificata, il Ministero dell’Istruzione ha oltretutto tagliato tutti i finanziamenti ai percorsi triennali sperimentali abbandonandoli in pratica a se stessi ovvero alle lunari distanze che rendono diseguali le diverse Regioni per capacità finanziaria e per quantità e qualità dell’offerta formativa.
Se invece dovesse essere effettivamente reso possibile l’assolvimento del’obbligo di istruzione nei percorsi di apprendistato la risposta è no. La ragioni di questo giudizio aprioristico deriva dalla natura dell’apprendistato che è un contratto di lavoro a causa mista, cioè un rapporto di lavoro vero e proprio, definito "a causa mista" perché finalizzato sia alla produzione che alla formazione. Il giovane in contratto di apprendistato lavora ed è retribuito, la norma in parte definisce condizioni e criteri per la partecipazione ad un percorso di formazione comunque finalizzato a conseguire una qualifica professionale e non le competenze chiave di cittadinanza.
Quando era stato regolamentato per l’assolvimento dell’obbligo formativo (legge 144/99) erano state fissate almeno 240 ore di formazione obbligatorie esterna da aggiungere alla formazione interna, per la quale le imprese con apprendisti dovevano assicurare anche un tutor formato e competente. Per queste ragioni pochissimi datori di lavoro hanno assunto giovani che, pur avendo assolto all’obbligo di istruzione (fino al 2006 era a 15 anni e dal 2006 a 16), dovevano ancora espletare l’obbligo formativo a 18 anni, trasformato poi dalla legge 53/2003 in diritto dovere. L’unica forma di apprendistato che gli imprenditori hanno utilizzato è quello professionalizzante, riservato ai giovani con più di 18 anni, e l’hanno trasformato in un comodo modo di ridurre il costo del lavoro, incassando la prevista decontribuzione ed evadendo in massa l’obbligo della formazione per gli apprendisti (solo il 19% degli apprendisti, secondo i dati Isfol, ha partecipato alla prevista attività formativa).
Un percorso di istruzione può ovviamente essere realizzato attraverso la metodologia educativa dell’alternanza scuola lavoro, come dimostrato da molte positive esperienze. Ma nessun percorso di istruzione può credibilmente essere realizzato nel corso di un rapporto di lavoro: quante sarebbero le ore di formazione esterna necessarie per garantire l’effettivo raggiungimento delle competenze di cittadinanza? Quante sarebbero le aziende disponibili ad assumere e retribuire un apprendista che sostanzialmente sarebbe uno studente pressoché a tempo pieno? Quante sono le imprese in possesso dei requisiti per essere considerate dotate di capacità formativa? Chi dovrebbe definire il profilo e le competenze in uscita per l’apprendista in obbligo di istruzione? Chi verificherebbe e certificherebbe la loro effettiva acquisizione?
In attesa di qualche lume, occorre aggiungere che, forse accecato dal furore ideologico, il presentatore dell’emendamento ha ottenuto l’approvazione di una norma non solo sbagliata, ma anche inattuabile: non ha considerato che la legge 296/2006 non si è limitata a innalzare a 10 anni l’obbligo di istruzione, ma ha contemporaneamente elevato a 16 anni l’età minima di accesso al lavoro. Poiché l’apprendistato è un contratto di lavoro, l’accesso ai percorsi formativi da esso previsti rimane possibile solo dopo aver compiuto 16 anni. Tanto rumore per nulla oppure Sacconi e Gelmini ci stupiranno ancora?
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