ScuolaOggi: Modelli organizzativi e offerta formativa delle scuole
Il tempo delle iscrizioni alle future classi prime si sta avvicinando e dirigenti scolastici e collegi docenti si pongono il problema di quali modelli orari e organizzativi presentare ai genitori
di Gianni Gandola e Federico Niccoli |
Il tempo delle iscrizioni alle future classi prime si sta avvicinando e dirigenti scolastici e collegi docenti si pongono il problema di quali modelli orari e organizzativi presentare ai genitori per il prossimo anno scolastico. La questione è complicata dal fatto che siamo nel bel mezzo di una “riforma” avviata, la cosiddetta riforma Gelmini, i cui contorni però sono tutt’altro che definiti, in particolare per quanto riguarda la scuola primaria ove si prospetta un vero e proprio stravolgimento del suo assetto di base. Cerchiamo di fare allora il punto della situazione, sottolineando quel che c’è – sul piano normativo – e quel che non c’è ancora ma che ci potrebbe/dovrebbe essere. Quindi, quali sono gli spazi di movimento consentiti nell’attuale contesto legislativo.
Il quadro normativo.
Innanzi tutto abbiamo due leggi formalmente approvate dal parlamento. La prima è la legge n.133 del 6 agosto 2008 (conversione del decreto legge n.112) che riguarda il contenimento della spesa pubblica. L’art.64 - che stabilisce l’obiettivo primario del risparmio di 8 miliardi di euro nel settore dell’istruzione - prevede che il Ministro dell’Istruzione e il Ministro dell’Economia congiuntamente predispongano un Piano programmatico di interventi di razionalizzazione (comma 3). Questo Piano è stato presentato in data 26 settembre. Per l’attuazione dello stesso dovranno essere adottati uno o più regolamenti (comma 4, art.64).
Abbiamo poi la legge n.169 del 30 ottobre 2008 (conversione del Dl n.137) che – sempre nell’ambito degli obiettivi di razionalizzazione di cui all’art.64 - all’art.4 prevede ulteriormente la reintroduzione dell’insegnante unico nella scuola primaria. Quindi la fine dell’attuale organizzazione modulare. Nello stesso articolo si dice che nei regolamenti si terrà conto “delle esigenze delle famiglie di una più ampia articolazione del tempo scuola”.
Il Piano programmatico - che quindi può essere considerato come un corollario/allegato della legge - riafferma che va privilegiata l’attivazione di classi con il maestro unico. Indica quindi altre opzioni organizzative possibili, mutuate dal decreto legislativo n.59/2004 (riforma Moratti): la prima di 27 ore, la seconda di 30 ore, comprensiva dell’orario opzionale facoltativo (sempre
“con l’introduzione del maestro prevalente e nei limiti dell’organico assegnato, integrabile con le risorse disponibili presso le scuole”).
“Potrà altresì aversi – si dice sempre nel Piano
– ai sensi del Dl 59/2004, una estensione delle ore di lezione pari ad un massimo di 10 ore settimanali, comprensive della mensa”. Quindi il “tempo pieno” come è stato detto, in maniera genericamente ambigua.
Perché ambigua? Perché mentre è chiaro che le 27 e le 30 ore altro non sono che il prolungamento orario del tempo scuola base di 24 ore e del maestro unico con ore aggiuntive, effettuate dallo stesso insegnante o da altri docenti della scuola (in tal caso il maestro diventerebbe “prevalente”) e a carico del fondo di istituto, sul tempo scuola delle 40 ore e/o tempo pieno si addensano plumbee nuvole di indeterminatezza.
Logica vorrebbe infatti che anche le 40 ore - rispettando coerentemente il modello pedagogico dell’insegnante unico - altro non fossero (anch’esse) che il tempo base delle 24 ore più le restanti ore aggiuntive a carico di altri docenti. E però è pur vero che il tempo pieno (come su queste pagine abbiamo ripetuto fino alla noia) dalla legge n.820 del 1971 alla legge n.176 del settembre 2007, prevede sì 40 ore di lezione (mensa inclusa) ma anche due insegnanti contitolari assegnati alla classe, con le relative ore di compresenza settimanale.
E proprio qui infatti si è accentrata la discussione, tutt’altro che risolta. Se da un lato occorre riconoscere che un mero tempo scuola di 40 ore “comunque” finirebbe per accontentare le esigenze di tipo “assistenziale” delle famiglie, è pur vero che molti genitori hanno capito bene la differenza tra questo orario scolastico e il tempo pieno vero e proprio, innanzi tutto sul piano qualitativo. In questo senso si è mossa l’opposizione. Una mozione presentata dall’on. Manuela Ghizzoni, PD, in sede di Commissione cultura della Camera fa esplicito riferimento al tempo pieno classico (ex legge 820/71 e legge 176/2007) con le sue peculiarità organizzative (intervento coordinato dei due docenti contitolari, momenti essenziali di compresenza, progetto educativo unitario) chiedendo praticamente al governo di salvaguardare
questo modello
organizzativo e didattico.
Questi rilievi – anche sulla spinta della mobilitazione di questi mesi nelle scuole - sembrano accolti dalla presidente della Commissione, on. Aprea, che nella sua proposta di parere favorevole al Piano programmatico pone alcune “condizioni”. Fra queste, appunto, il fatto che
“alle classi funzionanti a tempo pieno vengano assegnati due insegnanti per classe”.
Ma l’ambiguità di fondo è tutt’altro che risolta, allorchè nella relazione presentata dal governo, da parte del sottosegretario on. Pizza, si dice che il tempo pieno viene confermato nelle consistenze di organico attuali, con possibilità di ampliamento
“utilizzando le economie derivanti dalla riduzione o eliminazione delle compresenze”. Ancora una volta dunque un tempo pieno “zoppo”, privato delle ore di compresenza e quindi senza più la piena titolarità dei due docenti nella classe.
Non ci dilunghiamo ulteriormente su aspetti che abbiamo abbondantemente già trattato in precedenti articoli. Aggiungiamo solo che non crediamo che i regolamenti attuativi, senza i quali le disposizioni di legge non sono attuabili, apporteranno sostanziali elementi di chiarimento. Almeno a giudicare dalle bozze in circolazione. Pensiamo piuttosto che confermeranno quanto già scritto nel Piano programmatico e cioè che per la scuola primaria si prospetta un ventaglio di possibili opzioni: le 24 ore (modello base), le 27 ore, le 30 ore e le 40 ore. Questa questione (40 ore di scuola o tempo pieno) si sbloccherà in maniera inequivoca
soltanto quando verranno definiti gli organici docenti
a livello regionale (e quindi le dotazioni per ciascuna provincia) e verranno assegnati gli organici alle scuole (quanti docenti in rapporto alle classi). Solo allora il rebus potrà dirsi definitivamente risolto.
Ma nel frattempo, che fare? Cosa possono e/o devono fare i dirigenti scolastici e le scuole?
Le opportunità dell’autonomia scolastica
Bisognerà utilizzare le opportunità dell’autonomia per incrociare tutte le possibili linee di resistenza all’inaccettabile impianto tremontiano-gelminiano sia sul piano strettamente giuridico-istituzionale sia sul piano della “tenuta” di un forte movimento di contrasto in tutte le sedi e con tutte le forme possibili.
“Nello Stato costituzionale l’ordinamento vive non solo di norme, ma anche di apparati finalizzati alla garanzia di diritti fondamentali. In tema di istruzione, poi, la salvaguardia di tale dimensione è imposta da valori costituzionali incomprimibili”
Questa limpida “massima” della Corte Costituzionale esprime, come meglio non si potrebbe dire, la esigenza , per gli operatori della scuola, di partire certo da un approccio giuridico all’interpretazione delle norme ma non di restarne prigionieri, perché debbono essere contestualmente utilizzate altre chiavi di lettura di natura pedagogica e sociologica.
Dovremo sempre, in ogni concreta azione, ricercare tutte le interpretazioni possibili e tutte le modalità di attuazione della norma sostenibili sul piano della legittimità ( in primis della legittimità costituzionale per la salvaguardia di valori costituzionali incomprimibili).
Per prima cosa, le istituzioni scolastiche debbono contrastare efficacemente il ruolo, decisamente inappropriato, attribuito alla famiglia. Resta confermato, nell’attuale impianto gelminiano, l’idea di una scuola come puro servizio alla persona- ovvero alle famiglie- annullando il senso e la funzione del sistema educativo pubblico per ridurlo ad una mera contrattazione tra le parti ,che rischia di essere interpretato in termini di differenziazione non solo dei percorsi, ma anche degli esiti formativi. Questa idea deve essere combattuta da chi continua a credere nei valori e nella funzione di una scuola pubblica di qualità. E’ la scuola che deve presentare al più presto possibile il proprio
piano dell’offerta formativa
(sia per la scuola primaria che per quella secondaria di 1° grado) senza inventarsi clamorose novità, ma difendendo i modelli consolidati da anni, che non possono essere cancellati dallo spezzatino pedagogico che risulterebbe dalle varie opzioni dei genitori. In particolare, debbono essere illustrate, all’interno del POF, le concrete modalità operative e le condizioni organizzative di utilizzo delle compresenze per dimostrarne l’assoluta inderogabilità in una scuola che voglia affrontare i problemi legati al recupero, alla didattica laboratoriale ed a tutte quelle attività che sono essenziali per uno sviluppo equilibrato della personalità di tutti e di ciascun alunno.
Bisognerà tener presente, senza timidezze di sorta, che le scuole sono accomunate allo Stato da una
stessa destinazione di scopo,
che è il diritto del discente ad una prestazione qualificata degli operatori scolastici per il conseguimento dei livelli essenziali delle prestazioni determinate dal Miur. Ma esse agiscono con
propri, distinti ed esclusivi poteri di autoregolamentazione.
Più esplicitamente : nelle materie che riguardano la definizione di tutte le forme di
flessibilità didattica, di impiego dei docenti, di autoorganizzazione interna
i poteri delle istituzioni scolastiche sono esclusivi ed hanno come unico limite il rispetto delle leggi generali . E, pertanto, una volta che l’Amministrazione Centrale ha definito quasi tutto il definibile (gli obiettivi generali, le competenze attese per gli alunni delle scuole della Repubblica, le risorse umane e materiali da assegnare alle scuole),
il come realizzare gli obiettivi e i risultati attesi e il come impiegare le risorse assegnate è competenza esclusiva e inalienabile delle singole istituzioni scolastiche.
In questa fase il ruolo più delicato è quello dei dirigenti scolastici, che costituiscono certamente l’anello debole della catena, stretti come sono dalle pressioni esplicite e “cordiali” dei piani alti dell’Amministrazione scolastica per un’applicazione codina della “riforma” e dall’altra dalle giustissime rivendicazioni dei collegi dei docenti.
Bisogna sempre ricordare che il dirigente scolastico è
un funzionario repubblicano, non un funzionario governativo.
E’ certamente un dipendente statale, ha anche, per certi aspetti, subordinazione gerarchica rispetto ai dirigenti regionali e centrali , ma non ha un rapporto di “immedesimazione organica” simile o assimilabile al personale inquadrato nella dirigenza amministrativa. Occorre sempre far riferimento all'atto costitutivo della qualifica e, quindi, rammentare che si tratta di una specifica forma di dirigenza: ""Il dirigente scolastico organizza l'attività scolastica secondo criteri di efficienza e di efficacia formativa...nel rispetto delle competenze degli organi collegiali scolastici"". Anche in questo caso si tratta di sentieri stretti, ma che debbono essere percorsi senza tentennamenti. Il dirigente scolastico è, soprattutto, il rappresentante legale dell'istituzione scolastica, che ha un suo potere specifico di autoorganizzazione. Da ciò discende che il dirigente non deve entrare in rotta di collisione né con le leggi né con
eventuali determinazioni degli organi collegiali in merito a questioni di autoorganizzazione interna idonee a realizzare quei famosi criteri di efficienza ed efficacia formativa.
Soprattutto in questo momento particolare, utilizzando la pluralità di approcci giuridici e psicopedagogici il dirigente deve rammentare che è buona cosa appellarsi ad una costante giurisprudenza costituzionale che raccomanda di adottare l’applicazione più coerente con i principi costituzionali. Sono aumentati i poteri e le responsabilità dei dirigenti scolastici e delle istituzioni scolastiche. Occorre ricordare che responsabilità, in senso etimologico, significa “trovare risposte abili”
Il dirigente deve presentare ai genitori il piano dell’offerta formativa e parlare il linguaggio della verità. Deve spiegare ai genitori che la scuola difenderà in tutti i modi leciti possibili la propria identità istituzionale e le linee di politica scolastica identificate nel POF. Ma deve chiedere anche esplicitamente ai genitori il sostegno attivo alle scelte della scuola di qualità che essi stessi hanno sottoscritto per i loro figli.
La scuola, pur dotata di ampia autonomia didattica ed organizzativa, non ha in mano la leva fondamentale degli organici. Ed in ogni caso, però, ad organici definiti la Scuola sarà determinatissima ad usare tutte le forme di flessibilità previste dalla legge sull’autonomia delle istituzioni scolastiche.
Bisogna, però, non accontentarsi da subito di scelte minimalistiche. Bisognerà chiedere e lottare per ottenere tutto quello che è necessario per l’efficacia e l’efficienza dell’offerta formativa, tenendo presente – ce lo insegna la storia degli ultimi anni - che le stesse scelte dell’Amministrazione Scolastica in ordine alla determinazione degli organici saranno determinate dalla fermezza delle scuole nella difesa del proprio impianto formativo e dall’ampiezza del movimento di lotta che si determinerà nella società civile.
Gianni Gandola e Federico Niccoli
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