ScuolaOggi: La scuola non è uno sport
di Maurizio Titiricco
La scuola non é uno sport! di Maurizio Tiriticco |
In La scuola e il merito, il vizio di mettere da parte il buon senso (“Il Messaggero” del 18 u. s.) Giorgio Israel ricorda la recente decisione del Comitato Olimpico di non adottare eliminatorie troppo rigorose in vista delle prossime Olimpiadi, in modo da favorire la più larga partecipazione degli atleti ed evitare che prevalga una “cultura della discriminazione”. Ovviamente, si tratta di un ragionamento non estensibile ad una gara sportiva tout court, e giustamente, altrimenti sarebbe uno noia mortale se – e siamo d’accordo con Israel – al termine di una combattuta competizione sportiva, non avessimo un vincitore. Quando mai un campionato di calcio senza lo scudetto! O un giro d’Italia senza la maglia rosa! Sembra però, continua Israel, che “anche i fautori del più sfrenato spirito concorrenziale…, quando si parla di scuola, ragionano sulla base di un’immagine fuori del mondo, in cui tutti debbono diventare capaci allo stesso livello”. Ed ancora Israel esulta quando rileva che le bocciature di quest’anno sono in netta ripresa rispetto agli scorsi anni! E poi giù con la stoccata finale contro i fantasmi che angosciano le sue notti insonni! “In questi primi sussulti di serietà scolastica i veri bocciati non sono gli studenti ma quei riformatori, didatti e pedagoghi, che hanno ridotto la scuola in queste condizioni e che ora si stracciano le vesti vedendo messe in discussione le loro fallimentari ricette”. Insomma, nulla di nuovo sotto il sole… Israeliano! Così il buon senso degli esperti del Comitato Olimpico non piace al nostro Israel a cui speriamo che la “sorte” non abbia regalato un figlio incapace e de-meritevole, aggettivi molto familiari al Nostro, ma che, com’è noto, non fanno parte del vocabolario di noi ignoranti pedagoghi! Ma torniamo al parallelo sport-scuola! Sappiamo che la scuola è una palestra, ma sappiamo anche che non è la palestra dove si gonfiano i muscoli usando anche copiosi dopanti, ma quella in cui tutti – dico tutti – sono guidati ad allenare corpo e mente al fine di realizzare il meglio delle proprie capacità. Si tratta di una palestra aperta a tutti i nuovi nati in cui ci sono – o dovrebbero esserci – più “allenatori” e più “attrezzi”, diversi per funzioni e finalità. Volendo essere più precisi, si tratta di un luogo attrezzato e articolato dove ciascun soggetto, dai 6 ai 16 anni – almeno nel nostro Paese – sia guidato e sostenuto a realizzare il meglio di sé e ad acquisire quelle competenze che ciascuno deve possedere per accedere con successo in una società ed in un mondo che giorno dopo giorno si fanno sempre più complicati. Ebbene, questo decennio obbligatorio o, se è più carina come espressione, di diritto/dovere all’istruzione, può essere forse un campo sportivo dove vince il migliore? O dove tutti, invece, possano vincere, ciascuno con le sue migliori peculiarità! Questo grado di scuola non può essere un’arena dove i migliori battono i peggiori! Perché, se così fosse, che cosa ne faremmo dei peggiori? Questo interrogativo il didatta pedagogo se lo pone, anche perché è un “animale” politico e sa che una società non è giusta e non è democratica se incentiva i “migliori” a danno dei “peggiori”! Qualcuno nel secolo scorso pensò bene che milioni di peggiori dovessero finire nelle camere a gas per permettere ai migliori di godere appieno del loro privilegiato status razziale! Dopo quella terribile esperienza altri invece, nell’immediato dopoguerra, ebbero il coraggio di sognare una Società aperta ed inclusiva, che si assumesse il carico di educare tutti e a tutto campo, e ciò sulla scorta di impegni politici forti, sanciti dalla Dichiarazione universale dei diritti dell’uomo e dalla nostra stessa Carta costituzionale, ambedue del 1948. Don Milani operò negli anni Sessanta! E con la sua azione lanciò una difficile scommessa – l’omonimo libro di Raffaele Laporta è del ’71 – quella di ipotizzare una scuola per tutti in una società che fosse per sua natura educante. Le scommesse sono sempre delle sfide, che si vincono nella misura in cui ci si crede, ed in epoche in cui non siano gli Israel gli imbonitori dei nostri ministri! Ma Don Lorenzo e Raffaele sono i didatti pedagoghi sonoramente bocciati, sì, ma da una classe dirigente che ha paura di promuovere e non vuole farlo, anche perché soprattutto… costa troppo! Allora ad Israel e a tutti coloro che la pensano come lui domandiamo: la scuola, e soprattutto quella dell’obbligo, deve proporsi o no una inclusione culturale e sociale che valga per tutti? O deve essere l’arengo in cui si impara fin da piccoli a fregare i più deboli? Che Israel e coloro che la pensano come lui riflettano almeno sul fatto che solo dopo i dieci anni di obbligo può avere inizio la partita, quella della vita professionale e sociale in cui le peculiarità di ciascuno assumono quei diversi aspetti di cui un assetto sociale necessita. Abbiamo bisogno del cuoco e del chirurgo, ma – e questo è il punto discriminante – chi diventa cuoco è vincitore alla stessa stregua di chi diventa chirurgo! Perché in una società democratica non ci sono competenze “migliori” e competenze “di risulta”! O meglio… non ci dovrebbero essere! Ma ci saranno, finché avremo ministri ispirati da Israel! Roma, 19 luglio 2009 Maurizio Tiriticco |