ScuolaOggi: La scuola dell’infanzia e il teorema del maestro unico
Nulla per la scuola dell’infanzia?
di Red Rom |
E’ incredibile la leggerezza o l’incoscienza con cui il Ministro dell’Istruzione (o chi per Lei) sta procedendo alla destrutturazione della nostra scuola, a partire da quelle più amate dai genitori, apprezzate dall’opinione pubblica e accreditate dalla ricerca pedagogica non solo italiana. Ci riferiamo in particolare alla scuola dell’infanzia ed alla scuola elementare. Della scuola primaria molto si è detto e scritto in questi giorni, anche sull’onda della questione del maestro unico che tiene banco sulle prime pagine dei giornali, a volte con gigantesche mistificazioni. Quasi nulla invece si dice della scuola dell’infanzia, il nostro “gioiello di famiglia”, considerata al riparo da ogni incursione corsara dei novelli censori della spesa pubblica. E le maestre implorano di non parlarne, per non finire anch’esse nel tritacarne delle manovre finanziarie. E dire che proprio in questi mesi si dovrebbe dire molto dei suoi 40 anni (portati bene!), della legge istitutiva, la mitica n. 444 del 18-3-1968. Già, il vituperato 1968, il nodo di tutti i mali della scuola italiana: giusto 40 anni da cancellare con vigorosi “punto e a capo”.
Ma non è così, neppure per la scuola più amata dagli italiani. Dalle prime anticipazioni sul piano di attuazione della legge 133/2008 (che conferma i contenuti del decreto legge 112/2008) risulta un’inaccettabile riduzione del servizio educativo della scuola dell’infanzia al solo orario antimeridiano (con un solo insegnante), l’aumento del numero di bambini per sezione, la “condanna” di ogni forma di compresenza tra i docenti ed il ripristino di forme selvagge di anticipo scolastico. Ci sono smentite autorevoli (e vogliamo considerarle veritiere), ma resto la preoccupazione che la scuola dell’infanzia possa diventare oggetto di manomissioni al suo funzionamento, altrettanto gravi di quelle che si preannunciano per la scuola elementare.
Il fatto è che i decreti estivi, mai pubblicamente discussi, elaborati senza nessun confronto con le parti sociali, contengono una strabordante delega al Governo per intervenire sull’ordinamento della scuola, nessun grado escluso, mediante semplici misure amministrative (regolamenti, decreti, ecc.). La ratio di queste “riforme” è contenuta nel piano di attuazione che si sta elaborando in questi giorni nelle stanze del Ministero.
La realtà “sociale” della scuola di base
Il cardine del progetto sembra essere la riduzione dei tempi della scuola, a tutti i livelli, e della conseguente riduzione del personale docente (questo è l’obiettivo dell’intera manovra). Questo a prescindere da una attenta considerazione del funzionamento attuale delle scuole dell’infanzia e delle scuole elementari. Ad esempio, nella scuola elementare del D.lvo 59/2004, che si vorrebbe ora ripristinare, il modello “secco” delle 27 ore era scelto da meno del 10% dei genitori, che oltre il 50% optava per una settimana tra le 27 e le 30 ore, che oltre al 25% di tempo pieno implica una settimana di 40 ore, che –infine- un buon quarto delle scuole elementari funziona tra le 30 e le 35 ore con rientri pomeridiani. Ma a quale scuola si pensa? Si immagina forse che tutto questo sia il frutto di qualche vacuo pedagogista? Non si pensa che questa scuola è cambiata perché è un grande fenomeno sociale, costruito da migliaia di genitori, insegnanti, enti locali, comunità? E si ricordano gli estensori del decreto-legge 137/08 che ad una precisa domanda sul gradimento del maestro unico o del team (avanzata in occasione degli Stati Generali del 2001) oltre il 60% dei genitori si espresse a favore del team docente nella scuola elementare? Basta consultare gli “Annali della pubblica istruzione” dedicati ai lavori preparatori delle Riforma Moratti (allora, almeno, ci furono dei lavori preparatori….).
Cultura dell’infanzia e scelte politico-amministrative
Ma torniamo alla scuola dell’infanzia e all’incultura che sembra trapelare dalle pagine ovattate del piano di attuazione dei decreti estivi.
Lo sanno gli estensori del Piano che le scuole dell’infanzia (statali) funzionano mediamente per 40 ore settimanali, nel 90 % circa dei casi? Perché allora suggerire una consistente riduzione dei tempi. Non sarebbe più opportuno cercare di qualificare quei tempi in senso educativo?
Lo sanno che l’orario ridotto al turno antimeridiano è residuale nelle aree più deboli del Paese, là ove non sono presenti strutture e servizi adeguati? Perché, allora, prendere le misure sulla parte più debole della nostra scuola, se puntiamo all’eccellenza, alle buone pratiche?
Lo sanno che la doppia figura dell’insegnante nella scuola statale è un dato consolidato dall’ormai lontano 1978 (legge 463) ed ha consentito a questa scuola di crescere in qualità, competenza, affidabilità?
Lo sanno che le fasce di compresenza dei due docenti, purtroppo limitate a poche ore al giorno, sono indispensabili per costruire un ambiente educativo adeguato all’età dei bambini dai 3 ai 6 anni (che si deve basare su relazioni stabili, su attenzioni e cure affettive, su una didattica a piccoli gruppi, sull’ascolto prima ancora che sulla lezione?).
Lo sanno che il numero medio di bambini per sezioni è già oggi il più alto tra tutti i livelli scolastici, oltre i 23? Perché allora insistere su un ulteriore aumento, sulla proposta di inserimento di bambini al di sotto dei tre anni? Un conto sono le sezioni primavera come ambiente “dedicato” e “pensato” per bambini dai 2 ai 3 anni, con risorse adeguate, un conto è l’anticipo, l’iscrizione fuori età, la deregulation totale di una istituzione scolastica.
Il teorema del maestro unico
Non vorremmo che interventi incauti sulla scuola dell’infanzia fossero unicamente dettati dall’esigenza di dimostrare il teorema del maestro unico, dell’unica figura di riferimento necessaria per accompagnare la vita (la vita?) dei bambini dai 6 ai 10 anni. Che eresia mai sarebbe consentire impunemente a due figure di insegnanti di operare con bambini dai 3 ai 6 anni, quando poi si chiede di blindare decisamente il maestro unico a 6 anni.
Ma lo sanno gli estensori del Piano che nelle “mitiche” scuole dell’infanzia di Reggio Emilia, quelle che ci vengono invidiate e copiate da tutto il mondo, i bambini di una sezione usufruiscono di due figure stabili di insegnanti, di una dada (bambinaia) che si prende cura di bisogni “primari” (riposo, alimentazione, pulizia, sicurezza) fondamentali a questa età? Che ogni sezioni agisce una figura di “atelierista” per sollecitare i tanti linguaggi dei bambini (arte, musica, creatività…). Forse quelle figure che operano in equipe rappresentano un disordine esistenziale per quei bambini o non sono piuttosto un motivo di arricchimento e di aiuto alla crescita, oltre che un fattore di protezione e di sicurezza?
Riteniamo che l’idea che ispira il progetto di riorganizzazione della scuola dell’infanzia statale (che avrà ripercussioni sull’intero settore delle scuole dell’infanzia paritarie, comunali e private):
- sia lontanissima dalle esigenze e dai bisogni delle nostre famiglie e dei nostri territori;
- stravolga la qualità educativa di un modello pedagogico che è stato costruito con grossi sacrifici ed impegni negli ultimi 40 anni;
- metta in crisi le caratteristiche salienti della scuola dell’infanzia, che si basa su tempi distesi per i bambini, i servizi di refezione scolastica, la presenza di due docenti di riferimento per ogni sezione, il ruolo “educativo” del personale di supporto;
- produca un impoverimento di opportunità educative per i bambini ed anzi, costituisca un rischio per il loro benessere e la loro sicurezza (stante la previsione di un aumento del numero dei bambini, dell’inserimento di bambini fuori età, della riduzione del personale docente e non docente).
Se questa fosse la proposta che scaturisce dal piano di attuazione, essa dovrebbe essere dichiarata IRRICEVIBILE, perché mette a repentaglio i livelli di qualità raggiunti dai servizi educativi per l’infanzia e costituisce una ingiusta punizione verso tutti coloro (dagli insegnanti ai dirigenti, agli amministratori, ai gestori) che si sono impegnati per affermare nei fatti una cultura a favore dell’infanzia attraverso l’or |