ScuolaOggi: Grazie Giulio
Fabrizio Dacrema
Grazie alla manovra economica predisposta da Giulio Tremonti, il disegno del governo sulla scuola ora è chiaro. Improvvisamente la cortina fumogena che si era creata intorno alle buone intenzioni manifestate dal Ministro Gelmini è svanita e con essa la melassa fatta di aperture e ricerca di più ampie convergenze.
Sono le cifre a parlare, 150.000 posti in meno in tre anni: questo è il primo ed unico punto fermo degli interventi governativi sulla scuola. La scuola deve cambiare per funzionare con circa il 20% in meno dell’attuale personale e solo il 30% delle risorse risparmiate con questa cura da cavallo sarà reinvestita per migliorare la qualità attraverso aumenti alla professionalità degli insegnanti.
Tremonti ovviamente non scherza e a riprova di questo ha piazzato ben tre forme di controllo per conseguire i risparmi previsti: i dirigenti Miur risponderanno con carriera e stipendi del mancato raggiungimento dell’obiettivo di riduzione degli organici, è istituito un apposito comitato tecnico di controllo interministeriale sull’attuazione dei tagli e, comunque, reintroduce la clausola di salvaguardia (se il Miur non taglia tutti i posti previsti avrà comunque una corrispondente riduzione dei finanziamenti) … manca solo l’ordine impartito dalla polizia di Chicago per catturare i Blues Brothers “è ammessa ogni forma di violenza, anche quella non necessaria”.
Il disegno è lo stesso del 2001: impoverire e indebolire la scuola pubblica per creare la spinta ad uscirne, individuare le risorse (buono scuola) da trasferire alle famiglie per favorire l’accesso a percorsi privati, ridurre la scuola pubblica alla stessa funzione della tessera di povertà, un servizio residuale e compassionevole riservato agli svantaggiati.
Non siamo di fronte ad una forma di riformismo, sia pur orientata a destra, animata da buon senso e pragmatismo e aperta a soluzioni condivise. La manovra Tremonti è massimalista, ideologica e autoritaria, come è messo in luce dalle sue caratteristiche principali: il metodo (prima stabilisce unilateralmente i tagli e poi ad essi saranno finalizzati i cambiamenti), l’entità (sottrae in tre anni oltre cinque miliardi di euro all’istruzione pubblica la cui spesa è già inferiore alla media Ocse), l’obiettivo (non riallocare le risorse per spendere meglio e innalzare la qualità ma impoverire il sistema pubblico).
Anche l’impegno a destinare nel 2010 il 30% dei risparmi derivanti dai tagli per le carriere professionali degli insegnanti, unico zuccherino nel mare dei veleni, in realtà è una finzione perché, con l’inflazione programmata fissata da Tremonti per i contratti all’1,7-1,5 e un’ inflazione attesa di oltre il doppio (oggi è al 3,6), gli stipendi degli insegnanti, già da fame secondo Gelmini, fra due anni saranno sotto la soglia di sopravvivenza. Se le cose andranno così, non è difficile prevedere la fine di quelle risorse accantonate a suon di tagli: saranno prese d’assalto come i forni ai tempi della peste manzoniana per cercare di recuperare il potere di acquisto. Altro che carriere professionali e incentivi al merito.
Con la manovra Tremonti non salta soltanto il principale e più accattivante punto di apertura della Gelmini (adeguamento degli stipendi degli insegnanti alla media Ocse), ma molte delle aperture del suo discorso alla Camera si vanificano.
Il Ministro dell’Istruzione sottolinea il livello di eccellenza della scuola elementare italiana, sempre ai primi posti delle classifiche internazionali, ma il Ministro dell’Economia decide, per ridurre gli insegnanti, di cambiarne l’organizzazione didattica, immaginiamo per tornare più o meno al maestro unico.
Il Ministro dell’Istruzione immagina di aprire un confronto con il mondo della scuola e di ricercare ampie convergenze nel paese sui cambiamenti necessari, ma il Ministro dell’Economia ha già deciso che persino tutti gli attuali curricoli devono essere alleggeriti per ridurre gli insegnanti. Se il riferimento è a quanto giustamente previsto nella riforma dell’istruzione tecnica e professionale fatta dal Governo Prodi, non serve un nuovo specifico comma della Finanziaria, è sufficiente attuare i decreti previsti.
Il Ministro dell’Istruzione afferma che non vuole azzerare le cose buone fatte dal precedente governo, ma il Ministro dell’Economia decide la completa revisione organizzativa e didattica (leggi taglio di insegnanti) dei nascenti centri dell’istruzione degli adulti, una riforma varata dal precedente governo per cercare di elevare i bassissimi livelli di istruzione degli adulti italiani (Tremonti deve aver visto qualche dato sulle analisi del voto italiano: meno sono istruiti e più votano a destra).
Infine, a fronte di altisonanti proclami federalistici e dell’attribuzione alle Regioni dal settembre 2009 (vedi Masterplan per l’attuazione del nuovo Titolo V della Costituzione) della programmazione dell’offerta formativa, lo Stato centrale si arroga competenze di revisione degli assetti organizzativi e didattici, dei criteri di formazione delle classi, dei criteri e dei parametri per la formazione degli organici. Insomma, continua il decisionismo ministeriale che invade il campo dell’autonomia delle istituzioni scolastiche in materia di organizzazione didattica e delle Regioni in materia di distribuzione delle risorse, organizzazione e programmazione.
È vero quel che ha detto il Ministro alla Camera: riforme e innovazioni possono realizzarsi non solo e non sempre spendendo di più, ma anche spendendo meglio, riqualificando la spesa attuale e riallocando in modo più efficace le risorse esistenti.
Questi processi virtuosi sono possibili se si condivide un programma di interventi per migliorare la qualità della scuola, se si valorizzano l’autonomia scolastica e gli operatori che si impegnano nella direzione del cambiamento, se si fa leva sulla maggiore capacità delle autonomie locali di programmare e gestire le risorse in modo mirato e responsabile. La manovra del governo va in direzione opposta.
È evidente che una legislatura di dialogo, confronto e ampie convergenze è possibile solo correggendo profondamente il piano Tremonti. Un ministro dell’istruzione commissariato e il mondo della scuola con la pistola dei tagli puntata alla tempia promettono solo un’altra legislatura persa sulle barricate.