ScuolaOggi: Gelmini non fa surf
di Fabrizio Dacrema
Non c’è Gianni Letta che tenga. I due regolamenti approvati dal Consiglio dei Ministri del 18 dicembre dimostrano l’incompatibilità dei tagli contenuti nella legge 133 con le parole “intesa”, “confronto” o peggio ancora “dialogo”.
L’anima democristiana del berlusconismo ha cercato di contenere l’onda o almeno di infrangerla, ma niente da fare, Gelmini non fa surf e con l’onda non si mette d’accordo.
Scioperi, proteste e manifestazioni, lo straordinario movimento che ha unificato il mondo della scuola ha colpito nel segno e l’intero governo ha accusato il colpo. Sono seguite un insieme di mosse contraddittorie e confuse, non una marcia indietro, ma un segnale di difficoltà e un’apertura di varchi nello schieramento di maggioranza. Anche i fatti di Atene, insieme ai primi seri effetti della crisi economico-finanziaria, hanno contribuito a dare vita alla mediazione Letta. Un tentativo cui non è però corrisposta la disponibilità ad aprire i cordoni della borsa da parte di Giulio Tremonti, il quale è ben consapevole di averli già troppo allentati per l’Ici, l’Alitalia e l’evasione fiscale.
Restano così intatti i tagli per l’Università e la connessa prospettiva di privatizzazione del sistema attraverso le fondazioni, restano i tagli della scuola e si concentrano per ora sul primo ciclo e in particolare sulla scuola primaria.
Dopo il rinvio della riforma della secondaria, la rinuncia ad imporre l’insegnate unico nella scuola dell’infanzia e il passo indietro sul commissariamento delle Regioni sulla rete scolastica, per la Gelmini la strada è diventata più stretta e più in salita, ma non può fare marcia indietro: i tagli sono lì e da qualche parte si devono pur fare. Così la scuola primaria, dopo la mediazione Letta, è diventata l’agnello sacrificale.
Il giovane ministro in questo improbo compito non è nemmeno assistito dalla fortuna, non aveva ancora finito di confermare la sua fede nel maestro unico o prevalente che esce un’altra indagine internazionale a conferma degli ottimi risultati della scuola primaria italiana dei moduli e del tempo pieno anche in matematica e scienze.
Colpisce anche, e forse preoccupa, che il Ministro annunci che "Per la prima volta in Italia dopo la Riforma Gentile del 1923, si mette mano alla scuola con una riforma organica di tutti i cicli”, il tutto dopo aver presentato al Consiglio dei Ministri una serie di misure messe a punto per ridurre la spesa di una cifra pari a quella scritta nella legge finanziaria, con l’unica eccezione della riforma dell’istruzione tecnica e professionale approvata e avviata dal governo precedente.
L’afflato “riformatore” del novello Gentile è quindi ora concentrato nel devastare la scuola elementare perché è soprattutto da lì che può ricavare per il prossimo anno scolastico una cifra di tagli il più vicino possibile a quella ordinata da Tremonti. Cercherà anche di seguire le raccomandazioni dell’altro tutor, Gianni Letta, circa l’opportunità di evitare il ritorno in piazza di insegnanti, genitori e studenti, ma, visti i regolamenti approvati, questa seconda possibilità appare piuttosto remota.
Infatti i genitori potranno scegliere tra diverse articolazioni di orari settimanali (24, 27, 30, 40), ma nella grande maggioranza dei casi la loro richiesta risulterà frustrata: prevarranno le richieste di 30 e 40 ore e le disponibilità di organico saranno per sole 27 senza compresenze.
Chiederanno la conferma del tempo pieno e si troveranno nelle classi prime il maestro prevalente tuttologo e in tutte le altre classi 40 ore di lezione senza percorsi di recupero, laboratori e classi aperte.
Comincerà a partire in tutte le classi prime una sorta di modello didattico di Stato, il maestro unico o prevalente in sostituzione del modello progettato oggi dalle scuole fondato sul gruppo docente corresponsabile, la specializzazione degli insegnanti per ambiti disciplinari, la programmazione unitaria, i tempi distesi, le compresenze per individualizzare/arricchire i percorsi. Si tratta di una palese invasione di campo dell’autonomia scolastica sulla base della quale (vedi dpr 275/99) le decisioni circa i modelli di organizzazione didattica sono di competenza esclusiva delle scuole. Ma non finisce qui.
Anche il Regolamento sulla rete scolastica e le risorse umane esorbita dalle competenze del governo, questa volta a danno delle Regioni e del sistema degli Enti Locali, legiferando in merito ai parametri relativi all’organizzazione della rete scolastica, materia che è di competenza esclusiva delle Regioni. Lo stesso vale per la distribuzione della dotazione organica regionale ai territori e alle scuole: il Regolamento ribadisce il governo ministeriale sulle risorse, gestito in ultima istanza dall’amministrazione statale, in contrasto con la competenza sulla programmazione dell’offerta formativa e sulla conseguente distribuzione delle risorse professionali e finanziarie attribuita alle Regioni dal Titolo V della Costituzione.
Infine le logica autoritaria e centralistica dell’ingerenza nelle prerogative delle diverse autonomie continua imponendo condizioni pesanti e dequalificate di utilizzazione del personale attraverso la modificazione unilaterale delle regole contrattuali.
Adesso i due regolamenti approvati dal Consiglio dei Ministri dovranno iniziare un iter piuttosto complesso che si concluderà non prima della metà di marzo (il Consiglio di Stato ha tempo esattamente 90 giorni per esprimere il proprio parere), mentre la partita vera si giocherà sulla determinazione degli organici. Solo l’impoverimento delle risorse professionali potrà mettere in difficoltà la progettazione autonoma delle scuole. Al tempo stesso l’autonomia rimane un punto di forza delle scuole e del movimento: il Ministro potrà tagliare le risorse alle scuole, ma non potrà mai impedire loro di scegliere il modello di organizzazione didattica più coerente con il loro piano dell’offerta formativa e con le risorse che hanno a disposizione e se quel modello non sarà il maestro unico né quello prevalente non sarà alcun regolamento né Ministro che potrà togliere alle scuole le prerogative tutelate dalla Costituzione. È, per altro, facilmente prevedibile su questo punto lo sviluppo di un esteso contenzioso legale.
Le Regioni esprimeranno parere negativo sul regolamento del primo ciclo perché hanno ben chiaro che l’impoverimento del tempo scuola e dei modelli di funzionamento ricadrà su di loro e sugli Enti Locali, le cui risorse sono sempre più ridotte. Faranno anche muro contro l’espropriazione delle lo prerogative sulla rete scolastica e contro un regolamento approvato senza nemmeno la necessaria intesa in Conferenza Stato-Regioni.
Sono quindi chiare le forze in campo e le possibili alleanze ed è anche definito l’obiettivo prioritario: cambiare la legge 133/08 per ottenere che tutti i risparmi che si possono realizzare riducendo sprechi e inefficienze siano reinvestiti per qualificare il sistema formativo pubblico. Altrettanto chiara è l’importanza di difendere il tempo scuola nel primo ciclo dell’istruzione, non solo come legittima esigenza sociale ma anche come modello di scuola che ottiene concreti risultati di decondizionamento, inclusione, valorizzazione delle differenze.
Ancora incerta è invece la costruzione di una piattaforma che unifichi le forze in campo e prospetti una alternativa credibile e concreta, capace di raccogliere il consenso necessario per vincere. Solo qualche esempio.
Le risorse: cominciare subito a spendere meglio è necessario per poter spendere di più. La Gelmini sta facendo esattamente il contrario, riduce la spesa in modo strutturale a la dequalifica, colpendo i settori scolastici migliori e tagliando in modo orizzontale senza riguardo ai risultati. L’alternativa sta nell’attuare rapidamente e coerentemente il Titolo V della Costituzione. Non serve a questo fine regionalizzare gli insegnanti, concreta premessa per affossare il sistema scolastico nazionale. Decisivo, invece, è attribuire alle Regioni e agli Enti Locali la piena responsabilità della programmazione dell’offerta formativa e della conseguente distribuzione delle risorse professionali e finanziarie. In questo modo saranno incentivati a razionalizzare per reinvestire i risparmi realizzati per ampliare e qualificare il proprio sistema formativo.
Le riforme: invece di devastare i pochi pezzi del nostro sistema formativo che funzionano, occorre concentrare l’intervento in modo prioritario sui settori più in difficoltà come la secondaria di primo e secondo grado. Da questo punto di vista Gelmini non ci si deve inventare nulla, è sufficiente implementare le riforme già avviate nella precedente legislatura: innalzamento dell’obbligo a 16 anni, riforma dell’istruzione tecnico-professionale, potenziamento della continuità 3-16 (bene a questo proposito la scelta del Ministro di confermare per almeno tre anni i curricoli della Commissione Ceruti-Fiorin e di attribuire priorità agli istituti comprensivi).
L’apprendimento permanente: invece di baloccarsi con il fantasma della nuova riforma Gentile, il Ministro deve al più presto far approvare una legge sull’apprendimento permanente che offra una nuova prospettiva di lifelong learning al sistema formativo italiano e sostenga la partecipazione alla formazione degli adulti. Un aumento consistente dei cittadini e dei lavoratori in formazione rispetto all’attuale misero e arretrato 6,7% è indispensabile per uscire dalla crisi economica (senza un consistente innalzamento del capitale umano non torneremo a competere), per rafforzare la nostra democrazia contro i rischi del populismo e, non ultimo, per sostenere il successo formativo dei giovani (un atteggiamento positivo nei confronti della formazione degli adulti continua ad essere il fattore più predittivo della riuscita scolastica dei giovani). |