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ScuolaOggi-Elogio del tempo pieno. Ma quale?

Elogio del tempo pieno. Ma quale? E' fuori discussione che la Riforma o controriforma Moratti che dir si voglia un risultato lo ha ottenuto: riportare il Tempo Pieno sotto la luce dei rif...

20/02/2004
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ScuolaOggi

Elogio del tempo pieno. Ma quale?
E' fuori discussione che la Riforma o controriforma Moratti che dir si voglia un risultato lo ha ottenuto: riportare il Tempo Pieno sotto la luce dei riflettori, al centro dell'attenzione. Ha finito indubbiamente per determinare un soprassalto, una reazione ampia e diffusa a difesa della scuola a Tempo Pieno, com'è apparso in maniera eclatante con la manifestazione milanese di S.Valentino, una delle prime se non la prima grande manifestazione di genitori e insegnanti che ha alla base motivazioni e rivendicazioni non solo sindacali, ma anche "pedagogiche". A parte il fatto, spesso trascurato o sottovalutato, che la Riforma Moratti destabilizza e fa saltare l'intero assetto organizzativo e didattico avviato con la Legge 148/1990, cioè i moduli didattici (circa l'80% della realtà delle classi di scuola elementare a livello nazionale) e non solo il Tempo Pieno (il restante 20%), è pur vero che laddove questi rapporti numerici sono rovesciati, alla ribalta si ripropone innanzi tutto il Tempo Pieno. A Milano-città le classi a Tempo Pieno sono addirittura l'87%, in provincia l'85%. E' evidente che percentuali di adesione così elevate una qualche ragione devono averla. Il Direttore Regionale Dutto ha recentemente posto il problema dello "sviluppo disomogeneo", dello squilibrio esistente tra la realtà di Milano e quella di altri comuni o province della Regione Lombardia (dove peraltro gli organici erano bloccati da anni e un'ulteriore espansione del Tempo Pieno non è stata di fatto possibile). Forse ha indagato ed approfondito troppo poco le ragioni di un simile successo nella città di Milano. I motivi che confluiscono nella scelta del Tempo Pieno da parte delle famiglie, com'è noto, sono di diverso tipo e natura. A ragioni di carattere 'sociale', esigenze di tipo assistenziale-educativo, largamente presenti nell'utenza (quasi sempre entrambi i genitori lavorano, in una realtà come quella metropolitana) si aggiungono, nelle componenti più avanzate, ragioni di carattere più propriamente pedagogico-educativo. In altri termini, la scelta consapevole di un progetto educativo unitario, integrato, scandito nell'arco di una giornata scolastica di 8 ore e di un modello didattico e organizzativo fondato sul team teaching, sul gruppo docente. Ora, l'ombra lunga della 'scuola del mattino più doposcuola' di una volta, rievocata in qualche modo dalla Riforma Moratti, ha fatto sì che attorno al Tempo Pieno si venisse a creare un muro difensivo, si costruissero trincee e steccati, come attorno ad un fortino assediato. Il punto, a nostro avviso, è però che non si difende bene il Tempo Pieno difendendone anche gli aspetti più deteriori, i limiti e i lati deboli emersi con evidenza nel corso degli anni in più situazioni. Si difende il Tempo Pieno, in modo convincente e credibile, difendendo e valorizzando piuttosto le cosiddette 'buone pratiche', gli aspetti positivi e innovativi, sul piano didattico, di queste esperienze. Abbiamo conosciuto in questi trent'anni (dalla legge n.820/1971 in poi) diversi passaggi storici, diversi Tempi Pieni, non tutti altrettanto validi e sostenibili. Sono cambiate, nel corso del tempo, le 'condizioni di esercizio', il contesto, le stesse motivazioni ideali di docenti e operatori scolastici. Recentemente Pietro Citati su Repubblica (12 febbraio 2004), in un breve saggio raffinato e dal titolo un po' provocatorio, ha tessuto l''elogio del tempo vuoto', in contrapposizione ad alcuni aspetti di "socializzazione forzata" o di eccessiva permanenza a scuola, 'otto o persino dieci ore di orribile tempo pieno'. 'Tempo vuoto' inteso, in maniera alquanto idilliaca, come "mezza giornata libera", riempita "di verde e di aria, di giochi e di storie". O più semplicemente dai 'lunghi, solitari e fantastici giochi infantili'. Purtroppo la vita dai tempi del giovane Citati (la Torino dagli anni '#8216;30) come pure di suo figlio, quarant'anni dopo (Villa Borghese, anni '#8216;70) è cambiata non poco e con essa il sistema delle relazioni sociali, la stessa organizzazione del lavoro e della famiglia. Difficilmente quelle esperienze sono riproponibili. Ciò non toglie che il problema del 'tempo scuola', di 'come i bambini vivono e trascorrono il tempo a scuola', resta. Così pure bisogna riconoscere che toccava un punto dolente il Direttore Regionale M.Dutto quando in un articolo sul Corriere della Sera (17 novembre 2003), sempre a proposito del Tempo Pieno, poneva la domanda: 'tempi ricchi di apprendimento o tempi aridi della scuola lunga e ore noiose di lezioni pomeridiane?' Altri, ancor più crudamente, hanno sostenuto che spesso il Tempo Pieno si risolve in un parcheggio, che otto ore di scuola nelle aule-classi sono gravose, che molti team non funzionano, che le classi invece di "aprirsi" restano spesso "chiuse", ecc. ecc. Molte di queste critiche - bisogna avere il coraggio e l'onestà intellettuale di ammetterlo - sono spesso azzeccate. Noi siamo più che convinti che le '40 ore' non garantiscono di per sé la qualità della scuola e che nell'ambito dell'attuale Tempo Pieno, come d'altra parte nei moduli, vi sono luci ed ombre, esperienze assolutamente significative sul piano didattico-pedagogico accanto a situazioni che non lo sono affatto. Ma non per questo bisogna compiere l'errore di buttare con l'acqua sporca anche il bambino. Occorre allora cogliere l'occasione per riavviare una riflessione seria, per riaprire la discussione attorno a questi nodi. Cominciare con il porre alcuni paletti, definire alcuni punti fermi, una specie di bussola di riferimento. Che cosa resta valido, innanzi tutto, nel 'modello' della scuola a Tempo Pieno, dopo trent'anni di esperienze? Quali sono gli aspetti e i 'valori' che non devono assolutamente andare dispersi, che costituiscono tasselli importanti, significativi, di una scuola 'a misura di bambino', qualitativamente valida e realmente formativa? E quali sono le 'condizioni indispensabili' per garantire lo sviluppo di esperienze didattiche positive di tempo lungo? Un modo diverso di fare scuola, innanzi tutto, e una concezione "qualitativa" e non semplicemente quantitativa del tempo scuola, ricondotti forse a quelle che erano le ragioni/ispirazioni originarie del Tempo Pieno, opportunamente ripensate. Una didattica lontana dall'eccessivo disciplinarismo, dalla frenesia degli apprendimenti/ammaestramenti, dall''obesità cognitiva' di cui parla Raffaele Iosa. Elogio quindi dei 'tempi distesi', tempi del curricolo ma anche dell'accoglienza, della socialità, della relazione. 'Tempo slow', lungo e lento, tempo di vita del bambino, tempo dell''ozio attivo' (come dicono Susanna Mantovani e Iosa). Tempo del confronto, della convivenza, dell'integrazione tra bambini provenienti da diverse culture ed etnie o diversamente abili. La progettualità, il lavorare non per rigidi e astratti schemi nozionistici ma per progetti didattici, condivisi ed elaborati insieme, collettivamente. Il 'valore aggiunto' rappresentato dal 'gruppo docente', dalla collegialità, dalla cooperazione rispetto a forme di individualismo dell'insegnamento (dal maestro unico o tuttologo all'insegnante costellato o prevalente). La possibilità, data dalla 'compresenza' di più docenti, di 'aprire le classi', formare gruppi di alunni per il recupero-potenziamento, i laboratori didattici, attività di tipo creativo-espressivo, ecc. La "didattica laboratoriale" non l'ha scoperta il prof. Bertagna, viene da lontano, da Bruno Ciari, De Bartolomeis, Sergio Neri, Silvano Federici e dal profondo del Tempo Pieno. Tutto questo oggi in molte realtà di Tempo Pieno spesso non c'è. O non c'è più. O non c'è in misura sufficiente, adeguata. Occorre allora ripartire da lì, per delineare "il Tempo Pieno che noi vogliamo", quello che val la pena di sostenere. E rilanciare la posta, provare a volare alto. Occorre allora parlare anche di cose concrete, vale a dire delle 'condizioni materiali', indispensabili per una scuola di qualità. Occorre dire chiaramente che l'autonomia delle scuole è reale ed ha senso solo se c'è un "organico funzionale", arricchito e non ridotto e impoverito (docenti titolari di classe, insegnanti di sostegno, mediatori culturali, ecc.). Che le compresenze dei docenti sono assolutamente necessarie. Che servono più e non meno risorse, in termini di competenze professionali, formazione, spazi attrezzati, arredi, materiali didattici, finanziamenti alle scuole. Perché non includere le scuole della Repubblica fra le "grandi opere"? E' qui che casca l'asino di Bertagna e della Moratti: tutto questo non è possibile con un tempo scuola ridotto, frantumato, differenziato, con meno risorse professionali ed economiche assegnate alle scuole. Un Tempo Pieno ripensato e ri-animato, la proposta di una scuola pubblica riqualificata e adeguatamente sostenuta sono la vera arma vincente contro il pensiero debole della Riforma Moratti e dei nuovi "innovatori" del MIUR. Dedalus


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