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ScuolaOggi: A proposito dei libri di testo. E dintorni.

di Gianni Gandola

13/05/2009
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ScuolaOggi

Nel precedente articolo sulla questione dell’adozione dei libri di testo (“Bocciata la Circolare sull’adozione dei libri di testo” - v.nota 1) mi sono limitato a riportare rigorosamente quanto scritto nel testo del ricorso al TAR del Lazio e nel dispositivo della sentenza, senza alcun commento da parte mia. Si trattava di una notizia, di un fatto di cronaca importante riguardante la scuola del quale occorreva dare informazione. Credo sia il caso ora di fare alcune riflessioni su questa materia, con particolare riferimento alla scuola primaria.

Un libro, un maestro.

Prendiamola alla lontana (ma poi non tanto…). Prima considerazione: il libro di testo unico nella scuola elementare per anni ha fatto il paio con il maestro unico. Su questo non ci sono dubbi. In questo senso c’è una logica nel “ritorno al passato” auspicato dal duo Gelmini-Tremonti (2).

Negli anni ‘50-60, ed anche oltre, il libro di testo (il “sussidiario” in particolare, accanto al “libro di lettura”) costituiva lo strumento principe dell’azione didattico-educativa dell’insegnante (maestro unico). La “lezione”, appunto, consisteva nello spiegare quanto scritto sul sussidiario per le varie materie, in maniera magari più argomentata e approfondita, ma sempre attenendosi a quella base. Gli alunni poi, a casa (la scuola era solo al mattino), dovevano “ripassare la lezione”, rileggendo e imparando a ripetere brani del libro o a fare gli “esercizi” in esso contenuti. Il meccanismo era sostanzialmente quello della lezione frontale, dell’insegnamento/apprendimento di “nozioni” che venivano assimilate in maniera spesso ripetitiva e acritica. Un metodo quindi essenzialmente trasmissivo ed enciclopedico o, come si usava dire non a caso, “nozionistico”.

Questa prassi – sempre nella scuola elementare - è stata ribaltata non tanto dal ’68 come pensa Tremonti, ma dalle esperienze didattiche più avanzate a partire dagli anni sessanta (a cominciare da Barbiana, per passare attraverso il Movimento di Cooperazione Educativa, Mario Lodi, Bruno Ciari, ecc. per confluire poi nell’esperienza di tante scuole a tempo pieno e sperimentazioni). Il libro di testo da riferimento principale dell’attività didattica ne è diventato uno strumento, accanto ad altri. Dalla lezione frontale come modalità esclusiva di trasmissione del sapere si è passati a metodologie più avanzate e innovative (la ricerca, i gruppi di studio, l’attività laboratoriale, ecc.). Come pure si è passati dal maestro unico/detentore del sapere al team docente, all’équipe pedagogica.

La legge, di rango costituzionale, sull’autonomia delle istituzioni scolastiche

Ciononostante il libro, o meglio “i libri” sono pur sempre uno strumento didattico importante, come è importante un loro intelligente utilizzo. Per questo la scelta del libro di testo (o dei libri) è strettamente collegata alle metodologie che gli insegnanti intendono attuare, non può prescindere da queste. E per questa ragione questa scelta rientra a pieno titolo nella sfera dell’autonomia didattica prevista dal DPR 275/1999. E infatti l’art.4, comma 5 dice: “La scelta, l’adozione e l’utilizzazione delle metodologie e degli strumenti didattici, ivi compresi i libri di testo, sono coerenti con il Piano dell’offerta formativa (…). Esse favoriscono l’introduzione e l’utilizzazione di tecnologie innovative”.

Ora a me sembra che tutta la discussione sui libri di testo (la durata quinquennale della scelta in particolare) abbia invece un vizio di fondo, risponda ad altre esigenze, che non sono propriamente quelle di natura metodologico-didattica. E nemmeno quelle di favorire, come viene dichiarato, il risparmio da parte delle famiglie nell’acquisto dei libri (la controprova sta nel fatto che nella scuola primaria i genitori non pagano i libri, è sancita la gratuità dei libri di testo, esiste la “cedola libraria”…). C’é il dubbio fondato, in altre parole, che sotto ci siano altre motivazioni e altri interessi, e segnatamente quelli del mercato e delle case editrici (a partire dalle grandi case editrici, a svantaggio delle piccole). L’intento cioè di garantire loro la vendita dei prodotti librari assicurando stabilità e continuità delle scelte di adozione nel tempo.

Ma il punto vero non è tanto quello della durata dell’adozione (non cambiare libro ogni anno può essere assolutamente giusto e ragionevole, in linea di massima, e infatti già è così) quanto piuttosto la relazione tra il libro – in quanto strumento didattico - e chi lo adotta, chi lo deve utilizzare.

Il ricorso al TAR del Lazio e la sentenza del 7 maggio 2009

Ora tutta la questione delle nuove norme in materia di libri di testo parte dalla legge n.133/2008 (art.15) relativa al contenimento della spesa pubblica nel pubblico impiego (l’art.15 prevede sostanzialmente l’accesso ai libri di testo on line, scaricabili da internet) e dalla successiva legge n.169/2008, art.5 (adozione libri di testo).

La recente sentenza del TAR del Lazio proprio all’art.5 si richiama per invalidare una parte della Circolare ministeriale n.16/2009. Una parte. Infatti nel dispositivo della sentenza non viene messa in discussione né la quinquennalità dell’adozione (in linea normale) né le modalità (chi sceglie e per quali classi). Viene riaffermata piuttosto la “ricorrenza di specifiche e motivate esigenze” che possono costituire una deroga alla quinquennalità della scelta stessa. Tra queste esigenze viene indicata in particolare quella del “cambio del docente”. In altre parole viene ritenuto illegittimo il vincolo - apposto dalla CM 16 “andando oltre” quanto prevede la norma di rango superiore, la legge 169 - della “non modificabilità” delle scelte da parte degli insegnanti.

Questo vincolo avrebbe comportato il fatto che un insegnante (subentrante a quello che ha compiuto la scelta) sarebbe stato obbligato a tenersi per ben cinque anni quel determinato libro di testo, scelto appunto da altri e non da lui. E questo sembra, francamente, un’assurdità. Oltre che una palese violazione della libertà di insegnamento.

Ma a me sembra che il punto di fondo, al di là del valore che si attribuisce alla libertà di insegnamento (se deve essere intesa in senso individuale o collegiale) stia altrove. E cioè su una questione fondamentale: quella dell’ autonomia delle istituzioni scolastiche.

Lo Stato dovrebbe limitarsi agli indirizzi generali (la corrispondenza e/o pertinenza del contenuto dei libri di testo alle Indicazioni nazionali). Ma la scelta dello strumento più idoneo (e la possibilità di cambiarlo, se necessario, senza soggiacere a vincoli restrittivi, nel caso non risulti tale) deve spettare alle scuole. E’ di competenza esclusiva dell’autonomia delle singole istituzioni scolastiche. Spetta quindi ai Collegi docenti in primis, in stretto collegamento con gli obiettivi stabiliti nel Piano dell’offerta formativo dell’istituto e con la programmazione didattico-educativa di Circolo, e agli insegnanti che quei testi devono utilizzare, valorizzando – in questo contesto collegiale - la loro autonomia professionale.

La questione sul piano pedagogico e didattico

E qui si apre la vera questione sul piano pedagogico-didattico: come si utilizzano i libri di testo (o la cosiddetta “scelta alternativa”) in un contesto che non è più – piaccia o meno a Tremonti – quello degli anni ’50 (un maestro, un libro). Mai come oggi, al tempo di Internet, il libro o i libri sono uno degli strumenti possibili di una metodologia che può avvalersi di approcci diversi e differenziati. In realtà la discussione nelle scuole dovrebbe tornare allora ad accentrarsi sul “fare didattica”, sul “come insegnare” oggi, utilizzando anche i libri di testo. O più libri, nel caso della scelta di “materiale alternativo al libro di testo unico” che consente indubbiamente maggiore flessibilità e maggiori opportunità offrendo una più ampia gamma di scelte (eserciziari, vari esemplari di libri di testo, saggi di educazione antropologica o di educazione scientifica, atlanti, dizionari, sussidi audiovisivi o informatici, testi di narrativa, ecc.).

Nelle scuole in questi anni si è registrato un deficit di dibattito pedagogico (oltre che un deficit di formazione continua degli insegnanti). L’episodio del ricorso e della sentenza del TAR potrebbe costituire allora un’occasione per riaprire una discussione seria su questi nodi di fondo. Lo stesso abbattimento di un vincolo potrebbe trasformarsi in un’opportunità, in un’occasione di riflessione. Allora sì che si potrebbe tornare a “volare alto”, a ridiscutere criticamente di come si fa scuola oggi e di come si può farlo ancora in maniera innovativa.

Gianni Gandola

Note

(1) vedi: https://www.scuolaoggi.org/index.php?action=detail&artid=4366

(2) Vedi il fondamentale articolo/intervento di Giulio Tremonti sul Corriere della Sera del 22 agosto 2008 “Il passato e il buon senso”


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