Scuolanostra Notizie : Quella Porta Pia all'incontrario nel reclutamento degli insegnanti
Dai DI.CO. alla Legge 186: quando la laicità dello Stato viene messa all'angolo
Dai DI.CO. alla Legge 186: quando la laicità dello Stato viene messa all'angolo
In questi giorni un certo malcontento sta serpeggiando tra i quasi trecentomila lavoratori a termine della scuola perché, alla sollecita assunzione di 3077 insegnanti di religione, non sta facendo seguito, in maniera altrettanto tempestiva, il decreto per l'attuazione della prima tranche di immissioni in ruolo di docenti e ATA previsto dalla Finanziaria e che comunque, all'avviso di chi scrive, a stretto giro arriverà.
Ma non è dei tempi delle immissioni in ruolo che si vuole trattare questa volta. E' del metodo.
Considerato il valore politico (e costituzionale) della questione e dato anche il pericolosissimo riflusso ideologico cui stiamo assistendo in questi giorni varrà la pena di ribadire alcune valutazioni. Perché repetita iuvant, certo. E la memoria, mai come oggi che è tutto catalogato e a portata di mouse, è davvero corta, soprattutto in un Paese come il nostro.
La prima consiste nel fatto che qui non si sta facendo una 'guerra tra poveri' perché, in un modo o nell'altro, in pochi davvero, si oppongono per principio e categoricamente alla presenza dei docenti di religione nelle scuole, né alla loro stabilizzazione a tempo indeterminato.
Il problema è altrove. E, nella fattispecie, è nel senso della misura, anche a volersi dimenticare (e di certo noi non lo vogliamo) della Costituzione.
A parte gli antichi (e comunque doverosi) distinguo sul mai troppo rimarcato carattere facoltativo dell'insegnamento della religione cattolica; a parte le nuove (e sempre più impellenti) considerazioni sul carattere multietnico e multireligioso di un'Italia che invecchia sempre di più e sempre di più ha bisogno, per una grande quantità di servizi e di necessità, degli "altri", di personale (e persone) non nato qui; a parte le irrefrenabili (e chi le vuole frenare?) querimonie per la progressione di carriera assicurata ai precari (ce lo si conceda) "di lusso" di religione cattolica mentre tutti gli altri si arrabattavano nel ginepraio dell'organico di fatto, degli spezzoni, dei mezzucci per non pagare le festività ai supplenti, degli stipendi sempre uguali anche dopo venti anni di precariato e via discorrendo; a parte il buon viso al cattivo gioco fatto da tanti di noi all'idea, come si diceva una volta, di essere nati in un Paese democristiano e di essere destinati a morire in un Pae
se democristiano; a parte tutto questo - e ce ne sarebbe già ben d'onde per gridare allo scandalo - ci sarebbe un'altra questioncella aperta dalla casa delle libertà e che non pare avviarsi a soluzione, vista anche il carattere 'variabile' di questa maggioranza.
Le ingerenze di questi giorni del Vaticano sui DI.CO. riaprono una ferita costituzionale che si è aperta con la Legge 18 luglio 2003, n. 186. E se sui costumi sessuali e sul matrimonio i Teo-Con hanno buon gioco a dire che i vescovi hanno tutto il diritto di esprimersi (sia ben chiaro: di esprimersi, non di imporre diktat al Parlamento o di mettere in crisi la laicità dello Stato), sulle assunzioni dei dipendenti pubblici italiani, pagati dall'Italia, non hanno davver nessun diritto di intromettersi, anche se gliene sono stati concessi moltissimi.
Si ricordi che, grazie alla Legge 186, oggi i vescovati sono diventati uffici di collocamento per insegnanti, con totale carta bianca per le assunzioni. Gli ordinari diocesani, in piena, assoluta autonomia, scelgono docenti in base a criteri privatistici e del tutto discrezionali sui quali l'Italia non ha alcune potere di valutazione. Gli stessi ordinari diocesani possono revocare l'abilitazione in qualunque momento, senza preavviso per la nostra povera patria ma con il piccolo, diciamo così secondario (almeno per la Legge voluta dalla destra), corollario che i docenti in questione restano in forze all'erario italiano e transitano su altre classi di concorso.
In barba ai precari in attesa dell'assunzione da una vita su quella stessa classe di concorso! E a tutti gli altri.
Sembra davvero tanto strano che in molti ancora si scandalizzino di fronte a questa situazione? A principi di equità del reclutamento e della pari opportunità nell'accesso ai ruoli nello Stato e a un pezzo, diciamolo pure, un bel pezzo dei nostri valori costituzionale stracciati?
Da questa breccia aperta, nelle mura della laicità delle Istituzioni, non sono i Bersaglieri ad entrare, fisicamente e simbolicamente, nelle mura dell'ingerenza temporale del clericalismo, ma, in una nemesi storica neanche tanto insignificante, è lo Stato ad aver ceduto, per mano del più spregiudicato e populista dei governi del dopoguerra, un pezzo della propria sovranità.
E nessuno se lo è dimenticato.
Fortunatamente