FLC CGIL
Contratto Istruzione e ricerca, filo diretto

https://www.flcgil.it/@3868813
Home » Rassegna stampa » Rassegna stampa nazionale » ScuolaER: Considerazioni sui nuovi indirizzi ministeriali per l'integrazione degli alunni con cittadinanza non italiana

ScuolaER: Considerazioni sui nuovi indirizzi ministeriali per l'integrazione degli alunni con cittadinanza non italiana

L’Assessore alla Scuola, Formazione, Università e Lavoro Giovanni Sedioli commenta i nuovi indirizzi ministeriali e, in un articolo, valuta punto per punto le delicate questioni dell’inclusione e dell’interculturalità

02/02/2010
Decrease text size Increase text size

Bisogna trattare la scuola con i guanti bianchi

A nessuno può sfuggire che un’idea di scuola è anche un’idea di società. Per questo, sui temi dell’istruzione, una matura cultura politica cerca di costruire scelte educative condivise e di trovare le soluzioni che rispondono meglio ai bisogni.
Nel periodo attuale tutto ciò accade sempre più raramente e la responsabilità principale è di una politica governativa che trascura di approfondire le questioni e preferisce banalizzare i problemi complessi presentandoli in modo strumentale all’opinione pubblica. Con il risultato che si alimentano divisioni e polemiche che non fanno bene alla scuola. Invece, la scuola, va trattata con maggiore rispetto.
Non lo ha fatto il Ministro dell’Istruzione Gelmini che, in occasione della sua recente decisione di fissare il cosiddetto tetto del 30% alla presenza, nelle classi, di allievi con cittadinanza non italiana, ha usato un linguaggio che, trasformando i luoghi comuni in categorie di analisi, orienta la discussione sugli aspetti ideologici del problema. Ci sono infatti parole che escludono e parole che banalizzano questioni complesse. Parole che alzano muri e parole che esprimono pregiudizi non dichiarabili. Il Ministro deve sapere che certe espressioni non fanno parte del vocabolario della buona scuola e di una società che crede nella coesione sociale. Non solo. Il provvedimento sembra suggerire che una questione tanto delicata da intrecciare elementi razionali e fattori emotivi, trova la soluzione attraverso misure restrittive e criteri discriminatori nei confronti di una parte di allievi. Soprattutto mette in discussione una linea politica praticata fino ad ora dal nostro paese e fondata sull’inclusione e l’interculturalità.
Ma la scuola, insieme alle altre istituzioni è, prima di tutto, un luogo di emissione di valori etici, quelli della Costituzione: valori che non si insegnano ma si imparano giorno per giorno nelle aule, facendo vivere a tutti gli allievi esperienze di accettazione, rispetto, convivenza, equità, responsabilità.

Imparare bene fa bene alla democrazia

Ma quali sono le problematiche più ricorrenti che si riferiscono agli apprendimenti degli alunni con cittadinanza non italiana? Generalmente gli insegnanti rispondono che si tratta di ridotta capacità comunicativa, deprivazione culturale, povertà lessicale. C’è quindi un problema di padronanza della lingua italiana: un fenomeno così diffuso da riguardare anche tanti studenti italiani, come ci segnalano le numerose indagini sugli apprendimenti dei nostri quindicenni.
Per questo è sbagliato contrapporre allievi italiani e non italiani, mentre il vero obiettivo è trovare soluzioni che permettano a tutti gli studenti, indipendentemente dalla loro origine, di apprendere bene. Ed evitare che perplessità e timori si trasformino in automatismi mentali come l’idea che, siccome una buona scuola si riconosce essenzialmente dalla capacità di trasmettere contenuti, l’inserimento di allievi con cittadinanza non italiana provoca un rallentamento del programma scolastico che penalizza l’offerta didattica degli studenti italiani. Magari concludendo con la proposta di istituire classi di inserimento per chi non supera un test d’ingresso insieme al divieto di accesso alle classi ordinarie dopo il 31 dicembre, come è scritto nella mozione approvata dalla maggioranza parlamentare il14 ottobre 2009 alla Camera dei deputati.
Un modello segregante che ignora tutto della scuola, infatti riduce i processi di apprendimento a fenomeni di accumulazione delle conoscenze e trasforma un luogo formativo in una macchina cognitiva. Immaginare che i problemi di qualità e di equità della nostra scuola dipendano dal numero di allievi con cittadinanza non italiana presenti nelle classi,oppure andare alla ricerca della percentuale ideale di presenza di allievi provenienti da altri paesi vuole dire essere caduti in insidiose trappole mentali. Bisognerebbe evitarlo con cura e preferire l’onesta fatica del pensare.

La strada dell’integrazione dei nuovi italiani

Lavorare per integrare le persone nella società attraverso la scuola vuole dire, invece, tenere conto che le storie umane degli allievi che arrivano nel nostro paese hanno bisogno di accoglienza in qualsiasi momento dell’anno scolastico. È irrazionale pensare a date giuste o sbagliate così come è contraddittorio sostenere che si può assumere anche il criterio del limite massimo purchè si evitino le discriminazioni: tra i due concetti c’è la stessa relazione che intercorre tra la causa e l’effetto.
Si sa, anche attraverso l’esperienza di altri paesi che prima del nostro hanno affrontato lo stesso problema, che lo strumento più efficace è quello dell’integrazione precoce, proprio a partire dall’asilo nido e dalla scuola dell’infanzia, ma servirebbe un piano nazionale di rifinanziamento di questi sevizi e una politica a favore della famiglia e dell’accoglienza. Una buona politica che non c’è.
A scuola vanno accolti tutti i bambini per iniziare un’immediata integrazione all’interno delle classi ordinarie che rappresentano l’ambiente adatto alla socializzazione primaria e all’apprendimento di base. Al riguardo ci sono molti racconti che descrivono un ambiente di classe che aiuta i nuovi compagni ad inserirsi, a imparare la nuova lingua, a giocare in italiano e a fare superare agli adulti quelle forme di diffidenza che confinano spesso con il timore nei confronti dell’altro e del diverso. L’inserimento in una classe non è infatti solo un problema di tecniche didattiche e di tempi per l’apprendimento di una lingua ma richiama la capacità di costruire un clima di classe e di scuola basati sulla fiducia e sull’appartenenza. Sono gli atteggiamenti culturali degli insegnanti, degli allievi e dei genitori italiani, dei neo-inseriti e dei loro famigliari che fanno contesto formativo e agiscono come potente riduttore d’ansia e fattore di innovazione culturale.
Ci si può riuscire attraverso un’organizzazione di classe a struttura aperta in orizzontale e in verticale in grado di articolarsi e differenziarsi in funzione di varie esigenze, incluso l’apprendimento della lingua del paese ospitante per gli alunni non italiani. D’altra parte è questa l’esperienza fatta da una oltre una decina di anni in numerose classi della scuola primaria dove si è utilizzato, con intelligenza, il tempo-scuola a disposizione delle attività didattiche di compresenza dei maestri. Da quando, cioè, la dimensione del fenomeno migratorio ha riguardato anche il nostro paese, perché il sistema d’istruzione è tra i primi a risentire di mutamenti della composizione della popolazione e della trasformazione della nostra società che diventa più multietnica e più multireligiosa.

I danni dello sguardo contabile

Ma lo si è potuto fare fino a quando l’attuale politica scolastica che ha lo sguardo contabile di chi non è interessato ad investire in conoscenza, ha tolto alle scuole le risorse per questi interventi. Per non parlare di quello che ci si può aspettare nei prossimi anni scolastici di fronte ad ulteriori riduzioni programmate di personale scolastico e alla generalizzazione del modello di un unico docente nelle scuole primarie.
Per la scuola di base, soprattutto se si frequenta un modello di tempo lungo scolastico, l’apprendimento dell’italiano si realizza in un periodo abbastanza breve, mentre va riconosciuto che un intervento più disteso è necessario per gli allievi che devono misurarsi con lo studio del linguaggio specifico delle discipline nella scuola media e superiore. Certamente servono condizioni di contesto: un’organizzazione scolastica che superi le attuali rigidità, dal gruppo classe agli orari delle lezione, dai programmi didattici agli organici del personale. Con la collaborazione di figure professionali di riferimento nella mediazione culturale e nel supporto psicologico. In sostanza occorre fare incrociare una buona didattica insieme a risorse adeguate. Ma le risorse sono senza dubbio un cono d’ombra del provvedimento ministeriale che, in relazione ai bisogni finanziari non prevede stanziamenti straordinari come sarebbe coerente attendersi ma si limita a fare riferimento alla legge n. 440/97 i cui fondi sono stati progressivamente e drasticamente ridotti tanto da essere oggi del tutto inadeguati per le esigenze essenziali delle scuole. Non ci sono nemmeno i finanziamenti previsti per le aree a forte processo migratorio. D’altra parte perché stupirsi visto che è già in affanno anche l’ordinaria funzionalità del servizio scolastico.
La circolare ministeriale n.2/ 2010 contiene anche una serie di evidenti contraddizioni: mentre prende atto che la presenza di alunni di diversa provenienza sociale, culturale ed etnica rappresenta, per il nostro paese, un “dato strutturale in continuo aumento”, si limita a sollecitare i vari soggetti territoriali ad adottare semplicemente “alcune specifiche misure organizzative” e fa un generico appello alle intese da raggiungere tra scuole, enti locali e soggetti del privato sociale per reperire risorse a sostegno dell’integrazione. Si preoccupa del ruolo e della responsabilità degli altri. Come se le amministrazioni locali non intervenissero da tempo con investimenti di risorse economiche e umane proprie o integrate da contributi regionali e come se la crisi finanziaria in atto e i tagli ai bilanci degli enti locali non rischiasse di mettere in discussione buona parte del positivo lavoro compiuto in questi anni. Questioni di una tale rilevanza avrebbero dovuto trovare la naturale sede di approfondimento e di confronto nella Conferenza unificata Stato-Regioni. È così che si determinano indirizzi e responsabilità con un livello di maggiore condivisione possibile. Ma il Ministero dell’Istruzione ha preferito decidere in solitudine.

Quando la politica scolastica è cattiva discontinuità

Non basta. È del tutto legittimo chiedersi se c’era davvero bisogno di emanare nuovi criteri e raccomandazioni sull’integrazione quando la stessa materia è trattata all’art. 45 del DPR 31 agosto 1999 n. 394 e ripresa in modo ampio e aggiornato, nelle Linee guida per l’accoglienza e l’integrazione degli alunni stranieri del febbraio 2006.
Qui l’orizzonte di senso è la tutela del diritto all’istruzione dei minori stranieri presenti nel nostro paese “indipendentemente dalla regolarità della posizione” tanto che la loro iscrizione “può essere richiesta in qualunque periodo dell’anno scolastico (comma1). La gestione del problema è affidata al protagonismo delle scuole cui spetta determinare le modalità organizzative e didattiche che favoriscono la migliore integrazione degli allievi. In particolare, il Collegio dei docenti formula “proposte per la ripartizione degli alunni stranieri nelle classi […] evitando comunque la costituzione di classi in cui sia predominante la presenza di alunni stranieri (comma 1). Ha discrezionalità nell’adattare i programmi di insegnamento in relazione ai livelli di competenza dei singoli alunni stranieri, insieme alla possibilità di programmare interventi individualizzati o per gruppi per facilitare l’apprendimento dell’italiano (comma 4), così come può avvalersi di mediatori culturali qualificati per agevolare la comunicazione della scuola nei confronti delle famiglie, per l’assistenza in occasione degli incontri degli insegnanti con i genitori, per favorire la comprensione delle scelte educative compiute dalle scuole (comma 5).
Nella sua decennale applicazione, questa cornice normativa, senza la pretesa di avere risolto le complessità delle politiche dell’integrazione certamente non ha abbandonato le scuole a se stesse, non ha abbassato il livello di civiltà formativa degli ambienti scolastici e ha fatto maturare la collaborazione territoriale tra istituzioni scolastiche e istituzioni amministrative.

Volere le scuole affidate a se stesse

In netta controtendenza il Ministero dell’Istruzione, senza alcuna analisi dei risultati raggiunti, positivi o negativi, e trascurando la possibilità di programmare interventi mirati nei confronti delle situazioni di maggiore sofferenza didattica e di più elevato rischio sociale che potrebbero risultare circoscritte nel numero, ha scelto di agire in un’ottica di cattiva discontinuità con la facile previsione che cresceranno i disagi ai quali si dice di volere porre rimedio.
Non si può infatti tacere che sulla circolare ministeriale n.2/2010 pesa la possibile inapplicabilità, anche dopo la precisazione che nella proporzione che è stata fissata non saranno conteggiati gli allievi non italiani di seconda generazione, nati nel nostro paese e con padronanza della nostra lingua.
A cominciare dal peso che hanno fattori extrascolastici difficilmente governabili come la distribuzione sui territori dei flussi migratori, la definizione di piani urbanistici comunali che prevedano insediamenti abitativi più equilibrati tra cittadini italiani e non. Ma come si orienteranno le scuole e i comuni di fronte agli iscritti in eccedenza sulla quota del 30% nelle future classi prime della scuola dell’infanzia, della scuola primaria e della scuola media? C’è da augurarsi che non seguiranno l’autorevole suggerimento del Ministro di farli girare sugli scuolabus promuovendo una mobilità territoriale molto simile ad una diserzione coatta dal naturale luogo educativo. E come contenere la presenza rilevante di allievi figli di immigrati che frequentano gli istituti professionali quando si sa che sulla loro scelta di studi a ciclo breve incidono la scarsità delle risorse culturali, ma soprattutto la necessità economica del rapido inserimento nel lavoro? Questo è il danno: quando non si ha fiducia dell’autonoma capacità regolativa delle istituzioni scolastiche, quando si cercano scorciatoie che non ci sono, quando non si sanno interpretare i segni dei tempi, quando le motivazioni pseudo-ideologiche e il tatticismo politico sovrastano la responsabilità di governare le trasformazioni con il profilo alto degli interessi generali.

Il positivo esercizio di accompagnare le scuole

Non condividiamo questa interpretazione della politica e non è questa la storia della nostra regione. Qui, con il contributo di tanti attori istituzionali e non, è stato costruito quel capitale sociale che ha sostenuto e dato continuità ai processi di integrazione in territori nei quali si è realizzato, in un tempo molto breve, il più alto flusso migratorio tra le aree geografiche del paese, con un’incidenza superiore al 12%. Nelle scuole dell’Emilia-Romagna accogliamo infatti un elevato numero di allievi figli di immigrati con una varietà di provenienza che raggiunge le centonovantadue differenti nazionalità. Un percorso quasi sempre in salita dove è forse maggiore il numero dei problemi aperti o dei successi parziali. Tuttavia avendo un obiettivo chiaro da perseguire perché, come dicevano gli antichi, non c’è buon vento se non si sa dove andare.
Per quanto è nei compiti istituzionali della Regione, abbiamo accettato e condiviso la sfida educativa della valorizzazione dell’autonomia scolastica, così spesso in affanno. Non è un caso che le scuole abbiano risposto centrando i loro bisogni sul tema delle differenze che la Regione ha sostenuto con finanziamenti mirati che, nell’anno scolastico in corso, raggiungono i tre milioni di euro. Sono stati assegnati attraverso le province e i comuni per il sostegno agli allievi con differenti bisogni formativi: dal recupero dei livelli essenziali degli apprendimenti al potenziamento delle eccellenze, senza trascurare il coinvolgimento di tutti i soggetti di rilevanza territoriale interessati a mettere a disposizione delle scuole il loro contributo in termini di servizi e idee.
Lo abbiamo fatto perché siamo consapevoli che le politiche scolastiche di oggi sono lo specchio di come sarà il paese domani. Anche di fronte ad una scelta che non condividiamo ci teniamo a ribadire la nostra volontà di chiamare i soggetti della nostra regione a collaborare insieme per continuare a garantire a tutti il diritto all’accesso, all’inclusione, al successo formativo.


La nostra rivista online

Servizi e comunicazioni

Seguici su facebook
Rivista mensile Edizioni Conoscenza
Rivista Articolo 33

I più letti

Filo diretto sul contratto
Filo diretto rinnovo contratto di lavoro
Ora e sempre esperienza!
Servizi assicurativi per iscritti e RSU
Servizi assicurativi iscritti FLC CGIL