Scuola, passo falso del governo al Senato
La maggioranza battuta sui profili di costituzionalità in commissione. Il no di Mario Mauro L’assenza determinante dei tre parlamentari Ncd. Ma Schifani: è stato solo un fatto casuale
ROMA Dieci a dieci. Governo battuto: la Buona scuola ha dei profili di incostituzionalità. Dieci voti a favore. Dieci contrari, una parità che in commissione Affari Costituzionali del Senato equivale ad un parere negativo e che costringe la maggioranza ad andare sotto. Tutti i senatori Pd hanno detto sì al ddl 1934, inclusa la presidente della Commissione Anna Finocchiaro. Ma in dieci dell’opposizione hanno votato no e tra questi Mario Mauro, l’ex Popolari per l’Italia appena uscito dalla maggioranza oggi nel Gruppo misto: «La Buona scuola è scritta male, fermiamoci a riflettere».
Ma nella prima Commissione al Senato ieri sono mancati soprattutto i tre voti di Ncd-Area Popolare e dei suoi senatori Gaetano Quagliariello, Andrea Augello e Salvatore Torrisi. «Non è successo niente»; «solo un incidente tecnico»; «un infortunio»; «andiamo avanti» dicono al Pd. E pure il presidente dei senatori Ncd-Ap Renato Schifani parla di «fatto casuale e puramente tecnico a cui non bisogna attribuire un valore politico: la riforma della scuola va fatta e andrà avanti come accaduto per altri provvedimenti». Ma certo l’assenza contemporanea di tutti e tre i senatori centristi fa molto rumore, perché sembra essere «un messaggio per Renzi e il Pd», un modo per dire: «La maggioranza non è solo il Pd» e «la Buona scuola non può essere una partita interna al Pd: se c’è uno spirito costruttivo bene, altrimenti le cose saranno più difficili». E visti i numeri scarsi su cui può contare il Pd in commissione Istruzione al Senato non c’è da scherzare.
Anche perché certe «aperture» di Renzi su potere dei presidi, valutazione e tempi di discussione («se servono altri 15 giorni prendiamoceli») non sono molto piaciute ai colleghi di governo «preoccupati» che «andare oltre il 20 giugno pregiudichi tutta la riforma». Così come non piace la lettera dei 50 della minoranza Pd per togliere la detrazione fiscale per le scuole superiori paritarie, tema molto caro a Ncd tanto da essere riuscito ad ottenere alla Camera l’innalzamento degli sgravi anche alle secondo ciclo.
Ma quello che è successo nella I Commissione per il presidente dei deputati di Forza Italia Renato Brunetta «è l’inizio della fine, Renzi ha ironizzato sul Vietnam e ora il Vietnam è arrivato». E i 5 Stelle parlano di «clamoroso tonfo al Senato», così come Sel di «battuta d’arresto per una riforma che non piace a nessuno». Ieri è anche slittato il parere della commissione Bilancio, cosa che contribuisce ad allungare i tempi.
Ma il senatore Pd Andrea Marcucci presidente della commissione Istruzione a Palazzo Madama conferma che invece «il ddl continua il suo iter al Senato: abbiamo deciso di affrontare un confronto vero sugli oltre 2mila emendamenti, scelta che dovrebbe essere salutata con favore dalle opposizioni». E infatti ieri fino a notte i senatori della VII commissione hanno esaminato le possibili modifiche al testo. «La disponibilità all’ascolto è massima», ribadisce la senatrice Pd Francesca Puglisi relatrice del ddl con Franco Conte (Ncd-Ap). E proprio da questo confronto potrebbero arrivare quelle aperture chieste soprattutto dal mondo della scuola. Perché se sul numero delle stabilizzazioni la partita sembra essere definita (100.701 dalle graduatorie ad esaurimento), è sui poteri del preside e valutazione che potrebbero esserci novità. Il mandato del preside dovrebbe durare al massimo due cicli (6 anni) e il suo lavoro sarebbe più subordinato al consiglio d’istituto. Sulla valutazione poi potrebbe spuntare un’agenzia ad hoc con componenti esterni preparati e scelti per concorso chiamati a valutare il lavoro del dirigente scolastico.
Ma le proteste continuano. E al blocco degli scrutini ieri nel Lazio e in Lombardia ha aderito, secondo i Cobas, il 90 per cento dei docenti.
Claudia Voltattorni
cvoltattorni@corriere.it