Scuola, le proposte indecenti di Michele Boldrin
Marina Boscaino e Giorgio Tassinari
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Uno degli innumerevoli “inconvenienti” che l’ondata neo-liberal ha determinato nel nostro Paese è
l’incursione di personaggi arrembanti e fastidiosi come il saccente ed eccessivamente scanzonato
Michele Boldrin, che giovedì scorso – dagli studi di Santoro – ci ha propinato pillole di trito,
imbarazzante e aggressivo economicismo parlando di scuola.
È singolare che, in una delle poche puntate dedicate a un tema che, di fatto, riesce a suscitare
l’interesse dei media solo dopo che, a fronte di un faticosissimo lavoro di più di anno, dopo la
raccolta di quasi 13mila firme, i cittadini bolognesi hanno raggiunto un obiettivo meritevole e
significativo (la celebrazione di un referendum consultivo, che si celebrerà il 26 maggio nel
capoluogo emiliano) si recluti un simile personaggio.
È curioso che, nonostante illustri giuristi, primo tra tutti Rodotà, presidente del Comitato art. 33;
nonostante capaci economisti; nonostante tanti insegnanti – militanti e non – che sul tema scuola
pubblica-scuola privata avrebbero potuto esprimere posizioni equilibrate e informate, anche se non
necessariamente a favore del finanziamento destinato alle scuole pubbliche, si sia scelto di
interpellare un così esplicito avversario non solo del principio costituzionale del “senza oneri per lo
Stato”, ma della scuola pubblica in particolare e della scuola italiana in generale. L’intervento di
Boldrin è stato infatti intercalato da una serie di chiose, tra il serio e il faceto, animate da un
esplicito disprezzo per la scuola e per gli insegnanti. (assenteisti, fankazzisti, ravanando nei più vieti
luoghi comuni della poetica del fannullone inefficiente, che tanto attrae esimi intellettuali di casa
nostra).
Non ci soffermeremo sull’atteggiamento da chi ha formule certe e verità in tasca che ha
caratterizzato l’intervento dell’altra sera. Boldrin non è nuovo a interventi a gamba tesa sulla scuola.
Il 3 settembre 2010, in piena tempesta-precariato e con un inizio di anno scolastico bollente di
fronte (stava per entrare surrettiziamente in vigore la contro-riforma Gelmini), dalle colonne del
“Fatto Quotidiano” ci propinava la sua ricetta per risolvere i problemi della scuola italiana, dopo
aver sparato a zero, nella prima parte dell’articolo, sul corporativismo dei sindacati,
sull’indisponibilità a determinare cambiamenti nell’organizzazione del lavoro (sulla quale, c’è da
giurarci, Boldrin si sarebbe/sarà schierato a favore della proposta indecente delle 24 ore di lezione
frontale a parità di salario nella famosa querelle dello scorso autunno).
“Ecco gli ingredienti in ordine sparso. Decentralizzare per davvero le decisioni di assunzione e
impiego del personale lasciando completa autonomia contrattuale ai provveditorati. Trasformare
ogni scuola in una cooperativa d’insegnanti a cui lo Stato dà in concessione a tempo indeterminato
(a un prezzo che copra l’ammortamento) le strutture fisiche. Chi assumere (e a che condizioni), chi
promuovere, premiare o licenziare, lo decide la cooperativa. O, al massimo, il provveditore. E che
il migliore, se vuole, venda i propri servizi a un prezzo (regolato) maggiore. Gli insegnanti di
qualità costano, come i luminari della medicina. E i soldi? Buoni scuola uguali per tutti gli
studenti, finanziati con le imposte e spendibili nella scuola di propria scelta. Ciò che conta è il
finanziamento pubblico dell’istruzione, fattore di progresso economico e uguaglianza sociale, non
la sua gestione diretta. Che, come l’esperienza dimostra, porta spesso a inefficienze e assurdità. E i
programmi? E la qualità dell’insegnamento? Ci pensa il ministero. Programmi minimi e uniformi a
livello nazionale, con aggiunte volontarie locali e qualità dell’insegnamento testata con esami
nazionali (basta con regioni dove le lodi si regalano). A questo si dovrebbe dedicare il ministero
che, con questa riforma federalista, si svuoterebbe di migliaia di inutili funzionari, liberando
risorse per chi l’insegnamento lo produce davvero. Ossia gli insegnanti capaci e volenterosi, in
collaborazione con alunni e famiglie”.
Il professore della Washington University in Saint Louis ci spiega in queste righe come disfarsi
arrogantemente del dettato costituzionale e abbattere una volta per tutte il fastidioso principio
dell’unitarietà del sistema scolastico nazionale come garanzia dell’interesse generale e
dell’esercizio del diritto di uguaglianza per tutti i cittadini. A suon di cooperative che esercitano
senza controllo prerogative quali il reclutamento degli insegnanti e di buoni scuola per garantire la
“libertà di scelta”, ecco cancellati in un colpo solo articoli 33 e 34 della Costituzione e la natura
interclassista, solidale ed inclusiva della scuola statale.
Come direbbe Karl Marx, un palmare caso di materialismo volgare. D’altra parte la scuola di
pensiero a cui Boldrin si ispira, quella di von Hayek e Milton Friedman, ha sempre pensato che in
caso di conflitto tra mercato e democrazia dovesse prevalere il mercato (come in Cile).
Marina Boscaino e Giorgio Tassinari (professore Ordinario di Statistica Economica università di
Bologna)
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