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Scuola, l’Oms: “Deve restare aperta, i ragazzi non sono fonte principale di contagio”. Ma in Italia i dati non sono ancora pubblici

In occasione del World Children's Day, l'organizzazione si schiera dalla parte dei governi che hanno deciso di tenere aperte le classi (compreso il nostro Paese). Ma il report sulle infezioni tra i banchi anticipato tre settimane fa dal presidente dell'Iss Brusaferro ancora non c'è.

20/11/2020
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Il Fatto Quotidiano

“Le scuole devono restare aperte. I bambini e gli adolescenti non sono considerati fonti principali di trasmissione del coronavirus”. A dirlo, in occasione del World Children’s Day, è l’Organizzazione mondiale della sanità che in tempo di crisi sanitaria si schiera dalla parte dei governi che hanno deciso di tenere aperti gli istituti, privilegiando in modo particolare le primarie. A sottolineare questo aspetto è stato Hans Kluge, direttore regionale dell’Organizzazione mondiale della sanità per l’Europa, durante un incontro in cui ha aggiornato sulla situazione del Covid-19 nel Vecchio continente: “Possediamo una vasta gamma di pratiche nazionali per inseguire il virus senza perseguitare le persone. Siamo stati in grado di garantire un apprendimento sicuro per i nostri figli mantenendo la stragrande maggioranza delle scuole aperte per quasi cento giorni consecutivi“.

Una scelta in linea con quella fatta dalla ministra dell’Istruzione del nostro Paese che ha difeso a spada tratta le lezioni in presenza per la scuola del primo ciclo ribadendo più volte che i numeri dei contagi nelle scuole italiane sono bassissimi. Dati che, tuttavia, non sono più pubblici da oltre un mese. L’ultima volta che dagli uffici di viale Trastevere è uscito un comunicato con i numeri di un monitoraggio fatto attraverso i presidi, infatti, era il 15 ottobre. Da allora la ministra ha passato la palla all’Istituto superiore di sanità: “Tutti i dati sono in possesso delle autorità sanitarie, a cui sono trasferiti settimanalmente per la loro analisi nell’ambito del quadro epidemiologico generale”. E proprio il numero uno dell’Iss, Silvio Brusaferro, tre settimane fa aveva annunciato la presentazione di un focus sulla scuola: “La curva che noi oggi abbiamo di crescita è analoga a quella della popolazione generale ma è altrettanto vero che stiamo collaborando strettamente con il ministero dell’Istruzione per analizzare i dati e per poter fornire un’analisi un po’ più dettagliata che uscirà nelle prossime giornate anche per manifestare la massima attenzione e per fare in modo di tutelare da una parte il funzionamento della scuola dall’altra la salute di tutta la popolazione”. Parole che finora sono rimaste lettera morta visto che, nonostante le rassicurazione dell’Oms e dell’Iss, è sparito il dato pubblico sui contagi dei bambini.

Gli unici ad aver parlato di percentuali nei giorni scorsi sono stati i rappresentati della Società italiana di pediatria che hanno comunque riportato un dato generale, non relativo all’ultima ondata: “Sono 126.622, pari a circa il 12% dei contagiati, i bambini e gli adolescenti che durante la pandemia sono risultati positivi al Covid-19, di cui 36.622 nella fascia 0-9 anni e 90mila nella fascia 10-19 anni (fonte: Istituto Superiore di Sanità). Sinora la maggior parte di loro ha manifestato forme cliniche lievi, con un tasso di letalità fortunatamente bassissimo ma, se i contagi dovessero aumentare ulteriormente, anche i soggetti in età evolutiva, soprattutto quelli fragili con patologie preesistenti, potrebbero andare incontro a problemi di salute più importanti”. Nessuno lo vuol dire ufficialmente, ma fonti del ministero confidano che uno dei problemi è quello di non avere in mano i dati dei tamponi eseguiti dalle Asl: un monitoraggio che è in possesso delle Regioni ma che, a quanto pare, non viene trasmesso a Roma in viale Trastevere.

Intanto il panorama delle scuole italiane è un puzzle. Il Dpcm del 3 novembre scorso ha decretato il passaggio al 100% in dad alle superiori in tutto Il Paese e delle seconde e terze medie nelle zone rosse. Ma per gli altri gradi di scuola sono scattate le decisioni dei presidenti di Regione. Nel Lazio, in Molise, nella Provincia autonoma di Trento, in Sardegna e in Veneto (zone in fascia gialla), le lezioni continuano in presenza fino alla classe terza della secondaria di primo grado e a distanza nelle superiori. Unica eccezione la fa la Provincia autonoma di Trento dove il presidente Maurizio Fugatti con l’ordinanza 54 del 14 novembre scorso ha previsto anche nei comuni in fascia rossa scuole aperte fino alla terza media. In zona arancione, dove per ciò che riguarda le misure per la scuola non cambia nulla rispetto alla zona gialla, sono state collocate le Regioni Abruzzo, Basilicata, Liguria, Puglia, Sicilia, Umbria, Emilia Romagna, Friuli Venezia Giulia, Marche. In Puglia, per effetto dell’ordinanza numero 413 del 6 novembre scorso firmata dal governatore Michele Emiliano, i genitori possono scegliere la didattica a distanza o in presenza. Decisione confermata pure dal Tar di Bari. In Umbria è stata firmata dalla Presidente della Regione, Donatella Tesei, un’ordinanza (la numero 71 del 13 novembre) in vigore sino al 22 novembre che ha prorogato alcune restrizioni già in essere che si sommano a quanto previsto dal Dpcm. Tra queste, a decorrere dal 15 novembre, è stata confermata la didattica a distanza per medie e superiori, sia statali che paritarie. In Basilicata è stata disposta invece fino al 3 dicembre la sospensione delle attività didattiche in presenza per tutte le scuole primarie e secondarie di primo grado della regione.

In zona rossa ci sono Calabria, Lombardia, Piemonte, Valle d’Aosta, la Provincia Autonoma di Bolzano, Campania, Toscana. In queste aree restano sospese le attività didattiche in presenza a partire dalla seconda media. Caso a parte per la Campania, dove le scuole sono tutte chiuse. Dal 24 novembre torneranno in presenza i bambini campani dell’infanzia e delle prime classi della primaria. Anche Calabria, con l’ ordinanza numero 87, ha disposto la sospensione in presenza di tutte le attività scolastiche di ogni ordine e grado, con ricorso alla didattica a distanza.


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