Scuola, in un anno sono scomparsi i “presidi-manager”
L a riforma della Buona scuola doveva rendere efficiente il nostro sistema scolastico, trasformando le scuole in pseudo-aziende, guidate da presidi-manager, ed eliminando il fenomeno delle supplenze, grazie al piano di assunzioni straordinario. Peccato che, al contrario, l’anno scolastico 2016-17 verrà ricordato come uno dei peggiori anni della scuola italiana, lasciando tutti insoddisfatti.
Massimiliano Di Pace
L a riforma della Buona scuola doveva rendere efficiente il nostro sistema scolastico, trasformando le scuole in pseudo-aziende, guidate da presidi-manager, ed eliminando il fenomeno delle supplenze, grazie al piano di assunzioni straordinario. Peccato che, al contrario, l’anno scolastico 2016-17 verrà ricordato come uno dei peggiori anni della scuola italiana, lasciando tutti insoddisfatti. Lo sono stati i presidi, che non sono riusciti a svolgere le funzioni attribuite loro dalla legge 107/2015; lo sono stati i docenti, spostati all’ultimo momento da una parte all’altra dell’Italia, per effetto dell’algoritmo del Ministero dell’Istruzione, utilizzato per l’assegnazione delle cattedre, con il risultato che le supplenze non sono diminuite; lo sono state le famiglie, che hanno visto in diversi casi una discontinuità didattica senza precedenti. «I motivi dell’insuccesso della Buona scuola – afferma Maddalena Gissi, segretaria nazionale della Cisl scuola – si rintracciano sia nei tagli del passato, sia nei meccanismi introdotti dalla legge 107/2015, decisi senza nessun confronto con il personale scolastico». Che la riforma della Buona scuola fosse una forzatura destinata all’insuccesso è opinione anche di Pino Turi, segretario nazionale della Uil Scuola: «Il trasferimento dei poteri dagli organi collegiali al dirigente scolastico ha introdotto un condizionamento alla libertà della didattica, senza contare che si basava su un presupposto improbabile,
ossia che il preside avesse quelle competenze multidisciplinari richieste per scegliere il docente più adatto all’offerta formativa della scuola». Anche chi aveva espresso un giudizio positivo sulla riforma è rimasto deluso, com’è il caso di Giorgio Rembado, presidente dell’Anp (Associazione nazionale dei presidi): «Non si è riusciti a svolgere con efficacia nessuna delle tre più importanti funzioni attribuite ai presidi. In primo luogo, la scelta dei docenti con il bando è stata in buona parte vanificata sia dal fatto che gli insegnanti che vincevano più bandi potevano scegliere la scuola, e sia dalla circostanza che essi, una volta ottenuta la cattedra, chiedevano il trasferimento, concesso dalla magistratura amministrativa, o dallo stesso ministero. In secondo luogo, non è andata meglio sul fronte dell’attribuzione dei bonus ai docenti migliori, essendo stata applicata, com’era anche prevedibile, in modo diversificato dai vari dirigenti scolastici. Infine, è andata male anche sul fronte della scelta delle aziende per lo svolgimento dell’alternanza scuola/lavoro, essendo il numero di imprese disponibili di gran lunga inferiore alle necessità derivanti dal milione di studenti potenzialmente interessati nel 2016-17». In sintesi, dunque, un’applicazione della legge 107 piuttosto limitata, e che rischia di essere ancora più ridotta nel prossimo anno scolastico, in virtù degli otto decreti attuativi della riforma, e degli accordi sindacali sottoscritti a fine 2016 con il ministro dell’Istruzione Fedeli. Le ragioni sono presto dette: «I decreti attuativi – dichiara Francesco Sinopoli, segretario nazionale di Cgil-Flc – hanno comportato una distribuzione delle poche risorse su tanti temi, contrariamente a quanto noi avevamo suggerito, ossia di concentrare le risorse su temi prioritari, come il riconoscimento generalizzato del diritto al nido di infanzia, e alla stabilizzazione degli insegnanti di sostegno, ben 37mila, che resteranno precari». È invece positivo il giudizio delle organizzazioni sindacali sui due accordi raggiunti con il Governo: «Con l’intesa del 30/11 – continua Gissi della Cisl scuola – è tornata centrale nella politica scolastica la contrattazione, e questo ha prodotto due accordi molto importanti, ovvero quello della mobilità e della chiamata per competenze, che di fatto superano alcune problematiche determinate dalla riforma». «Con il primo accordo – ricorda Turi della Uil – si concede ai docenti la possibilità di richiedere il trasferimento in altre scuole, o anche in altri ambiti o province, riducendo così i problemi creati dall’algoritmo, mentre con il secondo si ridà centralità al collegio dei docenti, che può indicare le competenze che devono avere i nuovi insegnanti, compito che era stato attribuito dalla legge 107 ai presidi». Su questi due accordi ha però serie perplessità Rembado dell’Anp: «Non si capisce come sia possibile che accordi sindacali possano essere in contrasto con una legge dello Stato, e poi, anche sul merito, va ammesso che essi spostano la priorità dalla continuità didattica, assicurata dall’assegnazione triennale alle cattedre prevista dalle legge 107, che è l’interesse precipuo degli studenti, alle esigenze dei docenti di trovare una collocazione più confacente ai propri interessi, siano essi di natura didattica o residenziale». Alla luce dei decreti emanati e degli accordi sindacali, cosa ci si può attendere dalla riapertura delle scuole a settembre? Secondo Sinopoli della Cgil-Flc una maggiore semplificazione dell’avvio dell’anno scolastico: «Con questi accordi dovremmo avere l’attribuzione delle cattedre prima dell’inizio della scuola, a differenza dell’anno scorso, quando diversi posti erano ancora scoperti, pur essendo già cominciato l’anno scolastico». A questo si aggiungerebbe, secondo Turi della Uil, una maggiore soddisfazione del personale scolastico, «purché il governo mantenga l’impegno di avviare una nuova stagione contrattuale, che consentirà finalmente di sbloccare la crescita dei salari, fermi ormai dal 2010». Anche per Rembado dell’Anp ci potrebbero essere dei miglioramenti, a condizione che si attivi un nuovo concorso per il reclutamento dei dirigenti scolastici mancanti: «Attualmente i presidi sono 7mila, per oltre 8mila scuole. Dato che nel 2017 andranno in pensione poco meno di 500 unità, è urgente che il governo organizzi una nuova selezione, i cui effetti, però, si vedranno solo nel 2018». Per Gissi, ricandidata alla segreteria nazionale della Cisl scuola nel congresso di fine maggio, il miglioramento della scuola passa per una diversa visione di essa: «Non più luogo di disagio, bensì motore di innovazione e cambiamento, che consenta ai nuovi cittadini di far fronte alle sfide della globalizzazione, e a questo scopo il mondo della scuola deve poter dare il suo contributo di idee e di iniziative, contribuendo così alla politica dell’istruzione».