Scuola e università. Il PD boccia Profumo
Carlo Galli
ROMA - Il Pd boccia la riforma della scuola del ministro Profumo. Il governo vuole premiare studenti e gli istituti migliori. Il provvedimento potrebbe essere discusso in Consiglio dei ministri già mercoledì. Secca la replica: «Prima bisogna vedere quante risorse ci sono -afferma l´ex ministro Fioroni- e queste si usano per aiutare chi è in maggiore difficoltà». La riforma, accusa ancora il Pd, incentiva solo la competizione ma non migliora la scuola italiana. Critiche anche dall´Idv.
Merito ed eccellenza sono, questa volta, le parole chiave, le linee guida dell´intervento del governo. Una risposta netta al dilemma storico fra quantità e qualità che – tramontata la scuola per pochi, che era anche, mediamente, una buona scuola – ha accompagnato la nascita e l´esistenza, approssimativamente semisecolare, della scolarità di massa e dell´Università aperta a tutti. Secondo il ministro, perseguire l´eccellenza, premiare i migliori studenti, le migliori scuole, i migliori Atenei, è in sé un´operazione giusta, ed avrà anche il vantaggio di motivare i meno bravi, per emulazione. Anziché selezionare negativamente i peggiori, li si sprona a emulare i migliori, riconosciuti e gratificati come tali. Intorno ai ‘migliori´ è costruito questo intervento: competizione, premi, segnalazioni alle imprese, sgravi fiscali per chi li assume; tutto vorrebbe concorrere a far nascere anche nel nostro Paese l´idea che la buona istruzione procura buon lavoro, l´idea cardine – in parte mitologica ma in parte effettuale – del sistema educativo statunitense. L´intento è di sconfiggere la demotivazione di studenti e docenti; di dare loro qualcosa per cui impegnarsi.
Rispetto ai tempi di Silvio Berlusconi molto è cambiato: allora era evidente un livore antiscolastico e antiprofessorale – al di là delle affermazioni del ministro Gelmini, e delle ormai dimenticate Tre I (inglese, impresa, informatica) – che si esprimeva soprattutto nell´assetto punitivo di riforme aziendalistiche e centralistiche al contempo; com´era evidente anche che non il merito ma il demerito presiedeva le carriere politiche e televisive dei cortigiani e delle cortigiane.
Ora, il governo e delle élites più serie e più responsabili, introduce un elemento di discontinuità, che va notato. La scuola e l´università non sono più prese in considerazione in una logica di ‘ordine pubblico´, ma di sviluppo. E tuttavia le perplessità sono molte. A cominciare dallo strumento del decreto – se vi si farà ricorso –, che pare francamente inadeguato per temi tanto complessi, bisognosi di essere discussi in parlamento; per continuare con la debolezza degli incentivi al merito – concorsi, olimpiadi, menzioni d´onore per gli studenti sono una ben misera motivazione –; e per arrivare quindi a uno dei punti centrali: il persistere del sotto finanziamento del sistema scolastico e universitario. Oggi – a parte una piccola somma già destinata all´autonomia scolastica e alla didattica, che non dovrebbe però essere stornata ad altri fini – non sono noti stanziamenti disponibili. Il merito deve forse essere premio a se stesso?
Soprattutto, nelle misure prospettate molto è dato per scontato. La sostanza della recente riforma universitaria non viene mutata, tranne che il sistema di reclutamento, che torna al passato (bandi locali, membro interno e commissari esterni – uno dei quali straniero: indubbiamente accorreranno numerosi –, con i quali sarà ben facile stringere patti a buon rendere, come si è sempre fatto). E in generale la stessa idea di merito non è ben chiara: parola ambigua che copre di tutto – dall´impegno personale al talento naturale al privilegio sociale –, il merito dovrebbe in realtà emergere dopo che sono state alleviate, da precise e mirate politiche pubbliche, le principali cause di ‘selezione naturale´ che portano alla dispersione scolastica e all´abbassamento del livello degli studi e dell´insegnamento (inoltre, sul versante dei professori, la misura del merito implica l´affidarsi ulteriormente a macchinosi sistemi di valutazione, sui quali non si placano le polemiche).
Il problema è che – se è giusto dare nuova centralità alla scuola e all´Università, e, concretamente, far partire i concorsi per l´insegnamento medio – oltre che un nesso fra più istruzione e più guadagno, il ministro dovrebbe fare emergere dai suoi provvedimenti anche il nesso fra più istruzione e cittadinanza più consapevole, ovvero il nesso che non può non esserci fra l´élite dei bravi e la società che nel suo complesso deve essere composta da persone più istruite (o da più persone istruite). Insomma, senza un impegno economico che mette i docenti in grado di ricercare e di insegnare, gli studenti (tutti) di imparare e i migliori di emergere, e senza un robusto ancoraggio di ogni intervento, anche meritocratico, ad una complessiva prospettiva civile e democratica, senza una nuova centralità della scuola e dell´Università nella società, il provvedimento risulta poco più che un messaggio generico e parziale, probabilmente quasi ininfluente nella pratica. E rinvia alla politica, e alla sua responsabilità, il compito di occuparsi organicamente dell´intera materia. Come, dopo tutto, è giusto che sia.