Scuola e Covid, come si misura la fatica dei bambini alle prese con le nuove regole?
Un maestro elementare: silenzio in mensa, sanificazione delle mani e mascherine. Educazione motoria al banco: quando si potrà tornare alle vecchie abitudini?
Pietro Bordo *
*maestro in una scuola elementare di Roma
Come è cambiata la scuola elementare con il Covid? Che cosa abbiamo imparato in questi mesi in cui gli istituti per i più piccoli sono rimasti comunque aperti, ma con regole di sicurezza contro la pandemia che hanno modificato radicalmente la vita in classe. Ecco la testimonianza sul campo di Pietro Bordo, maestro elementare.
(A.C., Ante Covid) Fino a febbraio 2019 i bambini entravano nell’edificio scolastico da soli e andavano verso l’aula tutti insieme, salendo le scale con un parlottare vivace, allegro; sorridendo e scherzando.
(D. C., Dopo Covid) La maestra (la presenza maschile statisticamente è quasi insignificante in Italia) aspetta la sua classe all’ingresso; l’unica classe ad entrare in quel momento. Fra i bambini c’è sempre allegria, ma il continuo «distanza!» pronunciato dalla maestra la smorza. E la mascherina ne limita la visibilità. Eppure annullare la distanza fisica fra di loro, l’«appiccicarsi» è una delle azioni che più naturalmente i bambini vorrebbero fare. Nessuno scherza.
Le nuove regole, ognuno per sé
A. C Dopo aver camminato, a volte corso, per i corridoi, vociando allegramente, lasciavano i giubbotti fuori dell’aula, disfacevano lo zaino e andavano a sedersi, attendendo l’inizio delle lezioni. Con tanti che si avvicinavano ai compagni e raccontavano nell’orecchio chissà quali segreti, con certi sguardi…
D.C. Camminano nei corridoi in fila, con la maestra; parlando, ma non con l’allegria di prima. Davanti all’aula si celebra il rito della sanificazione: la maestra distribuisce il liquido miracoloso, che dovrebbe tranquillizzare tutti ma in realtà tiene vivo il pensiero del pericolo Covid ed intristisce i bambini. I giubbotti si portano in aula e si mettono sullo schienale della propria sedia. E da ora nessuno può più muoversi. Fuori orario, si può andare al bagno solo in casi eccezionali.
Tutti chiusi al proprio banco
A.C. Era bello ed educativo per i bambini durante le lezioni scambiarsi gli oggetti di uso comune o prestarsi quelli mancanti o dimenticati a casa: libri personali, matite, penne, gomme per cancellare, fogli di carta. d.C. È vietatissimo: ognuno «chiuso» nel suo banco, senza nemmeno poter condividere il libro con chi se l’è scordato e quindi non può seguire la lezione. E se qualcuno ha dimenticato l’astuccio il problema è irrisolvibile. a.C. La maestra girava tra i banchi, si avvicinava a chi era in difficoltà e gli sussurrava una parola d’incoraggiamento all’orecchio; e c’era una carezza, un contatto fisico, con tutti. I bambini ne hanno un grande bisogno. d.C. Teoricamente non si può fare nulla di quanto appena detto, io lo faccio, ed il bambino sente la lontananza della maestra e la carenza di una modalità di rapporto alla quale è sempre stato abituato e che gli è innata. E, dicono gli psicologi e lo vedono le maestre nei loro occhi, ne soffrono tanto e ne sono destabilizzati. a.C. Durante la ricreazione in aula era bellissimo vedere il formarsi, con continue variazioni, di gruppetti di bambini che giocavano, si scambiavano confidenze, programmavano e realizzavano giochi fantastici, si mostravano disegni fantasiosi. E all’aperto, nonostante gli ampi spazi, spesso c’erano gruppi vari di bambini a distanza ravvicinata; oltre che intenti a giocare a rincorrersi. d.C. Teoricamente dovrebbero stare seduti anche durante la ricreazione, ma io e gli altri docenti del mio team li facciamo alzare, a patto di stare ognuno dietro la sua sedia. Che tristezza infinita. Ed alcuni bambini si igienizzano ripetutamente le mani con il liquido portato da casa..
A pranzo come i monaci
A.C. e D.C I trenta minuti del pranzo sono più o meno gli stessi. La differenza fondamentale è che sconsigliamo ai bambini di parlare quando sono senza mascherina e le distanze fra i commensali sono maggiori di prima, quando erano tutti molto vicini, a pochi centimetri; come in un pollaio. Per chi passa tante ore al giorno con i bambini è facile immaginare quanto soffrano del distanziamento fisico, che per fortuna non è «sociale», come ignorantemente (nel senso etimologico) detto da tanti da ormai più di un anno. E la scienza lo conferma: secondo uno studio dell’Università della California, c’è una prospettiva psicodinamica che vede nella creazione dei legami sociali ravvicinati una delle condizioni indispensabili per permettere l’evoluzione del pensiero e, soprattutto, della personalità.
Il gioco dell’oca
Qualche giorno fa, poiché non possono spostarsi dal loro banco neanche durante la ricreazione, ho inventato il gioco del salto: tutti dietro la loro sedia a saltellare e chi si ferma per ultimo ha vinto. A loro piace moltissimo. Ovviamente appena vedo il primo che sta per fermarsi fermo tutti: tutti vincitori. Poi si inizia di nuovo. Così fanno «motoria» e si distraggono. E la mascherina per otto ore è un vero sacrificio per tutti. Lo è anche per me, che al massimo la devo portare per sei ore, un giorno alla settimana. Non voglio immaginare fra poco, quando nelle aule la temperatura salirà di molto… Quante volte devo dire, con mio grande dispiacere, «tira su la mascherina». Mi fanno una tenerezza infinita. Qualche giorno fa evidenziavo l’importanza delle misure per uscire dalla pandemia e una bambina di otto anni mi ha detto: «Ma se è passato più di un anno e siamo tornati al punto di partenza, come nel gioco dell’oca!». Non so se questa frase sia stata «farina del suo sacco», ma di certo mi ha fatto molto riflettere.