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Scuola, contro il progetto di Renzi: Resistenza, Resistenza, Resistenza

MArina Boscaino

18/06/2015
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Il Fatto Quotidiano

Resistenza, Resistenza, Resistenza. A questo concetto, a questo Luogo della storia nazionale, a questa pagina imprescindibile della nostra identità richiamano le tracce della I prova dell’esame di Stato. E al concetto di cittadinanza consapevole.

Appare quindi ancor più rocambolesco il fatto che Matteo Renzi pronunci parole completamente contrarie mentre annuncia il possibile rinvio del progetto della sedicente Buona Scuola. Come previsto, l’evidenza del più diffuso dissenso che la storia italiana abbia fatto registrare rispetto ad un intervento sulla scuola, invece che essere acquisito come l’espressione della partecipazione dei cittadini e di un lavoro di controproposta attiva rispetto ai progetti governativi, viene rubricato come assenza di responsabilità: “Quest’anno con 3000 emendamenti in commissione, non si riesce ad assumere i 100mila a settembre. Le scelte dell’opposizione hanno come conseguenza che il provvedimento non riuscirà ad entrare in vigore in tempo per settembre“.

Un copione già scritto da tempo; rincara ancora il grande comunicatore: “Se ci sono gli emendamenti, se sono tutti contrari, sembra che sia io l’unico che vuole assumerli“. Era talmente chiaro che la farragine antidemocratica, mercantilista, oltranzista ed autoritaria della Buona Scuola non avesse altre ali che quella dell’imposizione, che sin da novembre (con la chiusura dell’ “ascolto” a senso unico, che aveva tuttavia evidenziato un pronunciamento netto ed inascoltato nei confronti dell’inemendabilità del documento “la Buona Scuola”, ribadito in aprile nei confronti del testo del ddl che ne derivò) Comitati per il sostegno alla Lipscuola, Autoconvocati, forze sindacali e partiti dell’opposizione iniziarono a chiedere lo stralcio delle assunzioni del precariato da far confluire in un decreto, promuovendo una discussione più distesa sul resto del testo. La prova di tutto ciò è nelle memorie delle audizioni – inascoltate, ovviamente – che in molti abbiamo depositato in Commissione cultura della Camera e del Senato; oltre che in innumerevoli comunicati stampa; oltre che in una straordinaria mobilitazione, che ha visto coinvolti docenti, studenti e genitori in migliaia di assemblee, iniziative, manifestazioni e, il 5 maggio, nel più grande sciopero che il mondo delle scuola ricordi, protratto poi in uno straordinario blocco degli scrutini.

Era prevedibile che Renzi tentasse la carta della “responsabilità” e l’extrema ratio della “guerra tra poveri”. Alla quale rispondiamo ricordando quella mobilitazione, ancora viva e generosa in tutto il Paese, che al ricatto – vi assumo i precari, ma voi accettate il resto del “pacchetto” senza discutere – aveva ribattuto con una ragionevole controproposta. Affermare: “la #buonascuola prevede 100mila prof in più, organico funzionale e più soldi per la scuola. Noi ci siamo, spero anche gli altri” è una menzogna demogagica, oltre che un invito superfluo, che ancora una volta – servendosi dei media di regime – il premier prova a diffondere: è stato abbondantemente dimostrato che i “pagherò” previsti dalla riforma sono smentiti dalla legge di Stabilità e dal Def.

Che l’assunzione dei precari – peraltro decurtata di un terzo da settembre ad oggi e non casualmente – non era un risultato scontato. Ma sono state parole vane, non prese in considerazione, esattamente come le delibere dei collegi, gli appelli, i tentativi di parlare nei Nazareni e nelle Leopolde.

Ci sono poi altri due elementi che l’ipertrofia comunicativa in chiave vittimistica di Renzi – dove i Buoni sono lui e i suoi giannizzeri, i Cattivi tutti gli altri – sta fingendo di rimuovere: i pareri di commissione Bilancio, ancora non espresso, e – ancora – Affari Costituzionali, dove addirittura il governo è stato battuto. E – soprattutto – l’emorragia di voti che il Pd ha subito nell’ultima tornata elettorale, che evidenzia non solo che il Pd non è più il adrone delle ferriere; ma che il mondo della scuola ha avuto un’influenza enorme su quell’esito. Si spiega così l’accoglienza “democratica” dei 3mila emendamenti al Senato, quando alla Camera, un mese fa, come è noto, è stata fatta carne di porco (attraverso la tagliola e il contingentamento dei tempi) di un altrettanto alto numero di emendamenti presentati lì.

Anche se non ce lo dice lui, dobbiamo rivendicarlo. Siamo stati grandi. E lo siamo stati con la forza delle nostre ragioni, con la costanza dello studio, la pervicacia di una mobilitazione che da quasi un anno ci vede studiare, approfondire, argomentare un’altra idea di scuola. Ce lo ha detto ieri sera Mineo, che è intervenuto al presidio Unicobas a Roma: se torneranno indietro, sarà merito vostro.

Oggi più che mai, a esami di Stato iniziati, a Generale Estate incombente, dobbiamo e vogliamo essere uniti, a rappresentare l’unica parte di società che è riuscita a mettere in moto e a mantenere integro un processo di mobilitazione intransigente contro l’autoritarismo di questo governo. Ancora oggi, al Pantheon, alle 17, un’iniziativa condivisa da tutti i sindacati della scuola. Un risultato inedito, costruito con faticosa mediazione, al quale plaudiamo e che rappresenta la profondità e la convinzione del nostro impegno e delle nostre ragioni. E restituisce un senso ulteriore all’orgoglio di essere docenti della scuola pubblica italiana: docenti/cittadini consapevoli e resistenti, uniti per il massimo presidio di democrazia ancora esistente.


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