Scuola, con la didattica a distanza si lavora di più e si studia di meno
Promossa dalla Flc Cgil e realizzata dalla Fondazione Di Vittorio: un terzo degli insegnanti durante il lockdown tra il 3 aprile e il 7 maggio non è riuscito a raggiungere tutti gli studenti della propria classe, percentuali ancora più drammatiche al Sud. Carichi di lavoro più pesanti, enormi difficoltà nella conciliazione tra i tempi di vita e di lavoro, carenti le infrastrutture digitali e le connessioni. Per il 76% dei 1197 docenti interpellati l’insegnamento in presenza è «insostituibile»
Roberto Ciccarelli
Con la didattica a distanza svolta durante il «lockdown» tra il 3 aprile e il 7 maggio un terzo di 1197 docenti delle scuole di ogni ordine e grado non è riuscito a raggiungere tutti gli studenti della proprie classi. La situazione è stata peggiore al Sud dove la percentuale di insegnanti è diminuita al 24,2%, nelle Isole al 23,7%.
Lo sostiene la ricerca «La scuola “restata a casa”» presentata ieri a Roma dalla Flc-Cgil insieme alla Fondazione Giuseppe Di Vittorio, le università Sapienza di Roma e di Teramo. Nei tre lunghi mesi in cui le scuole italiane sono state chiuse per bloccare la diffusione del Covid questa modalità dell’insegnamento online davanti a uno schermo del computer ha assicurato un simulacro di continuità didattica ma ha prodotto un impatto negativo sulle condizioni di lavoro per la maggior parte dei professori: per circa due su tre (64,7%) il carico di lavoro è aumentato in modo rilevante. Questo è accaduto in particolare ai docenti della scuola primaria (73,9%) e a quelli degli istituti professionali e tecnici (69,5%). Nelle scuole dell’infanzia l’aumento dei carichi di lavoro è stato nettamente inferiore alla media. Le più colpite sono state le lavoratrici che hanno dovuto subire le conseguenze più pesanti della mancata conciliazione tra i tempi del lavoro online e quelli «fuori» dal lavoro svolto comunque nello spazio della stessa abitazione.
In un settore come quello dell’insegnamento dove la presenza femminile è maggioritaria questo aspetto si è rivelato decisivo. Ad aggravare le condizioni di vita e di lavoro ha contribuito anche la macchinosità dei processi decisionali interni agli istituti sorpresi da una modalità operativa tecnologica mai sperimentata prima da tutto il corpo docente, per di più contemporaneamente e senza alcuna preparazione. In sei casi su dieci sono stati attivati corsi di formazione per permettere a chi non ha mai insegnato da un computer di acquisire le capacità necessarie. In mancanza di prassi consolidate nella metà dei casi (52,8%) la didattica a distanza è stata definita unilateralmente dal dirigente scolastico e dai suoi collaboratori. Ciò ha aumentato le difficoltà di comunicazione e di organizzazione del lavoro anche tra i colleghi. I docenti si sono adattati, hanno usato perlopiù computer personali (8 su 10) e la connessione delle proprie abitazioni. Nel 60% casi hanno condiviso i «device» con gli altri membri della propria famiglia a loro volta impegnati nel lavoro online oppure con i figli che seguivano le lezioni.
Nello studio emerge questo spaccato rappresentativo della condizione materiale del lavoro digitale che i docenti stanno continuando a svolgere anche in queste settimane dopo l’inizio dimezzato del nuovo anno dove le scuole hanno dovuto organizzare il caos di spazi inadeguati, orari frammentati e una didattica online alternata con quella in presenza. L’inchiesta ha permesso anche di fare emergere l’inadeguatezza delle infrastrutture tecnologiche e degli strumenti digitali a disposizione. Per questa ragione un terzo degli insegnanti in tutto il paese (3/5 del campione risiede nelle regioni settentrionali, con un’età media di 50,7 anni) non è riuscito a raggiungere tutti gli studenti.
La causa principale di questo deficit tecnologico è la difficoltà a raggiungere una connessione, o ad averne una stabile, in particolare nelle scuole dell’infanzia e nelle primarie. L’indagine non si è soffermata sull’uso delle tecnologie proprietarie e delle piattaforme digitali per la didattica scelte dal Ministero dell’Istruzione (Miur) a discapito di quelle di libero accesso e pubbliche. Una scelta ideologica chiara che nega lo sviluppo sistematico di piattaforme aperte e di cittadinanza.
La ricerca conferma una riflessione che circola in questi mesi nella scuola: la didattica in presenza è insostituibile, fa parte della scuola come esperienza e creazione di relazioni. Lo sostiene il 76,6% degli intervistati. La didattica a distanza è intesa solo come una soluzione temporanea legata all’emergenza virale e non può essere istituzionalizzata attraverso le ipotesi circolanti sulla cosiddetta «didattica blended». Sulla didattica a distanza urgono regole contrattuali – sostiene Francesco Sinopoli (Flc Cgil) – Va convocato urgentemente un tavolo presso il Ministero o l’Aran». «L’idea del governatore Zaia di metterla agli ultimi anni delle superiori per risparmiare sui trasporti pubblici è una assurdità. Non si possono scaricare sulla scuola i problemi esterni di cui si è sempre saputo».