Scuola, caos sulla riforma Giannini: «Contro di me usati metodi squadristi»
Il ministro contestato. Verso lo sciopero del 5 maggio
ROMA Paura? «No, non ho avuto paura, anzi. Ma mentre ascoltavo accuse che per me erano e restano fuori dalla realtà, pensavo con dispiacere ai militanti del Pd che volevano assistere al dibattito per capire e magari anche criticare».
Il giorno dopo la contestazione da parte di studenti e prof dei Cobas alla Festa dell’Unità a Bologna, la ministra dell’Istruzione Stefania Giannini torna sull’accaduto. Loro urlavano e rumoreggiavano con pentole e coperchi, lei alla fine ha dovuto lasciare il tendone alla Montagnola senza riuscire a pronunciare una parola. «Metodi squadristi» dice. «Ci hanno negato un confronto utile». Ma non è preoccupata, perché «questi contestatori non rappresentano di certo la scuola italiana, questa non è la scuola che conosco».
Ma il mondo della scuola è in subbuglio, inutile negarlo. Professori, precari e non, ma anche studenti, bidelli. E presidi. Giovedì sera migliaia di prof hanno improvvisato flashmob in tutta Italia vestiti a lutto. Venerdì scorso in diecimila erano a Roma. Il 5 maggio ne sono attesi migliaia a Milano, Roma, Palermo, Bari, Catania, Cagliari. E quel giorno si fermerà tutta la scuola, la prima volta con i sindacati tutti uniti dal 2008: Flc Cgil, Cils scuola, UIl scuola, Snals, Gilda. Perché il disegno di legge della Buona scuola va avanti e la preoccupazione — e il senso di incertezza — cresce.
Dalla prossima settimana comincerà l’esame degli oltre 2.400 emendamenti presentati in commissione Cultura e Istruzione alla Camera. Poi l’11 maggio il testo arriverà in Aula. L’obiettivo del governo è arrivare alla fine di giugno alla sua approvazione definitiva. Una corsa contro il tempo per riuscire a far partire la macchina burocratica per assumere centomila professori precari e averli in classe dal primo settembre 2015. «Abbiamo calcolato tutto — assicura il sottosegretario all’Istruzione Davide Faraone — ce la faremo». Anche il Partito democratico ha presentato degli emendamenti. «Abbiamo accolto proposte di modifica — spiega ancora Faraone — e il potere dei presidi, ad esempio, sarà ridimensionato: il piano d’offerta formativa sarà deciso dal consiglio d’istituto e non più dal dirigente e anche i duecento milioni di euro per premiare gli insegnanti più bravi saranno assegnati da un nucleo di valutazione all’interno del quale il preside è soltanto uno dei protagonisti».
Il ruolo del preside è uno dei nodi dello sciopero del 5 maggio. Il presidente del Consiglio Matteo Renzi sogna il «preside sindaco» dai super poteri. Gli insegnanti temono un «preside padrone» dal potere assoluto. «Ma più potere — dice Faraone — significa anche più responsabilità e il dirigente che pensa di comandare senza l’aiuto dei suoi collaboratori non potrà mai far funzionare la sua scuola». Piuttosto, aggiunge, «il ddl va guardato nel merito: tre miliardi di euro alla scuola non sono pochi ed è incredibile che noi assumiamo 160 mila persone in due anni e i sindacati scioperano contro le assunzioni, a me questa sembra più una protesta per riaffermare la titolarità del loro potere che altro, perciò noi andiamo avanti tranquilli e determinati, se con le proteste come quelle di Bologna pensano di intimidirci hanno perso il lume della ragione».
Ma intanto lo sciopero del 5 maggio impensierisce il premier visto che invierà una lettera prima del 5 a tutti gli insegnanti per spiegare (ancora una volta) la sua Buona scuola. «È un ulteriore incentivo allo sciopero, qualcuno si sta già organizzando per rimandargliela indietro» sorride Mimmo Pantaleo, della Cigl scuola. E poi spiega che «intorno alla Buona scuola cresce il malcontento: docenti, studenti e famiglie si lamentano dell’incertezza più assoluta su tutti i fronti: non c’è un’idea, ma solo imposizioni dall’alto senza ascoltare né discutere». Il sottosegretario non è d’accordo: «Abbiamo ascoltato tutti: ma se i sindacati pensano di contare più di studenti, genitori e insegnanti si sbagliano di grosso, dopo anni in cui comandavano, oggi accettino di essere una parte della scuola, accettino il loro ruolo con umiltà, non ci siamo fermati sul Jobs act, non ci fermeremo sulla scuola». Promette Pantaleo: «Se il testo non cambia, lo scontro continuerà, non escludiamo nulla dopo il 5 maggio, ma noi siamo sereni, molto sereni».
Claudia Voltattorni
cvoltattorni@corriere.it