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Scontro nel governo sulle scuole chiuse nelle zone arancioni. La trattativa

Sulla scuola è frizione nel governo. Tanto che la firma del Dpcm, in scadenza il 5 marzo, da ieri è slittata a oggi

02/03/2021
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La Stampa

roma

Sulla scuola è frizione nel governo. Tanto che la firma del Dpcm, in scadenza il 5 marzo, da ieri è slittata a oggi, quando una nuova cabina di regia convocata di prima mattina dal premier dovrà sciogliere il nodo delle chiusure scolastiche. La discussione nel consiglio dei ministri ieri pomeriggio si è inoltrata fino a tarda sera, ma alla fine il punto di caduta che oggi verrà probabilmente messo nero su bianco nel nuovo decreto coincide con quanto proposto dagli esperti del Cts: passare alla didattica a distanza le scuole di ogni ordine e grado nelle zone rosse e in quelle arancioni quando in comuni e province si superano i 250 contagi ogni 100mila abitanti in una settimana. Quindi la serrata scatterebbe nelle "rosse" Alto Adige, Molise, Basilicata e più di mezza Umbria. Alle quali la prossima settimana se ne potrebbero aggiungere altre, vista la crescita dei contagi. Ieri sono scesi appena sopra quota 13mila, ma con un numero di positivi rispetto ai tamponi eseguiti ancora in salita. Mentre la soglia dei 250 contagi oggi la superano solo Trento e Bolzano. Alle quali presto potrebbero fare compagnia intere regioni, come Abruzzo, Emilia-Romagna, Umbria, Lombardia e Marche. Tutte realtà dove in molti comuni o in intere province, come quelle di Bologna e Perugia, le scuole sono già chiuse.

Ma su questa soluzione non tutti sono d'accordo nell'esecutivo, a cominciare dal ministro dell'Istruzione Patrizio Bianchi. «Le scuole dovrebbero essere chiuse per ultime, lì almeno i ragazzi li controlliamo invece di farli radunare nei centri commerciali dove invece nessuno sa cosa facciano», ha esordito dopo che il ministro della Salute, Roberto Speranza, aveva invece provato ad alzare ancora l'asticella, proponendo di serrare i portoni dai nidi ai licei non solo in fascia rossa ma anche nelle nove (per ora) regioni arancioni. Una linea dura per niente condivisa dal ministro dello Sviluppo economico, il leghista Giancarlo Giorgetti e dalla Titolare della famiglia, Elena Bonetti.

Ad annuire al ragionamento fatto da Bianchi è stato proprio Draghi. E se alla fine le chiusure ci saranno, sia pure chirurgiche fuori dalle regioni rosse, questo si deve alla forza dei numeri dello studio dell'Iss, che lo stesso Speranza ha sciorinato perorando la causa del rigore. Il "focus sull'età evolutiva" elaborato dall'Istituto mostra infatti che dall'8 febbraio tra i ragazzi di età compresa tra i 10 e i 19 anni l'incidenza dei casi ogni 100mila abitanti è diventata maggiore di quella riscontrata in qualsiasi altre fascia di età. E dall'11 gennaio, quando la campanella ha ripreso a suonare dopo le vacanze natalizie c'è stato un rialzo importante anche tra i più piccoli di età compresa tra zero e nove anni. Segno che le varianti stanno dilagando nel Paese, visto che gli studi condotti soprattutto in Gran Bretagna mostrano che le versioni mutate del virus contagiano più facilmente bambini e ragazzi. Che magari non si ammalano, ma finiscono per contagiare con conseguenze più serie gli adulti. Tanto più che per chi ha meno di 18 anni nessun vaccino è stato autorizzato.

Un ragionamento che ha fatto breccia sui più, anche se le conclusioni verranno tirate solo stamattina, prima di fare un passaggio con le regioni, alle quali il governo chiederà di allinearsi alla linea dettata dal nuovo Dpcm. Senza fughe in avanti, come quelle di De Luca, che con la Campania in zona gialla ha comunque chiuso tutte le scuole da questa settimana. —


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