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Scienziati italiani, mobilitiamoci anche noi

di Pietro Greco

01/11/2012
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l'Unità

IN POCHI GIORNI L’EUROPA E GLI USA SI GIOCHERANNO UNA PARTE DEL LORO FUTURO.Quella fondata sul ruolo che ha e deve avere la scienza nella loro società e nella loro economica. Il 22 e il 23 novembre a Bruxelles si incontreranno i capi di stato e di governo dei 27 per definire il budget della Ue per gli anni 2014-2020. Si dovrà decidere, tra l’altro, il budget di Horizon 2020, ovvero il programma di investimenti per la scienza. Alcuni Paesi, come l’Italia, chiedono un aumento degli investimenti rispetto agli anni passati, per recuperare il gap che l’Europa sta accumulando rispetto alle altre aree, avanzate o emergenti, del mondo nella «società della conoscenza». Altri, come il Regno Unito, puntano su un taglio del bilancio dell’Unione, compreso quello per la scienza e l’innovazione. Due settimane prima, il 6 novembre, gli americani eleggeranno il loro nuovo presidente. Uno, il presidente uscente Obama, ha dato prova in questi quattro anni passati di puntare sulla scienza per rilanciare la competitività del suo Paese e ha dichiarato che, se sarà eletto, la sua Amministrazione continuerà a puntare sulla ricerca pubblica. Lo sfidante, il repubblicano Romney, punta invece a un drastico taglio del bilancio federale, investimenti in scienza e sviluppo tecnologico compreso. In entrambi i casi si assiste a una «discesa in campo» di premi Nobel, che avvertono l’importanza drammatica della scelta che potrebbe chiudere un ciclo multisecolare dell’Occidente. Negli Stati Uniti ben 68 laureati a Stoccolma hanno lanciato un appello a favore di Obama, perché non solo vedono a rischio la scienza pubblica ma le fondamenta stesse dell’economia e della società americana. Un’interpretazione fatta propria, la scorsa settimana, da Nature, la più diffusa e prestigiosa rivista scientifica al mondo. In Europa ben 44 tra premi Nobel e Fields Medals (una sorta di Nobel per matematici) hanno lanciato lo scorso 23 ottobre un appello perché il budget di Horizon 2020 non venga tagliato e l’Europa segua le indicazioni di Antonio Ruberti e Jacques Delors e cerchi di entrare da protagonista nella società e nell’economia della conoscenza, l’unica strada per uscire dalla crisi attuale e conservare la sua più grande invenzione, il welfare state, lo stato del benessere. L’appello, nelle ultimo ore, è stato sottoscritto da altri 3 premi Nobel e, soprattutto, da 100.000 ricercatori dell’intero continente, che hanno sottoscritto un appello parallelo proposto dall’Ise (Initiative for Science in Europe). I due gruppi di scienziati che si sono mobilitati indipendentemente l’uno dall’altro, hanno chiaro tre cose. La prima è che è la scienza ad aver garantito lo sviluppo impetuoso dell’Occidente nell’ultimo mezzo millennio. E che se l’Occidente lo dimentica, smarrisce la propria identità. La seconda è che in molti Paesi dell’Occidente la destra politica ha perso coscienza del ruolo che ha la ricerca scientifica nel determinare quella che Adam Smith chiamava «la ricchezza delle nazioni». Lo ha dimenticato la destra americana, con Romney; la destra britannica, con Cameron; la destra italiana, con Tremonti. Ma è anche vero che il mondo economico occidentale dalla finanza che non libera risorse, alle industrie che non innovano ad aver smarrito l’antica ricetta. La terza è che la comunità scientifica ha il dovere di mobilitarsi. Che non può starsene in disparte a guardare mentre in sede politica ed economica si gioca una così grande partita. Diciamolo francamente. Nessuna di queste tre cose è ancora sufficientemente chiara in Italia, dove la partita è ancora più decisiva. Pochi si avvedono, nel mondo politico ed economico, persino tra gli economisti, che quella della ricerca è una partita decisiva non per un piccolo gruppo di scienziati, ma per il futuro del Paese. Pochi associano la crisi del nostro Paese al fatto che l’Italia ha scelto, mezzo secolo fa, un «modello di sviluppo senza ricerca» e che oggi ne paga le conseguenze. Pochi distinguono tra conservatori e progressisti nel nostro Paese anche sulla base del diverso ruolo che la destra e almeno una parte più sensibile del centrosinistra assegnano alla scienza nella costruzione di un futuro economicamente, socialmente ed ecologicamente desiderabile. Ma è anche vero che la comunità scientifica italiana stenta a mostrare la reattività che in questi giorni stanno dimostrando sia la comunità scientifica americana sia la comunità scientifica europea. Non sappiamo se per ritrosia, paura o rassegnazione gli scienziati italiani stentano a mobilitarsi in numero sufficiente contro il declino del Paese. Mentre i colleghi americani ed europei dicono loro che è giunta l’ora di scendere in campo.


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