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Scienza a porte aperte

Openaccess: l’accesso totale,libero e gratuito alla conoscenza oggi è possibile grazie alla tecnologia e può accelerare la democrazia del sapere. Ma restano molti ostacoli, dalle lobby delle case editrici a problemi di sicurezza

01/09/2013
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l'Unità

OPEN ACCESS ALLA CONOSCENZA SCIENTIFICA. REALIZZARE IN MANIERA DEFINITIVA E INTEGRALE L’IDEALE che, secondo lo storico Paolo Rossi, ha caratterizzato la nascita della scienza moderna in Europa: abbattere il «paradigma della segretezza». Comunicare tutto a tutti. Open data: rendere integralmente accessibile non solo la letteratura scientifica consolidata, ma che tutti condividano con tutti ogni e qualsivoglia dato in ogni e qualsivoglia modo è stato raccolto. Si apre domani, lunedì 2 settembre presso il Convitto Nazionale Regina Margherita ad Anagni, il convegno «Scientific Data Sharing», la condivisione dei dati scientifici, organizzato da Giovanni Destro Bisol, dell’Istituto Italiano di Antropologia dell’Università La Sapienza di Roma in collaborazione con l’Istituto Italiano di Paleontologia Umana. Si tratta di un convegno internazionale e interdisciplinare, che ha il merito di riproporre anche in Italia un tema che è diventato di primaria importanza fuori dai nostri confini. Certo, come ci ricordava il compianto Paolo Rossi, la domanda di trasparenza totale del processo di produzione della conoscenza è antica come la scienza stessa. Ma la novità è che oggi sono non solo gli scienziati ma anche i governi, di qualsiasi colore politico, a fare proprio questo ideale. Il presidente democratico degli Stati Uniti, Barack Obama, per esempio, ha chiesto e sta ottenendo che tutta la ricerca finanziata con fondi federali sia open access: accessibile gratuitamente a tutti. E il premier conservatore del Regno Unito, David Cameron, ha fatto propria l’indicazione contenuta già nel titolo di un rapporto della Royal Society, una delle più antiche e prestigiose accademie scientifiche del mondo: «Science as an open enterprise», considerare la scienza un’impresa aperta. E, dunque, rendere accessibile a tutti le conoscenze e i dati su cui si fondano le conoscenze. Questa spinta non solo alla trasparenza totale, ma addirittura alla condivisione integrale di ogni conoscenza, muove da diverse cause. La prima è di natura etica. La conoscenza scientifica, come sosteneva Francis Bacon, non deve essere a vantaggio di questo o di quello, ma dell’intera umanità. Il prerequisito per realizzare questo ideale è che la conoscenza scientifica sia accessibile all’intera umanità. Una seconda causa è di natura tecnologica. La comunicazione elettronica consente finalmente di comunicare tutto a tutti in maniera relativamente poco costosa. Un’altra costellazione di cause è di natura epistemologica. Oggi al mondo lavorano oltre sette milioni di ricercatori. Una comunità scientifica che è superiore alla somma di tutti gli scienziati vissuti in tutte le epoche precedenti. Nel medesimo tempo oggi al mondo viene prodotta una quantità di dati, scientifici e non, superiore alla somma di tutti i dati prodotti nelle epoche precedenti. Dobbiamo cogliere tutte le opportunità offerte da questo numero inusitato di cervelli che lavorano insieme. E per farlo occorre che questi cervelli costituiscano una reale comunità. Ovvero che condividano tutte le conoscenze, per poterne produrre di nuove. Di più, come sostengono Jim Gary e altri pionieri della computer science, la messa in comune delle conoscenze e di una quantità senza precedenti di dati processati da computer sempre più potenti costituisce di per sé un’innovazione. Può portare a un nuovo modo di produrre scienza. A un «quarto paradigma», dopo i due della scienza galileana le certe dimostrazioni e le sensate esperienze e dopo il terzo paradigma, quello della simulazione, reso possibile dal computer. Il quarto paradigma consisterebbe nella possibilità di mettere a punto algoritmi capaci di scoprire cose nuove sulla natura semplicemente processando una grande quantità di dati. Diciamo la verità. Sono soprattutto questi due ultimi motivi ovvero la possibilità di accelerare il processo di produzione di nuova conoscenza che muovono i governi verso l’open access e l’open data. Ma c’è un altro motivo che muove molti scienziati e settori più o meno consapevoli della società. Un’esigenza di democrazia. Viviamo nella società della conoscenza. La libera circolazione dei dati, delle informazioni, del sapere è nel medesimo tempo un fattore di efficienza e di partecipazione democratica in questa nuova era della storia dell’umanità. Tuttavia, per quanto forte e generale sia ormai la tendenza verso la comunicazione di tutto a tutti, non mancano gli ostacoli che vi si frappongono. Alcuni sono interni alla comunità scientifica e, tutto sommato, facilmente superabili. Un ostacolo all’open access deriva dalla potente lobby della case editrici scientifiche, che vuole continuare il ricchissimo business. Questo ostacolo può essere facilmente superato spostando l’onere dei costi dai consumatori (chi acquista la conoscenza) ai produttori (gli scienziati che intendono pubblicare i loro lavori). Un ostacolo all’open data viene dal singolo ricercatore o da gruppi di ricercatori, poco disponibili a condividere dati che potrebbe portare altri a produrre scoperte. Un ulteriore ostacolo, più tecnico, deriva dalla necessità di trovare standard comuni tra gruppi di discipline scientifiche diverse. Sono questi due temi che ad Anagni saranno oggetto di particolare attenzione. Tuttavia i principali ostacoli alla «scienza come libera impresa» e alla comunicazione totale delle conoscenze vengono dall’esterno della comunità scientifica. Una prima costellazione di ostacoli viene posta dalle imprese private che finanziano la ricerca e che sono interessate a tenere per sé non certo a condividere conoscenze e dati. Un’altra costellazione di ostacoli viene da quei settori pubblici che si occupano di sicurezza. La libera circolazione di conoscenze e dati viene considerata un pericolo per i cittadini e per le istituzioni. I casi recenti e clamorosi di Wikileaks o di Edward Snowden hanno posto il problema all’attenzione dell’opinione pubblica mondiale. Ma il conflitto tra libera circolazione dei dati e sicurezza è molto più vasto e profondo. E non è un problema semplice. Dal modo in cui sarà risolto dipenderà non solo il futuro della scienza. Ma anche della democrazia nell’era della conoscenza.


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