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Scelte da fare per lo sviluppo

di Guglielmo Epifani

25/08/2012
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l'Unità

 E' un fatto sicuramente da apprezzare la scelta del governo di dedicare il primo consiglio dei ministri al tema della crescita.Troppe parole in libertà e contraddittorie sono corse in questa calda estate e troppo in discesa si mantiene l’andamento dell’economia, della produzione, degli investimenti e dell’occupazione per pensare di non fare altrimenti. Dire un giorno che l’autunno sarà drammatico e vedere il giorno dopo la luce in fondo al tunnel non sono necessariamente due previsioni antitetiche. Ma a condizione che si spieghi bene l’una e l’altra e soprattutto che si decida di fare del tema degli stimoli alla crescita il cuore dello scorcio finale della legislatura. Il punto di partenza da ricordare è sempre lo stesso. Siamo l’unico Paese che in oltre 5 anni di crisi e di recessione non ha fatto la benché minima politica anticiclica. Nulla per sostenere redditi, o consumi, nulla per favorire investimenti pubblici a sostegno della domanda nei settori tradizionali o in quelli legati all’ambiente e la messa in sicurezza dei territori, nessuna politica industriale o di difesa intelligente dei nostri presidi strategici.
Fiat e Parmalat, Finmeccanica o l’Alcoa, mentre qualcosa si è mosso per l’Ilva, sono i simboli di quanto sia provinciale e sbagliato il nostro modo di intendere il rapporto tra libertà di impresa e interesse nazionale. Inoltre, la difficoltà di accesso al credito e i costi del credito, in una fase di contrazione della domanda interna, continuano a cancellare migliaia di piccole e medie attività e altrettanti posti di lavoro: nell’artigianato, nel turismo, negli esercizi commerciali. Il realismo che si chiede è dunque quello di partire dalla pesantezza della situazione e di dedicare al tema della crescita almeno lo stesso impegno che il governo dedica al rigore dei conti e alle politiche di bilancio.
Troppa politica dei due tempi c’è stata e troppi ritardi. Poi bisogna saper scegliere le priorità e sapere su quali risorse per quanto piccole si può contare in questi mesi. Appare insensato puntare su piani per i quali non vi sono le risorse ma anche fare decidere alla Ragioneria dello Stato scelte che spettano alla responsabilità di governo e Parlamento. Se infatti una osservazione va fatta alle ipotesi che circolano nelle dichiarazioni di questi giorni, è l’assenza di un criterio di selezione e di priorità legate anche ai tempi di attuazione. Tra una riduzione dell’Iva per settori che produrranno effetti da qui a qualche anno, e incentivi per interventi capaci a breve di stimolare investimenti e occupazione, vanno scelti questi ultimi. Così come vanno prese di petto le situazioni di crisi settoriali a partire dal settore dell’auto. Qui cosa dobbiamo ancora aspettare? Altri disimpegni, altri investimenti ritardati, altre chiusure di stabilimenti e di aziende della filiera? Ci sono poi delle scelte che attengono più propriamente a delle scelte politiche. Si possono fare politiche anticicliche senza risorse, puntando solo sulle semplificazioni normative o burocratiche, che pure sono importanti? Si possono fare politiche industriali senza il ruolo decisivo della mano pubblica? Si possono liberare risorse, in una fase con pochi margini, spostando carichi fiscali in modo più equo? E si può per il breve periodo e per il lungo, sacrificare ancora la ricerca, l’innovazione, la stessa formazione, troppo piegata a una alternanza scuola lavoro di basso profilo? E infine: è proprio impossibile operare deroghe al patto di stabilità degli enti locali rigorosamente ispirate agli interventi già coperti da finanziamenti nel campo della messa in sicurezza di edifici e territori? Anche sui consumi si può e si deve far qualcosa. Se era già incomprensibile l’aumento delle accise sui carburanti prima, lo è oggi di più a maggior ragione. L’ inflazione italiana si mantiene più alta della media europea e questo non aiuta i redditi più bassi e le aree di povertà. L’inflazione fa bene agli equilibri di bilancio del Paese, ma questa non appare proprio una buona ragione per lasciarla andare. Le accise si possono e si debbono ridurre, anche con soluzioni mobili come quelle sperimentate nel passato. E i riflessi di una tale scelta aiuterebbero una parte dei consumi delle fasce popolari oltre a dare uno stop alla crescita dei prezzi malgrado la recessione.
Vi sono poi campi in cui si possono fare cose utili in tempi brevi. L’agenda digitale sicuramente, e ancor di più la restituzione dei crediti delle pubbliche amministrazioni. La stessa Cassa dei depositi e prestiti può essere chiamata ad altri interventi di sostegno a processi di riorganizzazione nel campo delle utilities degli enti locali e delle reti infrastrutturali mentre fondi europei vanno indirizzati sempre di più verso formazione e ambiente. Il segno di fondo che va chiesto al governo è sostanzialmente quello di cambiare velocità, di far capire all’insieme del Paese che ritrovare fiducia non passa solo, come pure è evidente, da quello che si stabilisce in Europa, ma anche da quello che si fa da noi, e che non può essere solo una politica di tagli e sacrifici. Il Consiglio dei ministri ieri ha, da quel che si sa, impostato il quadro. Ma ora è tempo di passare alle azioni concrete.


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