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Sapere è potere

L'll ottobre la scuola torna in piazza con lo slogan "Non c'è più tempo" Sinopoli, Flc Cgil: la vera emergenza è l'università, l'unica in grado di fare sviluppo

21/09/2013
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LEFT AVVENIMENTI

Donatella Coccoli

Non c'è dubbio, sono lontani i tempi  cupi dei tagli del ministro Gelmini.  E anche quelli del successore Profumo  che nel suo breve mandato sotto il governo  Monti si è distinto per la lotta alla dispersione  scolastica grazie, però, ai fondi europei  recuperati dal ministro Barca. Attorno a Maria  Chiara Carrozza, il nuovo responsabile del  dicastero dell'Istruzione, il clima è molto diverso.  Anche perché il suo decreto legge del  12 settembre "L'istruzione riparte" rappresenta  un'inversione di rotta. Per la prima volta, infatti,  dal 2008, nel sistema formativo sono previsti  investimenti (400 milioni di euro) e possibilità  di reclutare personale. Ma dopo cinque  anni e dieci miliardi di euro tolti a scuola e università,  con la perdita di oltre 130mila posti di  lavoro e il calo di iscritti negli atenei, la svolta  deve essere cruciale. Per una politica dello  studio capace di incidere sullo sviluppo sociale  ed economico. «Quale ruolo hanno i saperi  nella nostra società?», si chiede Roberto  Campanelli, che fa parte del coordinamento  dell'Unione degli studenti. «È su questo che bisognerebbe  ragionare. Dopo anni in cui l'istruzione  è stata considerata un peso, un costo, la  scuola pubblica è rimasta spogliata di dignità e  di attenzione nei confronti degli studenti e dei  docenti. Eppure, una società più alfabetizzata,  che riesce a raggiungere livelli alti del sapere  ha meno problemi sociali, è più creativa e può  trasformare le intelligenze in motore di arricchimento  anche economico» afferma il portavoce  dell'Uds.  Ma al di là degli obiettivi ideali da raggiungere  nell'istruzione pubblica - che in altri Paesi europei,  pur in crisi, sono stati recepiti da tempo  - rimangono le battaglie immediate. L'Uds  e Link coordinamento universitario negli anni  "caldi" della riforma Gelmini hanno dato vita  alla Rete della conoscenza e ora indicono per  1'11 ottobre una manifestazione in tutta Italia.  Lo slogan è "Non c'è più tempo". L'urgenza  riguarda soprattutto gli interventi in materia  di diritto allo studio. Con la crisi, con l'incubo  degli affitti aggravato dallo spettro della  "Service tax" - piombata come una tegola  dopo l'abolizione dell'Imu - poter contare sulle  borse di studio è importante, soprattutto  per chi si trova in condizioni economiche disagiate.  Nel decreto "del fare", alla voce "welfare  dello studente" è previsto un aumento di  100 milioni al fondo statale integrativo. «Sono  cifre irrisorie, rispetto a quanto è stato tolto  negli anni. Servirebbero altri 350 milioni solo  per gli idonei», commenta Roberto Campanelli.  Anche Alberto  Campanelli, portavoce  nazionale di Link, è critico: «Sul versante della  stabilizzazione e del reclutamento dei docenti,  il decreto presenta novità positive ma è  totalmente insufficiente per quanto riguarda  il diritto allo studio. Se nella legge di stabilità  non ci saranno cambiamenti, gli investimenti  per gli studenti saranno comunque inferiori a  quelli di quest'anno, e cioè di 151 milioni», sostiene   Campanelli.  Una situazione che conosce bene Federica  Laudisa, dell'Osservatorio diritto allo studio  del Piemonte. «È positivo che abbiano destinato  100 milioni al fondo statale. Purtroppo,  però, è una cifra minima. E anche se sommata  ai 12 milioni e mezzo previsti per il 2014, è  tra le più basse degli ultimi anni. Nel 2012 il finanziamento  era stato di 162 milioni, nel 2009  di 246 milioni, un incremento deciso dalla Gelmini  che però in precedenza aveva azzerato le  risorse». In Italia tra fondi statali, regionali e  le entrate delle tasse regionali al diritto dello  studio (che pagano gli stessi studenti) non si  arriva a 500 milioni. In Francia e in Germania  un terzo degli studenti ha una borsa, in Italia  non sono nemmeno il 10 per cento. «Parigi e  Berlino sborsano addirittura due miliardi per  il diritto allo studio. Senza pretendere queste  cifre astronomiche, basterebbe guardare alla  Spagna dove i fondi nel 2010-2011 ammontavano  a 900 milioni», conclude Federica Laudisa.  Poi c'è un altro problema da risolvere: «La disomogeneità  tra le regioni sulle modalità di accesso  alle borse di studio», riprende Campanelli. Da Nord a Sud, infatti, cambia la soglia di  reddito oltre la quale non si ottengono assegni.  Ora si tratta di individuare e garantire una volta  per tutte i Lep (livelli essenziali di prestazioni)  su tutto il territorio nazionale. Ma se per la  scuola un po' di risorse vengono investite, nel  decreto legge del governo Letta «sull'università  e la ricerca c'è molto poco», denuncia Francesco  Sinopoli segretario nazionale Flc Cgil.  «Oggi la vera emergenza è quella: vengono  chiusi corsi su corsi, cala l'offerta formativa  insieme al numero di iscritti. E il reclutamento  - continua il sindacalista - continua a essere  bloccato. E non solo perché non ci sono risorse  ma anche perché la famosa abilitazione nazionale  basata sui criteri dell'Anvur (Agenzia  nazionale di valutazione) non ha portato risultati  soddisfacenti».  Le cifre parlano chiaro: secondo i dati già forniti  da left del 31 agosto, i corsi universitari nel  2013 sono 4.324, con una flessione del 21 per  cento rispetto ai 5.519 del 2007. E il declino  universitario italiano è palese rispetto all'Europa  e ai Paesi asiatici, dove invece la rincorsa  al sapere è uno dei fattori di sviluppo. Se i  laureati nella media Ocse sono il 40 per cento  della popolazione, in Italia sono solo il 21 per  cento. Ed è chiaro che i ritardi di oggi li pagheremo  domani. «Proviamo a immaginare cosa  sarà dell'Italia nel 2040 quando nel resto del  mondo i livelli di istruzione saranno ancora  più alti», fa notare Sinopoli. Che come soluzione  vede solo una strada: «Aumentare il numero  dei laureati, aumentare l'offerta formativa,  qualificarla. E quindi rifinanziare i fondi per  il funzionamento ordinario degli atenei, ricominciare  ad assumere persone». Stessa cosa  vale per gli Enti pubblici di ricerca (Epr) in cui  serve un piano straordinario di reclutamento  dei precari e nuove assunzioni. «Nel decreto  c'è qualche segnale per gli Epr: meno passaggi  burocratici e autorizzazioni e i nuovi assunti  all'Istituto nazionale di geofisica e vulcanologia.  Ma occorre un piano nazionale della ricerca.  La Francia ha stanziato qualcosa come  800 milioni per la nanoelettronica», conclude  Sinopoli. «Parigi vuole competere nell'ambito  della grande strategia di "Europa 2020". Investe  fondi statali, rafforza la politica della ricerca.  Che poi diventa anche politica industriale  ». Perché non si possono separare istruzione  e lavoro e, come dice Roberto Campanelli «il  problema dell'Italia è anche nel sistema produttivo,  incapace di assorbire le intelligenze  che il nostro sistema formativo - pur con tutte  le difficoltà - riesce a far emergere».


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