“Salvate gli ultimi prof maschi”
Lo studio. I ricercatori della Bicocca hanno condotto una ricerca per focus-group chiedendo a maestri e educatori come si percepiscono. Il dato comune è che sono ancora forti pregiudizi e stereotipi. L’allarme: soltanto donne in cattedra, con gravi conseguenze sull’educazione dei ragazzi
di Sara Ricotta Voza
C’è una «questione maschile» in Italia e, a guardare solo la politica e l’economia, non ce ne eravamo neanche accorti. Infatti riguarda ambiti professionali in cui il potere è poco e il denaro ancora meno: scuola, educazione, cura. La «questione» affiora in due dati che già parlano da sé. Il primo: i bambini delle scuole elementari di oggi hanno 4,6 probabilità su 100 di incrociare sulla loro strada un maestro maschio. Il secondo: i laureati maschi in Scienze della Formazione - ex Magistero - sono costantemente calati nell’ultimo decennio fino a toccare nel 2009 quota 12 per cento (dati Almalaurea). Dodici beati tra 88 donne, e chissà quanti avranno lasciato in corsa per via del sentirsi minoranza.
Dati che hanno fatto scattare all’Università di Milano Bicocca l’allarme «questione maschile» dopo anni di «questione femminile» dominante, una sorta di segregazione (o autosegregazione) formativa al contrario, in cui a perderci non sono solo gli uomini che non vedono più nel mondo della scuola, dell’educazione e della cura un habitat per loro, ma soprattutto le nuove generazioni, che rischiano di avere una formazione tutta al femminile fino all’università.
Ne è nata una giornata di studio a cui hanno partecipato in qualificata moltitudine pedagogisti, sociologi, storici, insegnanti e operatori del mondo del sociale. Un primo brainstorming su un fenomeno di cui non sono ancora chiare le motivazioni né le conseguenze. La premessa è che la presenza maschile non è «uniformemente scarsa» in tutti i gradi dell’insegnamento. «Fra i professori ordinari in università è anzi preponderante, cala via via che i livelli educativi vanno verso la scuola primaria», rileva Carmen Leccardi, docente di sociologia.
Nella primaria, infatti, l’estinzione del maestro maschio è quasi completa (per non parlare della materna), mentre nelle medie e in alcune materie al liceo sta avanzando inesorabilmente. Con quali conseguenze, si è iniziato ora a discuterne. «Si manifesterà nella difficoltà a costruire modelli di genere soprattutto per i piccoli maschi e i giovani maschi, e in seguito nelle relazioni fra i due generi» sostiene Barbara Mapelli, docente di Pedagogia delle Differenze di genere.
Al contrario, «la presenza di figure educative di entrambi i generi in tutti i livelli di educazione scolastica e prescolastica offrirebbe a bambini e bambine la possibilità di acquisire una maggiore complessità di visione del mondo, per stili di vita, emotività, fisicità, comunicazione»: questa l’analisi di Stefania Ulivieri Stiozzi, docente di Teorie e modelli della consulenza pedagogica e organizzatrice del seminario alla Bicocca.
Ma quali sono le ragioni storiche e sociali di questo allontanamento dei maschi dall’educazione? C’è chi ha parlato quasi di un ritorno all’800, quando è nata la figura della «maestra» per consentire alla donna che non poteva o voleva essere solo madre di istruirsi e svolgere una professione lontano dagli studi e dalle posizioni elevate riservate agli uomini. C’è chi ha parlato di ritorno, anzi di persistenza del «virilismo» che ritiene antitetico alla virilità tutto ciò che ha a che fare con l’infanzia - regno dell’indeterminatezza, dell’insicurezza e della fragilità per antonomasia - , e questo in controtendenza con ciò che succede in famiglia, dove invece l’uomo non considera svilente occuparsi dei bambini.
Quali che siano le ragioni, per il professor Duccio Demetrio, ordinario di Filosofia dell’Educazione, si tratta di una «deriva inevitabile e irreversibile». Non resta che da chiedergli perché proprio lui, uno dei pochi maschi in facoltà, sia così tranchant. «La deriva è irreversibile perché si tratta di professioni che subiscono un calo progressivo di prestigio sociale. È un problema di immagine personale, prima di tutto davanti ai genitori. Ricordo la faccia di mio padre quando a 20 anni dissi che volevo fare l’alfabetizzatore di strada».
Per il professor Demetrio nonsi può far finta che non ci sia «il problema del denaro, del successo, della carriera». E conclude: «Educare, ex-ducere, vuol dire anche portare altrove, farti vedere lontano. Scontiamo una società in cui c’è una crisi del maschile intrinseca, perché gli uomini non riescono a dare mete in cui investire. Per fortuna i giovani le cercano, al di là dei padri».