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Roma capitale del Sud del mondo

Roma capitale del Sud del mondo Intervista a Walter Veltroni "Le giornate africane e la manifestazione del 17 aprile" Il balconcino dell'ufficio di Walter Veltroni si affaccia sul Foro romano:...

09/04/2004
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Roma capitale del Sud del mondo
Intervista a Walter Veltroni
"Le giornate africane e la manifestazione
del 17 aprile"

Il balconcino dell'ufficio di Walter Veltroni si affaccia sul Foro romano: davanti a sé, sembra quasi di poterlo toccare, c'è l'arco di Settimio Severo, poco più in là quello di Tito. Davvero una vista unica al mondo, una quotidianità lavorativa immersa in un contesto ambientale invidiabile. Il sindaco di Roma ne conviene. Ma non è questo che lo rende un politico - forse uno dei pochi oggi in Italia - "felice del lavoro che fa". "Sono sereno", dichiara con uno dei suoi accattivanti sorrisi, "nonostante che sia alle prese con un'impresa titanica come quella di governare Roma, nonostante le difficoltà generali, nonostante la scarsità delle risorse". Nonostante la drammaticità delle notizie che di continuo arrivano dall'Iraq. Sono le nove del mattino di mercoledì, si apprende dalle agenzie che stamani "ci sono 36 civili uccisi a Falluja". "E' la prima volta dal '45 che l'esercito italiano spara e uccide, mi pare", commenta il sindaco a proposito della "battaglia di Nassirya", con una nota d'amarezza nella voce.
"Il fatto è che questa responsabilità", dice evadendo di forza dal clima di guerra che si respira "esalta la politica, nel suo senso più alto e nobile: ovvero il poter fare delle cose non solo coerenti con ciò che pensi e dici, ma utili e in qualche modo solide. Cose, insomma, che si sforzano di tradurre le idee in risultati concreti, che cambiano la vita quotidiana di tanta gente". L'altra sera, per dire, il sindaco ha inaugurato una piazza in un quartiere della periferia, progettata e costruita insieme agli immigrati che la abitano: è il genere di cose che gli danno una particolare soddisfazione. Come il lavoro in corso di illuminazione delle periferie, che prevede almeno un centinaio di chilometri di nuova rete. O come - per parlare di temi romani di piena attualità - l'elezione del consigliere municipale aggiunto in rappresentanza della comunità extracomunitaria. Un bilancio lusinghiero che, magari, rischia di diventare trionfalista? "Tutto è perfettibile, figuriamoci l'amministrazione di una metropoli". Intanto, i sondaggi galoppano: il 90 per cento dei cittadini di Roma che hanno eletto la giunta di Veltroni si dichiara molto soddisfatta del lavoro svolto in questi primi due anni. Ma non solo: lo stesso bilancio positivo viene dalla grande maggioranza - il 70 per cento - di coloro che, a suo tempo, si sono astenuti e anche dall'elettorato dell'opposizione, per esempio dal 55 per cento degli elettori di An.
E' su questo sfondo che si colloca il tema principale di questa intervista: le giornate per l'Africa, che culmineranno nella manifestazione del 17 aprile.

Tu sei stato molto colpito, pressoché segnato, dal viaggio africano compiuto negli anni '90, quando eri ancora "soltanto" il segretario ds. Mi pare che tu abbia investito molto su questa iniziativa. Con quale intento?
Mi pare che sia la prima volta che, in una città occidentale, si fa una manifestazione di questo tipo, con questa centralità politica - dico politica perché la politica, spero non solo per me, non può ridursi ai problemi del Palazzo o al dibattito dei gruppi dirigenti dei partiti. Per la sinistra l'Africa è oggi la dimensione identitaria per eccellenza: è quello che sono state, simbolicamente, date come il 1 maggio o l'8 marzo. Se fai un viaggio vero lì, ne torni mutato, emotivamente ma anche e soprattutto intellettualmente: tutto il resto ti sembra secondario. L'unico parallelo emotivo che posso fare con questa esperienza è la visita ad Auschwitz. Voglio dire che i livelli di diseguaglianza e di disumanità che ha raggiunto questo continente sono imparagonabili con qualsiasi ingiustizia o iniquità - che certo c'è - qui da noi. Vuoi qualche cifra?

Sì.
Ci sono nel mondo oggi 842 milioni di persone che soffrono di malnutrizione, e la gran parte di loro sono africane. Ci sono 24 mila bambini che ogni giorno muoiono di fame - ogni giorno, ripeto, e i tre quarti di loro sono bambine. Se ce ne fossero trenta in Europa, che cosa succederebbe, che cosa diremmo? Ci sono, in Africa, 24 milioni di malati di Aids, e undici milioni di orfani, che diventeranno 24 milioni nel 2010. Nel Botswana il 40 per cento della popolazione è sieropositivo, il 31 nel Lesotho, il 33 nello Zambia. Nel Mozambico la speranza di vita è di 38 anni. Nell'insieme del pianeta, ci sono 121 milioni di bambini che non sono mai andati a scuola. Ti bastano queste cifre?

Sono cifre agghiaccianti, certo. Non ti sembra che, di fronte a questi nudi numeri, l'esaltazione delle bellezze della globalizzazione diventi un'astrazione un po' assurda?
Questa globalizzazione porta con sè una dimensione terribile di crescita delle diseguaglianze - sociali, culturali, umane. Un tempo, anche nella nostra famiglia politica, si diceva che esse, prima o poi, sarebbero state corrette, che alla fin fine tutti avrebbero beneficiato del maggiore sviluppo prodotto dal mercato mondiale. Ma l'Africa smentisce proprio questo ottimismo a futura memoria, come ha detto Giuliano Amato nel suo recente contributo sulla dimensione sociale della globalizzazione, per l'Ufficio Internazionale del Lavoro. Se guardi ancora alle cifre, scopri che i bambini africani esclusi dalla scuola e da qualsiasi istruzione primaria stanno aumentando, non diminuendo: qualche anno fa erano 20 milioni, oggi sono, lo dicevamo, 24 milioni. E ti aggiungo: ci sono centoventimila bambini-soldati, perché quello, anche se i media non se ne occupano, è un continente dilaniato dalle guerre, non solo dalla fame e dal sottosviluppo. Si pensi alla tragedia del Ruanda e ai suoi 4 milioni di morti...

Vedi qualche barlume di speranza per questa realtà così spaventosa?
Bisogna credere che ci sia una possibilità di uscirne. L'ho vista, questa possibilità, perfino quando son stato in un ospedale e, davanti ai miei occhi, un ragazzino è morto di dissenteria, una malattia da cui in occidente si guarisce con una pillola, credo. Perché in Africa tutto è grande, smisurato, epico, ti confronti con le dimensioni vere ed essenziali - la vita, la morte, la pace, la guerra. Ti misuri con ciò per cui sei nato alla politica e ai valori della sinistra. E scopri che lì, tra la gente, c'è una grande allegria. Non sembri un paradosso: una signora mi ha spiegato perché. Mi ha detto: abbiamo tutti i flagelli possibili, la guerra, la violenza, la fame, come faremmo se fossimo anche gente triste o cupa?

Mentre sciorinavi dai tuoi fogli quei numeri e raccontavi la tua esperienza, mi è venuto in mente questo gran discutere di "riformismo". Che senso ha, Walter, un concetto come questo proiettato su una dimensione, così orrenda e così perciò esorcizzata, come l'Africa? Non ti sembra abissale la distanza?
Ho sempre pensato che "riformismo" e "radicalità" sono fratello e sorella - non possono esser separati se non a prezzo di gravi conseguenze. A che serve un "riformismo" senz'anima, a che serve una "radicalità" scioccamente estremista? La grandezza della sinistra (o dei democratici) è quando è riuscita a tenere insieme queste due dimensioni, a varare riforme vere, che riuscivano a tradurre in scelte concrete un progetto generale. Quando negli Usa i neri hanno ottenuto il diritto di voto, non è stata questa una riforma vera e radicale, che mutava in profondità la società americana?

Peccato, però, che poi questa straordinaria conquista sia stata svuotata e resa nella pratica inaccessibile. Ma torniamo all'iniziativa di Roma. Lo sfondo l'hai delineato. Ma quali sono, se così possiamo dire, le sue parole d'ordine?
Il tema di fondo è l'urgenza di una radicale redistribuzione della ricchezza del mondo. E le parole d'ordine della manifestazione del 17 sono chiare e nette: la cancellazione del debito, la gratuità delle medicine (il flagello dell'Africa non è solo l'Aids, sono malattie come la malaria), l'embargo all'esportazione di armi. E la partecipazione dei paesi africani alle istituzioni internazionali: è mai possibile che il G8 decida le sorti del mondo - soprattutto del Sud del mondo - senza che neppure una sua rappresentanza sia presente o coinvolta?
Mi sembra che i giornali non stiano dando grande rilievo all'appuntamento del 17 settembre
E' vero: passare sui media con l'Africa è difficilissimo. Anche se poi si scopre che tra la gente c'è grande interesse. Questa giornata, se andrà bene - se ci saranno tante persone che si incontrano, si mischiano, si parlano nella stessa piazza, e per una giusta causa - sarà un evento rivoluzionario.

Qualcuno ti potrebbe "accusare", per così dire, di moralismo cattolico. Di un approccio in realtà poco politico e molto volontaristico...
A parte il fatto che i cattolici stanno facendo in Africa cose straordinarie - tutti, dai missionari cappuccini ai padri comboniani fino alla comunità di Sant'Egidio - io affermo che il problema è del tutto politico. Non è moralismo, è necessità ineludibile di redistribuire ricchezza, reddito, risorse. Quando Enrico Berlinguer parlava di "austerità", intendeva proprio questo, un mutamento di fondo del nostro modello di sviluppo, delle nostre abitudini di vita. Una scelta che vale, perfino, in un'ottica egoistica: quanto può andare avanti un continente come l'Africa, in queste condizioni? Se non cambia qualcosa, noi - noi occidente - ci troveremo ad un'ondata migratoria senza precedenti, alla crescita esponenziale del fondamentalismo, a nuovi e più devastanti conflitti. Se nasco in Mozambico e so che posso sperar di campare al massimo fino a trentotto anni, perché non devo venire in occidente dove si campa spesso fino a 80 e oltre? Se sono povero e disperato, come faccio a non identificarmi in una religione magari fanatica ma che in qualche modo mi riscatta? Voglio dire: l'occidente è ad altissimo rischio di esser travolto. Guarda come vivono i ricchi a Johannesburg: asserragliati in città-bunker, e quando escono in macchina non si fermano mai ai semafori, perché c'è quasi sempre un povero in agguato che si ripiglia con la violenza un po' di ricchezza...

C'è anche, o no, un fondamentalismo dell'occidente?
Sì che c'è: e si esprime nell'idea dello scontro frontale delle civiltà. Ecco, l'iniziativa per l'Africa è anche una risposta a queste idee impaurite di difesa della civiltà occidentale. E' la pratica del dialogo, della tolleranza, della contaminazione. E' l'idea di Roma città aperta, una comunità metropolitana dove tutti - tendenzialmente - vivono la città con agio, partecipano, fanno cultura. Sai qual è una delle iniziative di cui sono più fiero? Stiamo costruendo una scuola a Maputo - era una baracca di lamiere, senza banchi, con i bambini a cui veniva dato un foglio, in tutto l'anno, per scrivere, cancellare e riscrivere. Con i ragazzi dei quattro licei d'élite di Roma - Tasso, Virgilio, Visconti e Mamiani - la città di Roma costruirà una scuola vera. E andremo a inaugurarla con loro. Ecco, anche questo fa parte integrante della mia idea di città. Una città che cresce, economicamente e culturalmente. Dove, mi pare, si respira un altro clima. Che è comunque ciò che dà il senso al nostro lavoro di questi anni.
[Rina Gagliardi]


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