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Ritroviamo la strada dell'unità facendo decidere i lavoratori

Intervista a Susanna Camusso. Il segretario Cgil accoglie l'appello del presidente Napolitano. Il primo maggio non è archeologia, il lavoro resta centrale, è la forza e la cultura del Paese

01/05/2011
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l'Unità

Oreste Pivetta

Primo Maggio. Il presidente della Repubblica, Giorgio Napolitano, incontra i sindacati e sprona all’unità, quell’unità che si è rotta negli ultimi anni e, clamorosamente, nel corso della vertenza Fiat. “La divisione sindacale – dice Napolitano – danneggia il paese”.

Come accoglie il segretario della Cgil, Susanna Camusso, il richiamo di Napolitano?

“Per la Cgil l’unità non è mai tema derubricato, anche in una stagione di rotture. L’unità è un traguardo che si deve perseguire e cercheremo di ricostruirla a partire dai modi della democrazia e della rappresentanza. Come stare insieme, insomma, per ridare ai lavoratori la possibilità di decidere. Altrimenti decidono sempre e solo gli altri. Cercheremo di ricostruire un’intesa anche riproponendo obiettivi che avevamo condiviso, come quello di una rinnovata fiscalità”.

La vigilia del Primo Maggioè stata anche di polemica per l’eventuale apertura dei negozi, celando appena però l’ostilità di alcuni nei confronti di ciò che di simbolico rappresenta questa data (e non solo questa: la stessa sorte capita al 25 Aprile).

“Sì, c’è qualcuno che ha definito il Primo Maggio qualcosa che attiene l’archeologia. Vorrei rispondere che il lavoro resta la voce centrale dell’esistenza di un paese, è la sua ricchezza, la sua forza, è una ragione di coesione sociale e di solidarietà. Altro che archeologia. Ma c’è dell’altro, perché attraverso quell’attacco, in realtà molto ideologico, ci si vorrebbe confermare nell’idea che in fondo nella moltiplicazione dei consumi è l’unica via d’uscita dalla crisi. La crisi dovrebbe invece indurci a riflettere sulla validità di certi modelli. Due anni e mezzo fa, quando la crisi cominciò a manifestarsi, altrove si avviò una discussione, anche sul capitolo delle regole. Si concluse, altrove, che un certo sistema non funzionava, che non si poteva lasciar campo libero alla finanza in una condizione di globalizzazione. In Italia sembra che si sia dimenticato tutto, che la regia debba essere solo del mercato e che la democrazia e quindi la politica siano solo ostacoli. Un caso tutto nostro: di fronte agli ultimi annunci di Sergio Marchionne, l’attenzione è andata alle quotazioni finanziarie, magari al modo grazie al quale smantellare i diritti anche alla ex Bertone, nessuno che si sia interrogato sulle auto, che Marchionne ha promesso e con le quali la Fiat dovrebbe vincere la concorrenza”.

D’altra parte abbiamo visto eminenti ministri (parlo di Brunetta) pronunciarsi contro la presenza della parola “lavoro” nella Costituzione e un presidente del consiglio garantirci che avrebbe cancellato un articolo della Costituzione che secondo lui rappresenterebbe un limite alla libertà di impresa…

“Insensati attacchi a princìpi costituzionali, come se in quei princìpi stesse l’impedimento al grande balzo sulla strada della modernizzazione. Quando certo liberismo si sposa al populismo…”.

Torniamo alPrimoMaggio2011. E’anche il Primo Maggio dell’Unità d’Italia.

“Certo. Ecco, il Primo Maggio non è la festa della Cgil, è la festa del lavoro e dei lavoratori, cioè di una parte, forse la migliore, di questi centocinquanta anni”.

Un altro appuntamento per voi della Cgil, tra qualche giorno, lo sciopero generale. Quali saranno le parole chiave?

“Ancora fisco e occupazione. Fisco perché la lotta all’evasione deve essere reale e perché il fisco va orientato nel senso della difesa dei redditi deboli, della redistribuzione e della giustizia sociale, ma anche dello stimolo all’iniziativa imprenditoriale”.

A proposito di occupazione, gli ultimi dati su quella giovanile sono devastanti e per ledonne non va certo meglio.

“Non si può governare se non ci si pone una domanda in testa a tutto: come creare lavoro e certezza di lavoro. Ovunque si è capito che la precarietà non genera crescita”.

Una ricerca dell’Ocse sul benessere delle famiglie ha messo in chiaro come l’Italia sia ben al di sotto della media europea rispetto a tre aspetti cruciali: occupazione femminile, tasso di fertilità e tasso di povertà infantile. Negli ultimi quindici anni siamo rimasti al palo.

“La situazione è peggiorata, grazie a politiche del governo finalizzate a mortificare l’occupazione femminile. Pensi all’abrogazione di quella norma contro le dimissioni in bianco: è stata cancellata una tutela della maternità e la donna è di nuovo ripiombata in una condizione di ricattabilità”.

Dal peggio ci hanno salvato un po’ le pensioni,un po’ la cassa integrazione, un po’ persino il lavoro sommerso che non si riesce a contabilizzare. Basterà?

“I pensionati con le minime sono al limite della sopravvivenza e molte pensioni dei genitori tutelano i figli senza lavoro. Ci dicono che la cassa integrazione verrà rifinanziata. Attendiamo conferme. Per le imprese non si fa nulla. Manca del tutto una politica industriale…”.

Lo denunciate sempre. Ma come si fa politica industriale oggi nel nostro paese?

“Intanto si deve riflettere sulla nostra struttura industriale, sorretta da piccole imprese che da sole non ce la fanno. Politica industriale significa piano energetico, che agisca sui costi dell’energia e sulla distribuzione, significa investimento sull’innovazione, infrastrutture, che non sono i ponti sullo Stretto ma sono la banda larga o le rete informatiche, semplificazione delle norme e sostegno a certe produzioni e, ad esempio, sostegno della filiera agroalimentare”.

A proposito, stiamo vivendo la vicenda della scalata di Lactalis su Parmalat. Come giudicarla?

“Lactalis non è una novità. L’ultimo atto è la dimostrazione che il nostro sistema non investe e non rischia e non è spinto a sostenere investimenti e rischi. Non è possibile che gli unici che si sono proposti seriamente siano stati quelli della Granarolo, cioè una cooperativa”.

Sarkozy e Berlusconi vogliono rimettere in discussione Schengen. Tito Boeri ha scritto che questo potrebbe rappresentare un blocco alla mobilità in Europa e un grave danno per l’Italia.

“Sì, nell’accodarci a una operazione del genere si vede la nostra difficoltà a gestire il rapporto con il sud del Mediterraneo. Ci lasciamo sopraffare da logiche leghiste. Pensiamo che per superare le difficoltà la cosa migliore sia rinchiuderci. Da una parte viviamo in modo subalterno la globalizzazione, dall’altra sponsorizziamo una chiusura nazionalista, che sa di razzismo. Spegnere la mobilità significa condannarci all’isolamento, perché siamo più deboli, perché non abbiamo capacità di attrazione… L’Europa continua a rimanere un’occasione di sviluppo”


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