Ritorno a scuola, lettera di Daniele Novara agli insegnanti: «Ora non correte con il programma»
L’appello del pedagogista: «Meglio uscire tutti vivi e vegeti sul piano psicologico che compromessi ma con il programma finito»
DI DANIELE NOVARA*
Con la fine del 2020 è arrivata la notizia del vaccino. In attesa che venga al più presto somministrato agli operatori scolastici, nel frattempo cosa si fa? Le scuole hanno una responsabilità particolare. È nella comunità scolastica che si creano le condizioni per una vera ripresa, che le nuove generazioni costruiscono le basi per assumersi le loro responsabilità. Se questo non dovesse avvenire saremmo davvero tutti in pericolo. E i segnali non sono del tutto confortanti. I bambini subiscono la chiusura in casa, la sospensione delle attività sociali, dello sport, delle attività ricreative; subiscono l’isolamento con molta rabbia, tensione, con un dolore interno che non possono esprimere ma che noi tecnici conosciamo bene, oltre ad essere stato ampiamente registrato da varie ricerche.
Non parliamo poi degli adolescenti obbligati a restare nel nido materno senza la possibilità di vivere questa importantissima fase della vita che li porterebbe a separarsi dai genitori. Invece non possono allontanarsi dal controllo e dalla protezione genitoriale. Questo vivere contro natura non ha lo stesso peso psicologico, psicoevolutivo che ha per gli adulti. Si bloccano delle fasi di crescita importantissime, si interrompono dei processi di sviluppo, di apprendimento, di acquisizione di competenze e di sicurezza in se stessi e nel mondo.
Occorre uno sguardo benevolo verso questi alunni, verso questi bambini e ragazzi costretti in una situazione davvero problematica e incerta per la loro vita futura. Da qui questa lettera. Chiedo a ogni insegnante di avere questo sguardo benevolo, uno sguardo non di compassione ma di attenzione ai loro bisogni profondi pur nel rispetto delle tante severe e rigide regole anti Covid. Quali sono? Anzitutto il bisogno di relazione. Non si può andare a scuola restando confinati in un banco, rigidamente seduti su una sedia o senza alcun contatto né verbale né comunicativo con i propri compagni. Non c’è scuola se non si può lavorare assieme, è un eccesso discriminatorio pensare che la sicurezza debba basarsi sul tenere gli alunni non solo alla distanza giusta ma addirittura nell’isolamento sistematico che per i bambini delle elementari con tempo pieno vorrebbe dire 8 ore. Già la necessità, stabilita successivamente alla riapertura scolastica, delle mascherine alla Primaria appare una norma eccessiva. Non aggraviamola ulteriormente con procedure di isolamento che mortificano e deprimono la motivazione degli alunni. E poi il bisogno di seguire i propri tempi. L’apprendimento mai come ora necessita di tempi adeguati non di corse a rincorrere fantasmatici contenuti e obiettivi. Meglio uscire tutti vivi e vegeti sul piano mentale e psicologico piuttosto che compromessi ma con il programma finito.
Infine il bisogno di autonomia, di fare da soli, di vivere la scuola come un’esperienza unica, personale, oggi fortissimamente minacciata da un’iperpresenza genitoriale sull’onda lunga del lockdown primaverile dove tutte le famiglie furono trasformate in doposcuola permanenti. A scuola vanno gli alunni non i genitori. Questo paletto va mantenuto come imprescindibile pena il crearsi di una forte confusione nella responsabilità personale, nella percezione delle capacità stessa degli alunni rispetto ai compiti e agli impegni scolastici. Auguro a voi insegnanti di riprendere la scuola con questa consapevolezza, con l’orgoglio di chi, pur tra le enormi difficoltà, sa di rappresentare davvero il futuro del Paese.
*pedagogista, direttore CPP – Centro Psicopedagogico per l’educazione e la gestione dei conflitti