Ripresa lezioni, il caos è servito
Si sfilano Veneto, Friuli, Campania, Marche e Puglia
Alessandra Ricciardi
Dopo 100 giorni di chiusura, 100 tavoli con i prefetti per lo scaglionamento degli orari di ingresso e uscita, dopo l'accordo in conferenza stato-regioni per la riapertura delle scuole superiori al 50% in presenza, sottoscritto il 23 dicembre, il ritorno dei ragazzi in classe il 7 di gennaio è un gran caos. Varie regione si stanno sfilando dalla data del 7, in nome della preoccupazione per la ripresa dei contagi. Lo stesso governatore Luca Zaia, che si era battuto perché si riaprisse al 50% delle presenze -e non al 75%- alle superiori, pur ammettendo che il Veneto «non ha un problema di trasporti pubblici», ha annunciato che il 7 non si torna in presenza, si procederà con la didattica a distanza fino al fine gennaio. Non torneranno in presenza il 7 le scuole superiori di Veneto e Friuli Venezia Giulia, ma neppure della Campania e sono pronte a sfilarsi anche Marche e Puglia.
Nel consiglio dei ministri che si è tenuto in serata, sulle misure anti Covid, il premier Giuseppe Conte, il ministro per gli affari regionali, Francesco Boccia, e la ministra dell'istruzione, Lucia Azzolina, hanno tenuto il punto sul 7 gennaio. «È vero che le regioni possono decidere diversamente sulla base dei dati epidemiologici, ma devono motivarlo, e chi tira avanti le riaperture per la scuola deve farlo anche per le altre attività che sono a rischio contagio», ha detto Boccia. «Il governo ha mantenuto gli impegni, ora ognuno faccia la propria parte», ha detto la Azzolina.
La sensazione è che ormai sulla scuola si stia consumando non solo uno scontro istituzionale, ma anche la frattura politica della maggioranza di governo. Se per Gabriele Toccafondi, deputato di Italia Viva, «la fretta a chiudere gli istituti superiori risulta incompressibile alla luce dei dati dell'istituto superiore della sanità che dice che solo il 2% dei focolai Covid ha avuto origine nelle scuole, e di questo il 40% alle superiori», c'è chi nel Pd, lo fa la deputata Lucia Ciampi, avalla la diversificazione: «Ritengo che le Regioni, che hanno una conoscenza territoriale approfondita e competenza in materia, siano gli enti preposti per valutare al meglio le misure da adottare. La scelta di Veneto e Friuli di mantenere la Dad va accettata come del resto la volontà della Toscana di riprendere la didattica in presenza». Per il deputato M5S della commissione Bilancio, Luigi Gallo, «la didattica a distanza è una soluzione tampone che non può sostituire in pieno le lezioni in presenza, anche perché rischia di ampliare le diseguaglianze sociali penalizzando i ragazzi che vivono in famiglie meno attrezzate, economicamente e culturalmente, o in territori dove la connessione internet è di peggiore qualità». Insomma, caos politico e caos istituzionale.
Quelli che torneranno certamente in classe saranno gli alunni di infanzia, elementari e medie. Salvo che in Campania, dove si parte dall'11 gennaio solo con infanzia e prime dei classi delle elementari. Poi si vedrà per gli altri.
Intanto l'Istituto superiore di sanità è uscito con il suo ultimo report sull'andamento dei contagi: dal 31 agosto al 27 dicembre, si sono rilevati 3.173 focolai in ambito scolastico, pari al 2% del totale nazionale. La maggior parte dei casi tra i ragazzi di età 14-18 anni, il 40%. Lo stesso istituto però evidenzia «una notevole variabilità nel numero di focolai riportati settimanalmente, ascrivibile sia ai diversi criteri di classificazione adottati a livello regionale che alla ridotta capacità di tracciamento dei contatti». Il numero di focolai scolastici «è quindi sottostimato e alcune regioni (Basilicata, Campania, Liguria, Molise, Sardegna, Valle d'Aosta) non sono state in grado di riportare l'informazione».
L'Iss conclude: «Le scuole devono far parte di un sistema efficace e tempestivo di test, tracciamento dei contatti, isolamento e supporto con misure di minimizzazione del rischio di trasmissione del virus, compresi i dispositivi di protezione individuale e un'adeguata ventilazione dei locali».