Ripresa della scuola: La strategia della flessibilità
Sugli studenti italiani grava il rischio di una caduta negli apprendimenti paragonabile solo agli anni della seconda guerra mondiale, quando comunque a scuola andava una fascia molto più ridotta di giovani.
Sugli studenti italiani grava il rischio di una caduta negli apprendimenti paragonabile solo agli anni della seconda guerra mondiale, quando comunque a scuola andava una fascia molto più ridotta di giovani.
Ci sono rimedi e soluzioni alternative? Riteniamo che di fronte a rischi come quelli evidenziati non vada lasciato nulla di intentato. L’indirizzo politico di tornare alla scuola di prima non può essere perseguito con rigidità e a tutti i costi, e senza tenere nel giusto conto l’imprevedibilità del virus, che costringerà sia a chiusure a scacchiera di classi e di scuole su tutto il territorio, sia a un numero di assenze assolutamente straordinario, anche solo per quanto risulterà difficile distinguere i primi sintomi di un banale raffreddore da quelli del Covid: e un bambino prende in media tra sei e otto raffreddori l’anno… Il tempo scuola va salvaguardato il più possibile, anche con una molteplicità di soluzioni flessibili, pur se non ideali, ma da utilizzare se consentono di contenere l’emorragia di ore di lezione perse. L’approccio rigido, quasi ideologico, della retorica della scuola (solo) in presenza, può trasformarsi in un handicap, date le difficoltà oggettive poste dal contrasto al virus.
Per esempio basterebbe accendere una webcam (piccola telecamera) con microfono durante le lezioni in classe (anche nel primo ciclo), consentendo in tal modo a una parte degli alunni (per scelta o a turno) di seguirle anche a distanza in modalità sincrona. Un accorgimento tecnicamente adottabile nella maggior parte dei casi. E poi introdurre forme di didattica mista, un mix intelligente di lezioni a scuola e a casa, ispirandosi ai modelli di “classi rovesciate”. Infine usare con creatività e programmazione, come sta avvenendo in altri paesi, la leva della didattica fuori dall’aula (nei musei, nei parchi, nei siti archeologici, nei teatri) per attività formative e interdisciplinari (educazione civica, musicale, sportiva, etc), per una quota limitata dell’orario soprattutto nella fase di avvio di questo complesso anno.
Non sarà la condizione ideale, sappiamo tutti che la scuola “più bella” è quella che si fa in presenza, “corpo a corpo”, ma in questo modo il Ministero dell’Istruzione garantirebbe comunque il servizio a tutti, fruibile in presenza o a distanza (mettendosi tra l’altro in una posizione molto meno scomoda dell’attuale). Verrebbero soprattutto meglio salvaguardate le esigenze, e quindi il diritto all’istruzione, degli alunni con fragilità di salute (con patologie croniche come cardiopatici, diabetici, immunodepressi, etc), per i quali il contagio potrebbe essere fatale: potrebbero seguire da casa in collegamento i propri insegnanti insieme ai propri compagni, secondo il modello già sperimentato per la scuola in ospedale. Ci sarebbe possibilità di scelta per tutte le famiglie sulle modalità di fruizione, di giorno in giorno, anche per quelle in preda alla paura del contagio (non è un caso che si stia diffondendo la tentazione dell’istruzione parentale) e in base alle condizioni di salute (se lo studente ha un forte raffreddore, resta a casa ma non perde la lezione). Si avrebbe una migliore gestione delle probabili quarantene in caso di contagio “a scuole aperte”. Si ottimizzerebbe la gestione degli organici (con una parte degli studenti in presenza e gli altri collegati a casa non sarebbe necessario sdoppiare le classi), con possibilità di utilizzare meglio anche i “lavoratori fragili” accertati, che nel caso di modello unico in presenza sarebbero impossibilitati ad insegnare (il che porterebbe a un raddoppio dei costi, dovendo pagare anche i supplenti), mentre con un modello misto avrebbero più possibilità di impiego.
Si tratta di soluzioni adottate con successo nelle università, realizzabili bene nelle scuole superiori e certamente con minore efficacia – lo sappiamo, chiaramente – nel primo ciclo: ma laddove l’alternativa fosse di perdere del tutto milioni di ore di lezione, perché non provare a recuperarne una buona parte? Senza dimenticare che garantire il diritto allo studio degli alunni con fragilità di salute è già un motivo sufficiente.
Le condizioni di fattibilità potevano essere create: un accordo sindacale per regolamentare la didattica a distanza e fuori l’aula, una forma di protezione penale e civile per i dirigenti scolastici che dimostrino di aver applicato con scrupolo le regole, piani di intervento dove mancano connessione e dispositivi e un grande piano di formazione dei docenti mirato sulle conoscenze informatiche di base per chi fosse ancora indietro e sulle metodologie didattiche innovative (applicabili anche nella didattica in presenza) per tutti gli altri: un patrimonio che darebbe frutti non solo quest’anno ma nel tempo.
Una visione d’insieme ampia e pragmatica avrebbe suggerito di puntare mesi fa su questo piano, adeguatamente progettato dal punto di vista organizzativo e metodologico-didattico. Queste ed altre soluzioni all’insegna della flessibilità organizzativa, ritagliate in base alle caratteristiche e alle esigenze di ogni singola scuola, a geografia e geometria variabile, sarebbero attuabili da subito avvalendosi della quota di autonomia degli istituti scolastici (prevedendo una possibile deroga temporanea, ad esempio dal 20% al 40% come proposto in Parlamento dall’on. Valentina Aprea).
Ma il treno in corsa può ancora fare qualcosa, volendo, sia che stia viaggiando sotto controllo come sostengono la ministra Azzolina e il presidente del Consiglio Conte (ma non tutta la maggioranza e forse neanche tutto il Governo), sia per evitare il burrone verso il quale è lanciato, come temono in molti.