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Ripensiamo l’istruzione per non tradire i sogni dei nostri figli

Impariamo dai giovani a essere aperti agli altri e a sfruttare il digitale

16/04/2021
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la Repubblica

di Gianmario Verona

«Igiovani sono dentro i sondaggi catalogati in percentuali » canta Lorenzo Jovanotti. Ci sono i millennial ( i nati dopo il 1985, ultima generazione del secolo scorso), la generazione Z (i primi nativi digitali, nati a inizio millennio), ora anche quella alfa (i nati dopo il 2010). Sappiamo chi sono e lo sapremo sempre di più anche grazie ai big data e ai micro dati che loro stessi ci forniscono con gli strumenti digitali che li accompagnano durante la giornata. Nonostante questo, i giovani riescono sempre a sorprenderci facendo qualcosa al di là delle etichette che gli abbiamo cucito addosso.

Da professore me ne accorgo spesso in aula (anche in quelle virtuali che ci siamo abituati a frequentare da oltre un anno), ma in modo ancor più diretto dalle loro azioni. Prima degli insegnanti e dei genitori, sono stati i giovani a chiedere di tornare a scuola e a rivendicare il loro diritto a imparare. Lo hanno fatto mettendo un banco (senza rotelle!) davanti ai cancelli chiusi delle scuole o tra i pascoli della Val di Sole. Per primi nella storia hanno organizzato scioperi per andare a scuola.

Sorprendente anche leggere il contenuto delle lettere e degli articoli delle centinaia di studenti che hanno aderito a #GenerazioneEu, l’iniziativa di Bocconi e Repubblica@ Scuola con la collaborazione della Rappresentanza italiana della Commissione europea e l’Ufficio di collegamento del parlamento europeo in Italia e che si concluderà il 24 maggio con un evento sul sito di Repubblica con la partecipazione del presidente David Sassoli.

Supporto caloroso a temi da tempo allergici per modernità e complessità all’azione politica: cambiamento climatico (evidentemente Greta Thunberg ha fatto breccia…), richiesta di un digitale più distribuito (la Dad con pessime connessioni ha probabilmente fatto più danni di quanto immaginiamo…), sensibilità ai fenomeni di migrazione e integrazione tra popoli. Bene che il NextGenEU fund ci costringa ora ad affrontare almeno alcuni di essi con il Pnrr che Mario Draghi si accinge a finalizzare in queste settimane. Ma più di ogni altro commento merita una profonda riflessione il richiamo all’Europa come unica in grado di «instaurare un dialogo e impostare la risoluzione delle grandi sfide dei nostri tempi» e ai giovani che non devono «demordere ora, perché sta a noi, che rappresentiamo l’Europa, riprendere in mano le redini del continente, risollevare questa grande potenza offesa e caduta sotto il giogo della depressione sanitaria ». E ancora i ragazzi di #GenerazioneEu scrivono: «Cara Europa sii più severa e meno lontana di come ti sentiamo (…) individua i nuovi Pico della Mirandola e Marsilio Ficino: che ci siano loro a portarci fuori da questo Medioevo».

Seppur di primo acchito sorprendente, l’attenzione che i nostri ragazzi riservano all’Europa è in realtà molto logica: oltre a essere nativi digitali sono anche nativi europei e quando leggono diversità internazionali — se lo fanno — lo fanno più a livello continentale e non certo nazionale. In generale, non conoscono un mondo fatto di barriere e passaporti europei. Sono abituati a viaggiare e sognano di partire con una borsa di studio Erasmus. Grazie ai social media e alle piattaforme condividono in un secondo le emozioni su TikTok, Instagram e Twich, imparando a capire gli idiomi delle lingue mondiali come nessuna delle precedenti generazioni ha potuto fare.

Impariamo allora da questa generazione a essere aperti agli altri, a cercare nella collaborazione la soluzione, a essere sostenibili e a sfruttare il digitale per migliorare la nostra vita. Facciamolo a partire dall’unico vero regalo che possiamo dar loro: concedergli un’istruzione completa e utile affinché possano affrontare la complessità del mondo con la loro determinazione, con le loro passioni, ma anche con la competenza necessaria. Sfruttiamo questo momento di cambiamento per riprogettare una scuola più sensibile al digitale e all’esposizione internazionale — a partire dalla conoscenza delle lingue e delle culture. Fondiamola pure sull’eccellente pilastro della cultura umanistica, ma non trascuriamo le conoscenze Stem che sono tra l’altro l’architrave del mondo digitale. E non sottovalutiamo quella conoscenza pratica e quel metodo, fondamentali per affrontare le sfide della modernità. Sfruttiamo questo momento di cambiamento per ripensare ai percorsi dell’istruzione universitaria, che sono cambiati solo per erigere muri verticali tra saperi, che sono invece paradossalmente sempre più orizzontali e che sfide come la pandemia mettono a nudo. Sfruttiamo questo momento per occuparci dei Neet (i giovani tra 15 e 24 anni né al lavoro né in istruzione, che in Italia nel 2020 contano il 20.5 contro il 11.6 nella media Ue): oltre a contare quanti sono, cerchiamo di capire dove e perché abbiamo fallito con loro e cerchiamo di costruire dei percorsi formativi di recupero il più in fretta possibile.

Le scuole stanno riaprendo e speriamo che non si debba tornare indietro. Ma a questi giovani cui abbiamo obbligato di mettere in pausa la loro vita dobbiamo molte risposte sul mondo che stiamo costruendo per loro. Cerchiamo di non tradire la loro fiducia. Se riusciremo a farlo, avremo la certezza che anche nei prossimi anni continueranno a sorprenderci.

L’autore è un economista, rettore dell’università Bocconi


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