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Riformista: Un Louvre nel deserto Guerra di religione e d'insegnamento

SPAGNA. I DOCENTI PROTESTANO CONTRO I LICENZIAMENTI

06/03/2007
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Il Riformista

DI SONIA ORANGES

La chiesa spagnola dichiara guerra alla nuova legge legge organica sull’educazione varata dall’esecutivo Zapatero, ma gli insegnati di religione minacciano di dichiarare guerra alla chiesa spagnola. Ieri El Paìs dava voce alle storie di quattro professori di religione canari che hanno vinto 18 processi contro la chiesa cattolica in sei anni per «violazione dei diritti umani». Oggetto del contendere, il diritto dei vescovi a licenziare gli insegnanti di religione, qualora la loro condotta non risulti conforme ai principi cattolici. La recente riforma varata dal governo a guida socialista, infatti, conserva il diritto della chiesa a nominare autonomamente gli insegnanti di religione, stabilendo però per la prima volta che i diritti dei professori di religione si regolano e si adattano allo statuto dei lavoratori. Un’opzione contrattata con le principali organizzazioni sindacali del paese e che, ovviamente, sottrae alla chiesa spagnola il controllo totale sugli insegnanti di religione e sull’univocità del messaggio trasmesso a nome e per conto del mondo cattolico nella scuola. Insomma, una falla da cui potrebbero emergere voci dissenzienti rispetto alle rigidissime posizioni del Vaticano a proposito di matrimonio, figli, sesso, tolleranza e quant’altro è ora sul piatto del dibattito in cui si confrontano (ma forse sarebbe meglio dire si contrappongono) il primato laico e quello cattolico.
A rinvigorire la voce della chiesa, a questo proposito, il mese scorso è stata una sentenza del tribunale costituzionale spagnolo che ha riconosciuto il diritto dei vescovi a licenziare gli insegnanti di religione qualora la loro condotta non sia più ritenuta consona al ruolo che ricoprono. Alla base della sentenza, il caso di Maria del Carmen Galayo, un’insegnante di religione che nel 2000 si vide negare il rinnovo del contratto per «avere una relazione affettiva con un uomo diverso da suo marito, dal quale si era separata». Insomma, la signora viveva nel peccato e quindi non poteva certo insegnare religione ai giovanissimi spagnoli. La sentenza, se ha soddisfatto il vescovo di Malaga, responsabile del mancato rinnovo del contratto, ha irritato gli insegnanti di religione che accusano il tribunale costituzionale di «confonderli con sacerdoti e monache», mentre la diretta interessata ha annunciato che ricorrerà alla corte europea dei diritti umani. Come peraltro faranno i molti altri ricorrenti sparpagliati per tutto il paese. Finora hanno agito nell’ombra, ma dopo la recente dichiarazione pubblicata dalla commissione permanente della conferenza episcopale spagnola a proposito della riforma scolastica targata Zapatero.
Secondo i vescovi, infatti, la legge introduce «nuove regole per gli insegnanti di religione che non rispondono in modo soddisfacente né agli impegni assunti dallo stato con la chiesa cattolica, né alla giurisprudenza in materia» e la chiesa, pur affermando che gli insegnanti di religione «sono lavoratori nel campo dell’insegnamento i cui diritti lavorativi devono essere pienamente riconosciuti e tutelati», sottolinea come essi «esercitano una missione specifica - ossia formare gli alunni nella dottrina e nella morale cattolica - che esige un’abilitazione accademica speciale e una identificazione con la dottrina che insegnano». Il carnet del buon insegnante di religione può concederlo soltanto la chiesa, su questo è d’accordo anche lo stato spagnolo. Ma quel piccolo dettaglio dell’aderenza allo statuto dei lavoratori che di default indica gli ambiti di diritto oltre il quale nessun datore di lavoro può andare, non sembra essere gradito al clero iberico che anzi lamenta di essere impedito dalla nuova legge (e dunque si presume dallo statuto dei lavoratori) nel suo diritto all’imprimatur sui docenti di religione.
Eppure, quel che ha più irritato i professori è stata la dichiarazione del portavoce dei vescovi, Juan Antonio Martinez Camino, che ha negato persino che si tratti di un problema serio, assicurando che i casi di conflitto in tribunale per l’idoneità non concessa per motivi estranei a un normale rapporto di lavoro - come il fatto di essere licenziati perché divorziati - sarebbero davvero molto pochi, 15 al massimo, negli ultimi 20 anni.
Gli insegnanti di religione, però, questa evidente omissione per difetto non l’hanno davvero digerita, e sono usciti allo scoperto, con tutte le proprie storie. Storie che raccontano (ora sulle pagine dei quotidiani spagnoli, ma da anni nelle aule dei tribunali) di contratti non rinnovati e di licenziamenti causati da motivi che attengono alla propria condotta personale e che, fino a prova contraria, in Spagna non costituiscono reato: come sposarsi con rito civile, fare causa all’episcopato «o semplicemente perché sì, perché si è brutti o perché c’è qualcuno più simpatico all’ecclesiastico di tutto da sistemare al tuo posto». E non salvano nessuno, nemmeno l’esecutivo socialista, accusato di non far nulla «per evitare queste cause assurde».


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