Riformista: Si profila una sanatoria per i precari di cui l’università non sente il bisogno
NON È COSÌ CHE SI RILANCIA LA RICERCA DI ENRICO SANTARELLI
I commi dal 647 al 652 dell’articolo 1 della legge finanziaria per il 2007 prevedono un piano di reclutamento straordinario di ricercatori universitari che, accogliendo le istanze del movimento sindacale e di parte del mondo politico, dovrebbe consentire il passaggio nei ranghi del personale a tempo indeterminato di un congruo numero di “precari”. Ma l’assegnazione di nuovi posti di ruolo con questa esplicita destinazione rappresenta davvero un passo in avanti destinato a rilanciare l’università e la ricerca?
Oppure siamo di fronte a una nuova ope legis strisciante, come il compianto Paolo Sylos Labini definì efficacemente la regolarizzazione pressoché automatica di professori incaricati, assegnisti, borsisti e contrattisti attuata con la legge 382 del 1980?
La parola “precario” evoca scenari apocalittici, essendo comunemente associata alla condizione occupazionale di individui (relativamente) giovani costretti a lavorare con basse retribuzioni e poche prospettive per il futuro. In riferimento all’università, nel dibattito corrente la dimensione di questa categoria viene dilatata a dismisura. Qualcuno parla addirittura di quarantamila precari, includendovi: gli studenti iscritti ai dottorati di ricerca; gli assegnisti di ricerca reclutati per collaborare a progetti specifici; i borsisti post-doc beneficiari di finanziamenti atti a consentire loro di ultimare il programma di ricerca iniziato con il dottorato; addirittura i professori a contratto, cioè professionisti o comunque individui affermatisi in precisi ambiti lavorativi ai quali l’università chiede di tenere corsi professionalizzanti per i propri studenti. Fra costoro, quanti possono dirsi realmente precari?
Escludiamo subito i titolari di contratti di insegnamento, a meno che non si tratti di individui sprovvisti di un profilo professionale idoneo a questa funzione. Fra gli altri, i dottorandi sono studenti che usufruiscono di una borsa di studio triennale per portare a termine un programma di formazione avanzata, mentre borsisti post-doc e assegnisti sono titolari di contratti a tempo determinato in attesa, ma ovviamente senza la garanzia, di vincere un concorso pubblico per una posizione (di ricercatore, professore associato o, perché no, professore ordinario) permanente nell’università italiana o di trovare comunque un’occupazione stabile nel mercato nazionale e internazionale della ricerca. In queste categorie, le uniche che in base all’accezione comune dovrebbero essere intese come “precarie” sono quelle degli assegnisti e dei borsisti post-doc. Ma anche qui la definizione appare forzata: se li si considera precari, vuol dire infatti che si è pensato per questi studiosi a una regolarizzazione in massa senza alcuna selezione che premi i migliori ed escluda gli incapaci.
È di questo che ha bisogno l’università italiana per raggiungere livelli di eccellenza? O non, invece, di un ambiente aperto e competitivo, retribuzioni di livello internazionale e differenziate per merito scientifico, rigorosi criteri di reclutamento che spazzino via quelle barriere di passaporto e di scuola accademica che l’hanno fin qui confinata in una anacronistica dimensione provinciale?
La sanatoria che si profila all’orizzonte muove nella direzione opposta, la stessa che fu seguita con la legge 382 del 1980 regolarizzando quei “precari” che erano stati reclutati in gran fretta per effetto dei cosiddetti decreti Malfatti (dal nome del ministro che li aveva varati) dei primi anni Settanta, con i quali si era cercato di far fronte all’esplosione della domanda di formazione universitaria conseguente alla liberalizzazione degli accessi.
Siamo davvero sicuri di volere, con la stabilizzazione in massa dei precari di oggi una nuova, indiscriminata, ope legis? Non potremmo invece limitarci a dare il benvenuto ai nuovi posti di ricercatore auspicando che siano assegnati con procedure trasparenti a giovani studiosi italiani e stranieri realmente meritevoli e verosimilmente destinati ad offrire contributi scientifici significativi nel prosieguo della loro carriera?
Dipartimento di Scienze Economiche - Università di Bologna