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Riformista: «Ragazzi in piedi, entrano i carabinieri»

DROGA. LA DISCUTIBILISSIMA IDEA DI LIVIA TURCO SUI NAS IN CLASSE DI PAOLO SOLDINI

29/05/2007
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Il Riformista

DROGA. LA DISCUTIBILISSIMA IDEA DI LIVIA TURCO SUI NAS IN CLASSE DI PAOLO SOLDINI

Mandare i carabinieri nelle aule scolastiche in funzione antidroga? E perché no nelle case? In fondo, per quanto la scuola sia quello che è, resta pur sempre la casa il luogo in cui i giovani, da soli, in compagnia, chiusi in camera o davanti al papà e alla mamma, sono più propensi a farsi una canna. Un carabiniere dei Nas in ogni famiglia: pensate che bello. I genitori che non hanno mai tempo per parlare con i figli avrebbero risolto il problema: «Maresciallo, ci pensi lei». Per quelli propensi ai metodi educativi forti sarebbe una pacchia: l’uomo della Benemerita potrebbe avere in dotazione una bella scorta di formulari per le denunce (a scuola ci potrebbero pensare i bidelli). Anche l’idea geniale buttata lì dal ministro dell’Interno qualche tempo fa, l’antidoping dopo le interrogazioni, sarebbe assai più facile da mettere in atto. I militi dei Nas, si sa, hanno il loro bravo kit chimico e se lo porterebbero, ovviamente, sul lavoro: «Rossi, somarone, ha preso otto in storia? Bene, ma mi faccia una pisciatina in questa provetta».
Fine dello scherzo. C’è chi ha sorriso per la trovata della ministra della Salute Livia Turco, ma sbaglia. Dietro quella sortita ci sono incoerenze, incomprensioni, errori di valutazione grossi come montagne e Livia Turco ne pare del tutto inconsapevole (cosa che ci dispiace perché la stimiamo come persona e come esponente politico).
Prima obiezione: la scuola ha una sua autonomia, che non è (soltanto) quella propria dell’istituzione, immediatamente richiamata dal ministro della Pubblica Istruzione Giuseppe Fioroni, ma, ben più importante, quella del processo educativo. Se si pensa che i carabinieri possano entrare nelle aule scolastiche per vigilare che non vi circoli la droga, perché non immaginare che possano indagare su altri comportamenti illeciti? E perché no sulla disciplina in classe, sequestrando, magari, qualche telefonino o reprimendo il bullismo? E, via a scendere, perché non ritenere che possa essere loro competenza controllare che i ragazzi seguano le lezioni, prendano appunti, non chiacchierino in classe, vadano veramente in bagno quando chiedono il permesso, facciano i compiti a casa? Non furono due carabinieri col pennacchio ad arrestare Pinocchio che aveva marinato le lezioni? Livia Turco potrebbe a questo punto rispondere che la presenza delle forze dell’ordine servirebbe non a reprimere i comportamenti socialmente scorretti, bensì, più modestamente e in maniera più corrispondente ai compiti di ufficio (ma che c’entrerebbero allora i Nas?), ad individuare e reprimere gli spacciatori. E però l’idea che questo lavoro investigativo-repressivo possa essere fatto in classe è, a ben vedere, ancora più insensata. In questo tipo di indagini essenziale, per ovvi motivi, è la sorpresa. Dovremmo immaginarci, dunque, l’irruzione improvvisa di una squadra antidroga, con cani, armi e quant’altro, durante una normale lezione? Come fosse un’ispezione del preside? «In piedi, ragazzi: entrano i carabinieri». Ma via…
Il punto è, cara ministra, che i problemi della scuola soltanto la scuola può risolverli. Con tutto l’aiuto possibile, ma la scuola. Se in un istituto circola la droga è (salvo casi eccezionali, ovviamente) un problema dell’istituto, del preside, degli insegnanti, del personale non docente, degli studenti. Può essere duro, durissimo. Docenti e ragazzi possono, debbono, essere sostenuti. Anche, se è necessario, dalle forze di polizia (ma fuori). Debbono esistere e funzionare strutture di consulenza, di appoggio, di recupero. Sarà molto difficile, ma non c’è alternativa. Invece di evocare i carabinieri la ministra Turco si metta al lavoro, insieme con il suo collega Fioroni, su una bella indagine conoscitiva. E poi i due elaborino un piano d’azione, coinvolgano i professori, facciano conoscere ai ragazzi la realtà delle comunità di recupero, diano una bella scossa alle famiglie indifferenti. Facciano quello che si presume un ministro della Salute e un ministro della Pubblica Istruzione siano competenti a fare.
La seconda obiezione che facciamo non riguarda la ministra Turco, ma tutta la classe dirigente e l’establishment inteso nel senso più largo. In Italia sempre più spesso vengono sollevati i problemi soltanto nella forma delle emergenze. La ministra della Salute ha pensato ai carabinieri sull’onda del turbamento creato dalla morte, avvenuta proprio in una scuola, d’un ragazzo che aveva fumato uno “spinello” tagliato con una sostanza, evidentemente, pericolosa. Si tratta di una circostanza dolorosissima, ma il fatto che la tragedia si sia consumata in una scuola è del tutto marginale. Quel ragazzo avrebbe potuto comprare quella sostanza assassina in qualsiasi altro luogo e in qualsiasi altro luogo l’avrebbe potuta fumare. Ancora una volta, invece, da una circostanza che genera, per motivi più o meno fondati, un allarme sociale viene fatta discendere una sorta di teoria generale che, il più delle volte, falsa completamente la sostanza della questione da affrontare. Qualcuno, per dire, potrebbe spiegare ai nostri governanti, agli amministratori pubblici, ma anche (forse soprattutto) ai giornalisti di carta stampata e tv, che il fenomeno della criminalità degli stranieri non diventa incontrollabile per via dell’emozione per una morte orribile sulla metropolitana di Roma? Se era grave prima, resta grave dopo, se non lo era, non sarà un omicidio a renderlo tale. Qualcuno obietterà alcunché al fatto che di fronte a ogni atto di sangue la prima cosa che interessa è se l’autore, “per caso”, non sia di quelli che hanno beneficiato dell’indulto? Quando si smetterà di pensare (e scrivere: lo fa d’abitudine anche un quotidiano “molto democratico”) che dietro ogni caso di omicidio perpetrato in qualche villetta isolata della nostra soporosa e a volte violentissima provincia italiana ci siano “rom”, “rumeni”, “slavi”,“marocchini”, extracomunitari in genere, anche quando gli indizi e la logica portano assai più vicino? In famiglia, per esempio, dentro una delle nostre belle, ricche e paciose famiglie da Family day.
Ma c’è un’altra obiezione che vorremmo rivolgere alla ministra Turco. In passato il governo attuale, e lei in particolare, avevano fatto mostra di una certa apertura in fatto di lotta alla droga. Tra l’aumento del doppio della dose personale consentita (per non parlare della “stanza del buco” del ministro Ferrero) e l’idea dei carabinieri antidroga a scuola c’è, si ammetterà, una certa differenza. Tutti, anche i ministri, hanno il diritto di cambiare idea, ci mancherebbe. E’ difficile sfuggire però all’impressione che il cambiamento, in certi campi, sia indotto più che dalla riflessione e dall’approfondimento delle questioni, dagli umori che vengono còlti (o si crede di cogliere) nell’opinione pubblica. Un sindaco antiproibizionista scopre che le droghe andrebbero tutte proibite, un altro sindaco di sinistra alza un muro intorno a un insediamento di stranieri “scomodi”, un ministro vuole fare l’antidoping agli studenti, il giornale che è amico di tutti loro pubblica lettere di lettori che «non ce la fanno più». I problemi esistono, certo: la droga, le difficoltà di integrazione, la microcriminalità, il diffuso disprezzo della legge e delle regole. Ma sono comparsi improvvisamente? O a comparire improvvisamente è stata l’impressione che convenga correre dietro ai moti più evidenti che agitano la superficie del sentire pubblico? O si è diffuso il timore che le esitazioni, le inerzie, le contraddizioni con cui a quei problemi si è messo (o non si è messo) mano stiano erodendo una credibilità che va riconquistata, allora, a colpi di bombarda mediatica? Con l’idea che se spararle grosse fa bene alla destra, farà bene anche alla sinistra? Si dimentica una grande lezione: l’opportunismo, in politica, non paga mai. Soprattutto alla sinistra. Se qualcuno è davvero convinto che contro la droga bisogna mandare i carabinieri in classe non voterà per Livia Turco che tre mesi fa faceva tutt’altri discorsi, ma per chi i carabinieri a scuola ce li avrebbe mandati davvero, anche tre mesi fa, e che ora può dire: «Vedete che avevo ragione io?». E così la sinistra rischia di farsi male davvero. Come quel bambino che giocava con i suoi amici alla guerra. «Io ho il fucile», diceva uno. E un’altro: «Ma io ho il mitragliatore». Lui disse: «E allora io ho l’aereo e vi bombardo». Salì su un armadio e si buttò in picchiata. Si ruppe una gamba.


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