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Riformista: Quando il rischio è di “arrestare” la libertà

CASO GUOLO. APPELLO AL MINISTRO MUSSI DI ALESSANDRO CALVI

29/05/2007
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Il Riformista

La situazione è grave ma potrebbe peggiorare. L’allarme riguarda, per ora, la libertà di ricerca scientifica ma, in prospettiva, investe la stessa libertà di informazione. A lanciarlo, e a chiedere che su questo intervenga il ministro per l’Università e la Ricerca, Fabio Mussi, è Renzo Guolo, uno dei maggiori esperti italiani di Islam e religioni, che si è preso una querela da Adel Smith, leader dell’Unione musulmani d’Italia, il quale si è ritenuto diffamato, o ha ritenuto sia stata diffamata la religione musulmana, a causa di alcuni studi del docente universitario. E che la ricerca scientifica rischi di essere arrestata in tribunale non è soltanto una battuta: Stefano Allievi, altro esperto di Islam, è già stato condannato per le stesse ragioni a 6 mesi di carcere. Guolo, invece, attende il processo.
«È sorprendente che questo tipo di querele venga preso in considerazione ma è surreale che l’esito sia quello di una condanna penale come è avvenuto nel mio caso. Le nostre sono storie simili ma lui è più fortunato, io sono stato già condannato». Sceglie la strada dell’ironia, seppure venata di amarezza, Allievi, per commentare la vicenda del collega che ricorda quella per la quale lui è stato condannato. Poi aggiunge, duro: «Negli stati democratici mai le opinioni vengono sanzionate con il carcere. La cosa grave non è tanto nella condanna ma in questo tipo di pena». Secondo lo studioso, oggi in Italia si sta correndo un serio rischio che riguarda la ricerca quando lavora su temi come la religione in generale e il suo rapporto con la politica, e tutto ciò, se vale in generale, quando si tratta di Islam vale ancor di più. «Siamo in una fase storica di esacerbazione di conflitti - aggiunge - di contrapposizione, di identità che si costruiscono in contrapposizione con l’altro e che nell’urlo e radicalizzazione trovano la loro forza o la loro presunta forza. Il livello di conflittualità aumenterà anche se nel frattempo vanno comunque avanti processi di conoscenza reciproca e integrazione». Si tratta però di una fase, forse addirittura di una fase necessaria, dalla quale si esce «con civiltà e serietà». Il rischio della via giudiziaria alla risoluzione dei conflitti culturali secondo Allievi è duplice. «Da un alto - spiega - esacerba il clima già esistente in cui sulle informazioni predomina la logica dello schieramento che ormai ha il sapore del tifo calcistico. Dall’altro - aggiunge - la ricerca scientifica potrebbe finire per autocensurarsi e questo è altrettanto grave e vale in generale, non soltanto per il mondo della ricerca ma anche, ad esempio, per quello della informazione». «Il dibattito deve essere libero - reclama Allievi - Vero è però che in questa fase il grosso del dibattito è puramente di schieramento». «Mi ha colpito che in molti non si siano accorti della gravità di questo fenomeno - conclude - e anche per questo sono contento che Guolo sia riuscito a portarlo all’attenzione di tutti».
«Si tratta - rincara lo stesso Guolo - di un fenomeno generale e che non riguarda ormai soltanto la ricerca scientifica e per questo è una questione che va posta con forza. Il problema - spiega - è di quale involontaria azione si può mettere in moto attraverso un meccanismo di interdizione giudiziaria della ricerca scientifica. Ma il problema riguarda anche chi lavora con l’informazione. Se si apre una breccia, qualsiasi inchiesta o definizione può diventare oggetto di contesa giudiziaria». Il pericolo, insomma, è che finisca per crearsi un precedente con il quale tutti poi dovranno fare i conti e che passi l’idea che «ricorrere alla magistratura possa far ottenere spazi che i rapporti nella società non consentirebbero altrimenti». Il tribunale, insomma, rischia di diventare una modalità di regolazione del conflitto culturale con tutti i rischi che per la società questo può comportare, primo tra tutti quello che nei prossimi anni si possano aprire centinaia, se non migliaia, di contenziosi che potrebbero finire per trasformare in tribunali in sede di regolazione impropria di conflitti. Con l’ulteriore rischio, inoltre, che situazioni simili vengano risolte in modo diverso da giudici diversi. Per questo, sostiene Guolo, «il legislatore e la politica devono riacquistare la propria centralità». Ciò, infatti, permetterebbe, tra l’altro, di comprendere meglio i confini della definizione del reato di diffamazione e di libertà di opinione.
Nel frattempo, però, occorre fare qualcosa per evitare «la solitudine degli intellettuali». «Un paese che abbandona i suoi studiosi che si occupano di temi di confine - spiega Guolo - è un paese che rischia. Se si mettono in moto meccanismi di interdizione, che fine fa la ricerca scientifica? Su questo, e senza polemiche, vorremmo sapere cosa pensa il ministro Mussi».


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