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Riformista: Pensioni, la CGIL chiede lotta alla precarietà

il segretario generale della Cgil Guglielmo Epifani ha fatto sapere che manca completamente il tema della precarietà del lavoro, che vuol dire anche revisione della legge Biagi, dal dodecalogo prodiano

27/02/2007
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Il Riformista

PENSIONI. LA CGIL CHIEDE LOTTA ALLA PRECARIETÀ

DI ETTORE COLOMBO
Muro sindacati-Prc, ma trattativa alle porte

Solo oggi Romano Prodi leggerà, al Senato, il discorso della nuova fiducia ma già la polemica tra ministri (ieri Damiano e Ferrero) e tra governo e sindacati sull’eterno tema della riforma previdenziale riprende come se niente fosse. Con tanto di (corpose) indiscrezioni sulla stampa. Nel corso del weekend, intanto, in modo non polemico ma molto netto, il segretario generale della Cgil Guglielmo Epifani ha fatto sapere che manca completamente il tema della precarietà del lavoro, che vuol dire anche revisione della legge Biagi, dal dodecalogo prodiano. E questo è un punto che sta molto a cuore alla Cgil e di cui si dovrà pur parlare, nei tavoli che si apriranno, una volta che finalmente ci si siederà e si potrà riprendere il lavoro interrotto dalla crisi di governo. Per quanto riguarda la riforma previdenziale, la linea della Cgil è altrettanto chiara: «la trattativa si fa ai tavoli, non sulla stampa», dicono gli epifaniani di stretta osservanza. Cisl e Uil - come pure alcuni partiti, in testa a tutti Rifondazione - preferiscono alzare i toni e gli scudi subito, mentre dalla Cgil, esclusa la sua ala radicale, l’atteggiamento è «calma e gesso», «il governo pensi a prendere la fiducia e parli con una voce sola», «la continua frizione dentro la maggioranza non aiuta», ripete Epifani.
Certo è che dalle parti di via XX settembre, sede del ministero dell’Economia, si va preparando uno schema di lavoro con l’obiettivo di chiudere, al più presto, cioè entro maggio, la partita pensioni. Non solo sulla scia del dodecalogo di Prodi, che cita ampiamente il riordino del welfare, «con grande attenzione alla compatibilità finanziarie e privilegiando le pensioni più basse e i giovani», ma anche sulla base di alcune forzature che approfittino di una sinistra radicale più debole di ieri.
I punti, secondo un’ampia anticipazione fornita ieri da Repubblica, sarebbero tre: età pensionabile, coefficienti di trasformazione e fusione degli enti previdenziali. Al posto dello “scalone” introdotto con la riforma Maroni, che dal I gennaio del 2008 porterà l’età minima per l’accesso alla pensione di anzianità da 57 anni a 60, arriverebbero gli “scalini” e dal 2008 l’età potrebbe essere fissata a 58 anni per poi salire gradualmente (un anno ogni due), accompagnata da incentivi. Nella riforma delle pensioni sarebbe poi compresa la revisione, al ribasso, dei coefficienti di calcolo (ma, pare, escludendo il lavoro manuale e discontinuo). In merito al Super-Inps l’obiettivo sarebbe di arrivare a un unico istituto capace di funzionare con non più di 35 mila addetti. Altre proposte circolate ieri parlano di 57 anni per alcune tipologie di lavoro, previa ridefinizione della lista dei lavori usuranti e chiusura di almeno una delle quattro finestre di uscita dal lavoro a partire dal 2008 ma soprattutto di rivalutazione delle pensioni più basse, cioè di quelle che non superano i 400 euro al mese. Soluzioni più o meno digeribili, forse, per il sindacato e la sinistra.
«Le proposte di merito si fanno ai tavoli di concertazione», cerca di frenare le polemiche il ministro del Lavoro Cesare Damiano, ma ribadendo il suo favore all’ipotesi di passare dallo scalone agli scalini, e cioè a un innalzamento graduale dell’età pensionabile. Lo stop, per ora, arriva però secco. Dai sindacati e da Rifondazione, che parla di «indiscrezioni che non impegnano il governo e non stanno né nel programma né nel dodecalogo». Il ministro della Solidarietà Sociale, Paolo Ferrero, sa giocare molto bene di sponda, con i sindacati, e afferma: «Sono d’accordo con i sindacati, serve un intervento per le pensioni più basse», la cui rivalutazione «è incompatibile» con il taglio dei coefficienti di trasformazione. Qui scatta la polemica con Damiano, che dice: «Le pensioni più basse in essere non hanno niente a che vedere con i coefficienti». Pronta la controreplica di Ferrero: «Aumentare le pensioni più basse vuol dire non abbassare ulteriormente i coefficienti». Una linea condivisa apertamente dalla Cisl, per bocca del segretario generale Raffaele Bonanni. Dello stesso tenore la posizione del segretario della Uil, Luigi Angeletti.
Morale, sindacati e Rifondazione non hanno (per ora) dubbi nel dirsi indisponibili a riforme che allunghino l’età e modifichino i coefficienti previdenziali. Il leader dell’ala dura della Cgil, il segretario nazionale della Fiom Giorgio Cremaschi, si spinge, come al solito, più in là e di fronte alle due (ventilate) proposte, dice: «Se questa è la linea del governo, chiedo che i sindacati vadano allo sciopero generale sulle pensioni». A lui risponde a brutto muso il responsabile economico della Cgil Beniamino Lapadula, tacciandolo di «massimalismo irresponsabile» ma soprattutto sostenendo posizione ben diverse, e ben più aperturiste (su scalone e coefficienti), dell’autorevole voce di Morena Piccinini, segretario confederale della Cgil, che oltre a sbottare «ci facciano risposte formali, risponderemo solo a quelle», ribadisce che la Cgil «è fedele al documento unitario siglato con Cisl e Uil», dove si parla di superamento dello scalone del 2008 e si dice no alla revisione dei coefficienti di trasformazione. La trattativa, dunque, è ancora tutta da fare. E in salita.


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