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Riformista: Non riduciamo la finanziaria sugli atenei a un dibattito sul taglio degli stipendi

di Luciano Modica

03/11/2006
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Il Riformista

I LIMITI E I PREGI DELLA LEGGE

DI LUCIANO MODICA

I docenti universitari sono nuovamente sul piede di guerra. Il disegno di legge finanziaria per il 2007 non li soddisfa sotto molti aspetti. L'aumento del fondo per il personale e per il funzionamento degli atenei è molto limitato; è stato confermato il taglio sulle spese per i consumi intermedi stabilito nel luglio scorso; è prevista una riduzione del 50% su uno dei due incrementi stipendiali automatici. Si sono levate critiche furenti, tanto che sono passate in secondo piano altre norme della finanziaria decisamente più favorevoli come il forte aumento dei fondi per la ricerca: 300 milioni di euro che corrispondono a un aumento del 150% in un solo anno. Non vi è dubbio, comunque, che il mondo universitario si attendesse di più dal nuovo governo anche sulla base del fatto che tutte le analisi del voto mostrano con chiarezza che i consensi per il centrosinistra sono in questo mondo decisamente maggioritari.
La linea governativa per la manovra finanziaria per il 2007 è tanto chiara quanto difficile da perseguire. Dopo un quinquennio di continui sfondamenti si è scelto di rientrare in un solo anno entro i parametri economici virtuosi stabiliti dall'Unione europea, operando una colossale riduzione delle spese, la più ampia degli ultimi quattordici anni, ma non rinunciando a reinvestirne una parte in interventi di sviluppo. Sotto quest'ultimo aspetto, era lecito sperare che l'università e la ricerca - che tutti definiscono come i motori di una nuova fase di crescita economica e sociale basata sulla migliore formazione del capitale umano e sull'innovazione pilotata da nuove conoscenze - potessero ricevere maggiori risorse nel capitolo investimenti, naturalmente senza sottrarsi, al pari delle altre amministrazioni pubbliche, a dare il proprio contributo alla razionalizzazione della spesa. Ma il cammino della finanziaria è ancora lungo e la proposta di legge sarà certamente migliorata nel confronto parlamentare e nel riesame governativo.
Per quanto riguarda la riduzione degli incrementi stipendiali - che comunque tocca tutte le categorie non contrattualizzate del pubblico impiego le quali godono di particolari automatismi di legge sia per gli avanzamenti economici di carriera che per gli adeguamenti al costo della vita - è stato un errore non tener conto del caso particolare dei docenti universitari appena reclutati o promossi. Sia nel caso dei ricercatori che dei professori, come già acutamente osservato da Figà Talamanca su questo giornale, essi hanno stipendi iniziali decisamente bassi rispetto alla qualità e quantità del lavoro che svolgono e alle responsabilità culturali e sociali di cui sono investiti. In una società che già penalizza molto i giovani ricercatori e che ha generato l'incredibile spreco della fuga dei cervelli, non è giusto ridurre loro la velocità di accrescimento di uno stipendio iniziale di soli 1.300 euro. Ci siamo subito impegnati a sanare almeno questa anomalia ma sarebbe opportuno rivedere l'intero impianto della norma.
Così come sarebbe opportuno ripensare l'intero impianto delle carriere dei docenti universitari. Attualmente divise in tre tronconi (ricercatori, associati, ordinari) con tre diversi concorsi senza distinzione tra reclutamenti e promozioni, con tre periodi di prova, con tre differenti carriere intersecate economicamente tra loro. Il tutto senza che, all'interno di ogni singola carriera, alcuno valuti mai effettivamente il lavoro didattico e di ricerca svolto. È quindi possibile, in particolare per i fortunati che vincono precocemente un posto di professore ordinario, trascorrere l'intera vita lavorativa e percorrere l'intera carriera economica, fino a stipendi rilevanti, senza nessuna valutazione di merito.
Nel decreto-legge fiscale che accompagna la finanziaria, il governo ha inserito una norma che pone un primo fondamentale tassello per istituire un vero e nuovo sistema di valutazione, cioè un'agenzia nazionale di valutazione dell'università e della ricerca, indipendente dal ministero come da università ed enti di ricerca. Ma occorre dire - ed è consolante osservarlo rispetto a un'opinione pubblica che reagisce ai troppi scandali universitari riversando un indistinto generale discredito sui docenti, anche sui moltissimi che si dedicano con passione e impegno al loro lavoro - che la proposta di taglio degli incrementi stipendiali ha generato nel mondo universitario anche una reazione riformatrice interessante. Alcuni hanno osservato che avrebbero accettato una ridefinizione del trattamento economico purché all'interno di un nuovo modello di carriera fortemente meritocratico, che recuperi comunque all'università l'attuale spesa per il personale docente ma che permetta finalmente di premiare, anche economicamente, i docenti più meritevoli. Walter Tocci, responsabile per l'università dei Ds, si è fatto promotore di emendamenti alla finanziaria in questo senso.
Sarebbe comunque un errore ridurre tutta la finanziaria su università e ricerca a una questione di stipendi e di naturali reazioni sindacali. Molte altre norme devono essere discusse e valutate. Come nell'esempio del taglio degli incrementi stipendiali se ne potrebbe trarre una prospettiva politica. L'università e la ricerca meriteranno l'attenzione economica che giustamente reclamano nella stessa misura in cui riusciranno a dimostrare ai cittadini che sono pronte a riformarsi profondamente negli aspetti più controversi del loro funzionamento. C'è un patto virtuoso che va stipulato tra università, ricerca e società: nessuno può chiedere riforme senza nuove risorse, ma nessuno può chiedere nuove risorse senza riforme. Cerchiamo sottoscrittori.

Sottosegretario all'Università e alla ricerca scientifica


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