Riformista: Meno iscritti all'università il vero segnale del declino
Ai tanti dati di segno negativo di questi ultimi tempi se n'è aggiunto un altro: il calo delle immatricolazioni universitarie
Ai tanti dati di segno negativo di questi ultimi tempi se n'è aggiunto un altro: il calo delle immatricolazioni universitarie. Un dato che forse fa meno notizia di un calo del Mibtel, dell'occupazione o dei prezzi delle case, ma che dà indicazioni molto preoccupanti sulla situazione in cui versa il nostro Paese e soprattutto sulle sue prospettive.
Secondo i dati recentemente diffusi dal ministero dell'Università gli iscritti nell'anno 2008-2009 sono diminuiti del 3,3 per cento rispetto all'anno precedente, il 4,4 per cento in meno rispetto a due anni fa e quasi l'8 per cento rispetto al 2003. Insomma, un trend che va avanti da anni e che si sta rapidamente aggravando. Al di là dei soliti commenti sul fallimento della riforma del 2001, questo dato ci dice due cose.
Innanzitutto ci mostra che negli ultimi quindici anni mentre l'economia globale è diventata più esigente in termini di competenze e mentre molti paesi hanno quasi raddoppiato il livello di istruzione della popolazione, l'Italia è rimasta pressoché ferma.
Seconda cosa, ci dice che gli italiani non credono che questa tendenza si invertirà, non credono che l'economia e il mercato del lavoro in Italia si riqualificheranno. Quando c'è crisi nel mercato del lavoro per un diplomato dovrebbe essere più conveniente andare all'università che cercare lavoro: si tira fuori dal mercato quando è debole e vi rientra più formato quando questo ricomincia a crescere, ristrutturato e più esigente. Il fatto che in Italia osserviamo il contrario ci dice sostanzialmente che gli italiani non hanno fiducia nella capacità di rinnovamento e riqualificazione del nostro mercato del lavoro.
Questo fenomeno preoccupa perché avrà ripercussioni negative sulla capacità innovativa del nostro Paese e sulla mobilità sociale, le due debolezze principali del nostro sistema socio-economico. È noto infatti che i primi a uscire o a non entrare nel sistema scolastico e universitario sono i giovani provenienti dai ceti medio-bassi, che non possono permettersi di investire anni importanti (gli anni della formazione professionale, in cui si può imparare un mestiere) in percorsi universitari che funzionano sempre meno da ascensori sociali. Non è un caso se, all'interno del dato nazionale sul calo degli immatricolati, si vedono enormi differenze tra atenei del Nord, che tengono bene (con Milano che vede un complessivo balzo in avanti) e atenei del Centro-Sud che subiscono i cali maggiori.
Ecco, questi sono i dati a cui dovremmo pensare quando vediamo le posizioni disastrose dell'Italia nelle classifiche sulla competitività, non all'Ici o all'imposta di successione. Qualsiasi pacchetto o intervento "anticrisi" dovrebbe affrontare in modo serio questo problema ormai strutturale dell'Italia. Un problema che con la crisi non farà altro che aggravarsi. Questo non significa investire in chissà quali alte tecnologie o presunti centri di eccellenza che producano qualche brevetto, ma in massicci interventi che aiutino i tanti ragazzi che a malapena finiscono le scuole dell'obbligo a completare le scuole superiori, e magari li portino all'università, e che riportino sui banchi di scuola o all'interno di percorsi formativi adeguati le migliaia di lavoratori scarsamente qualificati che corrono i maggiori rischi di povertà e disoccupazione.
Purtroppo non si vede niente di tutto questo. Si parla di incentivi per le lavatrici, i mobili, le ristrutturazioni e le auto, evocando spesso i massicci aiuti varati dal nuovo governo americano.
Ma curiosamente ci si scorda che il pacchetto anticrisi di Obama non dispensa solo aiuti a grandi banche e aziende, ma include anche il più grande aumento di spesa in istruzione mai visto in America. Il budget del dipartimento per l'Educazione è passato dai 60 miliardi di dollari del 2008 a 135 miliardi di dollari per il 2009 e circa 146 miliardi per il 2010. Altri 20 miliardi di dollari saranno allocati ad agenzie federali per supportare programmi collegati all'istruzione. Il provvedimento è molto variegato, include fondi per l'edilizia scolastica, borse di studio (quasi raddoppiate) e una serie misure per sostenere il mercato dei prestiti studenteschi.
Si può discutere sui metodi e i criteri di distribuzione di tali fondi, ma quello che l'Amministrazione Obama sta dando è un segnale molto forte sull'importanza dell'istruzione, sulla volontà di investire nel futuro del Paese, e di fare sì che l'America, nonostante i suoi mille difetti, possa continuare a essere (o tornare a essere) un Paese in cui anche chi nasce in contesti meno favorevoli possa accedere alle risorse necessarie per crescere e realizzarsi.