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Riformista: Lo spreco non è soltanto colpa degli atenei

Basta vedere i sedicenti centri d'eccellenza

14/11/2006
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Il Riformista

UNIVERSITÀ. LA DENUNCIA DI PADOA-SCHIOPPA

DI ALESSANDRO FIGÀ TALAMANCA

«C'è ancora qualche spazio per risparmi su spese superflue da parte delle università». Così crede il ministro dell'Economia che interviene su questo tema con una lunga lettera al direttore pubblicata sul Corriere della Sera di domenica scorsa. A sostegno della sua tesi egli cita, tra l'altro, le «asimmetrie nella distribuzione del personale docente e non docente, nella qualità delle prestazioni didattiche e scientifiche, nella disseminazione delle sedi, nelle condizioni di accesso dei giovani alla ricerca». E' difficile contraddire queste considerazioni.
Eppure c'è qualcosa che non torna nell'analisi del ministro. Sia pure in tono garbato, e senza troppi accenti polemici, egli attribuisce interamente alle università la responsabilità degli sprechi, e i compito di porvi rimedio «nell'esercizio della loro autonomia». Dietro le parole moderate del ministro si sente l'eco delle posizioni massimaliste, e delle sommarie analisi comparative, di alcuni economisti che ritengono che la cura migliore per il sistema universitario pubblico sia la diminuzione indiscriminata dei finanziamenti, seguita da un provvidenziale intervento del «mercato».
In realtà, molti dei problemi cui accenna il ministro non sono risolvibili dalle singole sedi, senza, quantomeno, una collaborazione attiva del governo. Prendiamo ad esempio il problema della distribuzione del personale. Tra le sedi in maggiore sofferenza ci sono certamente i due megatenei di Roma, La Sapienza, e di Napoli, la Federico II. Una percentuale altissima del personale di queste sedi (il 44,2% per Roma e il 39,4% per Napoli) è impiegato in «attività assistenziali», cioè nei servizi ospedalieri. Quante delle spese per questo personale dovrebbero essere a carico del ministero della Salute? Più precisamente, il compito di contenere le spese ed evitare gli sprechi, per questo personale sanitario, non dovrebbe spettare alle autorità che si occupano della salute, nel quadro di una programmazione regionale e nazionale, invece che a senati accademici che sono competenti per distribuire le risorse per la didattica e la ricerca?
Sempre per il personale, possiamo citare uno «spreco» evidenziato dal divario nella proporzione tra personale docente e personale tecnico e amministrativo nelle sedi del nord e in quelle del Mezzogiorno. Ad esempio, al Politecnico di Milano ci sono 6 non docenti per ogni 10 docenti, ma all'Università della Calabria, i non docenti sono, in proporzione, quasi il doppio, cioè 11, 5 per ogni 10 docenti. Quanta di questa disparità è dovuta a movimenti di personale assunto dalle sedi del nord, che torna a casa attraverso un trasferimento di comodo, propiziato da una raccomandazione politica? Il problema di uffici pubblici con personale in eccesso (nel sud) o con insufficiente personale (nel nord) è un problema di tutta la pubblica amministrazione, che difficilmente potrà essere risolto dalle singole sedi universitarie, se non viene affrontato, a livello nazionale, per tutto il pubblico impiego (ad esempio fornendo al nord facilitazioni per l'alloggio degli impiegati pubblici, come propose un tempo Sabino Cassese).
Quanto alla disseminazione delle sedi, dobbiamo ricordare che non sempre questa comporta un aumento di costi e di sprechi. Ad esempio, è naturale che la formazione universitaria degli infermieri, un compito attribuito solo di recente alle università, possa, e debba in molti casi, avvenire in sedi decentrate, con vantaggi per le strutture sanitarie che ospitano le scuole e per la sede universitaria che le promuove. Invece la responsabilità di interi atenei sorti dal nulla, senza una ragionevole previsione di un corpo studentesco adeguato, è interamente ascrivibile al parlamento e ai governi che si sono succeduti a partire dagli anni Ottanta. Alcuni atenei sono sorti con lo scopo primario di fornire occupazione attraverso posti di personale tecnico ed amministrativo e di dispensare contratti di appalto per la costruzione degli edifici. Una volta assolto questo compito ci si è accorti che mancavano gli studenti per riempire gli edifici e i fondi per la loro manutenzione ordinaria. Come può un ateneo che si trova in queste condizioni risalire con le proprie forze, e senza un aiuto dal governo, a una condizione di relativa efficienza?
Infine non è certo responsabilità delle sedi universitarie, la disseminazione di sedicenti centri di eccellenza per la didattica e la ricerca, istituiti per decreto, sulla base di rapporti più o meno clientelari con singoli professori “eccellenti”. Forse è proprio in questi ambiti che si annida la maggioranza delle «spese superflue» di cui parla il ministro dell'Economia.


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