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Riformista: La scuola di Giorgio

NAPOLITANO

19/09/2006
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Il Riformista

Si può fare (e quasi sempre si è fatta) della retorica di circostanza, nella cerimonia di apertura dell’anno scolastico. Oppure, tutto al contrario, si può cogliere l’occasione, di per sé assolutamente rituale, per affrontare almeno alcuni dei problemi e degli interrogativi vecchi e nuovi che pendono su una scuola in crisi come la nostra; e per rivolgersi non solo ai diretti interessati (gli studenti, gli insegnanti, le famiglie) ma alla politica e all’intera collettività nazionale.
Giorgio Napolitano, che su questi temi si è esercitato con passione ed equilibrio già in anni lontani, ha scelto la seconda strada. E ha fatto benissimo. Ai nostri occhi soprattutto quando ha insistito sul valore e il senso dello studio, anche perché «l’istruzione complessiva di un paese è il suo capitale umano»; quando ha voluto ricordare che la scuola, se da sola certo non basta per contrastare le disuguaglianze, è pur sempre «il primo luogo dove le si possono combattere»; e quando ha rimarcato come, con l’arrivo sui banchi di tanti studenti stranieri («una risorsa in un paese che ha bisogno di giovani energie e intelligenze») sia divenuta anche il luogo dove bisogna riuscire nella difficilissima impresa di imparare «a vivere insieme in uno spirito di libertà e di tolleranza nel rispetto di valori e regole condivisi».
Applausi e vive congratulazioni dai riformisti, in specie da quelli un po’ vecchia maniera come noi. E applausi e vive congratulazioni riformiste al presidente anche per il rispetto e l’attenzione non formali con cui si è rivolto agli insegnanti («il vostro lavoro deve essere maggiormente riconosciuto e valorizzato») in un paese aduso se non proprio a spernacchiarli, quanto meno a rappresentarli come un esercito di fannulloni. «Investire nella scuola è una priorità», sostiene Napolitano. Ci piacerebbe essere certi che sia così anche per il governo e per le forze politiche, di maggioranza e di opposizione.


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