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Riformista: L'idea del cardinale Scola è una provocazione

IL RUOLO DELLO STATO È INDISPENSABILE

04/08/2006
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Il Riformista

DI PAOLO FERRATINI

L'intervento del Patriarca di Venezia sulla scuola libera ha sicuramente il merito di riportare il tema alle sue coordinate di principio, sottraendolo per una volta alla pura rivendicazione della parità finanziaria per gli istituti privati. Secondo il cardinale Scola, lo Stato dovrebbe ritirarsi dalla sua funzione di gestore del servizio scolastico e limitare il proprio ruolo alla regolazione di un libero dispiegamento di agenzie educative che, muovendo dalla molteplicità di indirizzi ideali e pedagogici presenti nella società, darebbero vita ad un mosaico di scuole di diverso orientamento, nella cornice unitaria di principi e norme generali che lo Stato, come competenza residua, avrebbe il compito di dettare. Una prospettiva, quella indicata dal porporato, di lungo periodo, che trova fondamento teorico in una precisa concezione dei rapporti tra formazioni sociali, compiti educativi e ruolo dello Stato e che merita di essere discussa.
Alla base vi è l'idea di un'applicazione rigorosa al terreno della scuola del principio di sussidiarietà. Ma sono in gioco anche due questioni non meno rilevanti: che cosa si intende con «servizio pubblico», come si realizza il pluralismo educativo. Andiamo con ordine. L'istruzione è un bene sociale con tre caratteristiche di fondo: è universale, a domanda collettiva, relazionale. Universale, nel senso che ciascuno ha diritto di esigerlo, a domanda collettiva, nel senso che, almeno per la formazione iniziale, la sua erogazione è organizzata per intere coorti di età e non, come per esempio per la salute, a seconda delle necessità individuali del momento; ed è relazionale, in quanto di essa non beneficiano soltanto i soggetti fruitori, ma, indirettamente, la società tutta, che fonda proprio sulla educazione delle nuove generazioni la propria continuità nel tempo. Perché un bene di questa natura sia interamente sussidiabile, ovvero lasciato alla libera iniziativa dei gruppi sociali, fatto salvo il contributo pubblico ai costi di erogazione, devono darsi condizioni che concretamente non si danno, non solo in Italia, ma in nessun paese conosciuto: che vi sia cioè, in potenza, un'offerta privata qualitativamente omogenea, quantitativamente sufficiente e geograficamente equidistribuita, tale da sostituire via via l'offerta statale. Lo scenario di una eclissi progressiva dello Stato erogatore evocato da Scola è dunque più una provocazione intellettuale che una reale prospettiva politica. L'obbligo, per i cittadini di provvedere all'istruzione dei propri figli, per lo Stato di «istituire scuole di ogni ordine e grado», resta un doppio vincolo non aggirabile, che, nella parola della Costituzione e nella coscienza sociale che vi si riflette, testimonia come l'istruzione, proprio perché vitale per l'esistenza della comunità, sia un bene eminentemente pubblico.
Ora, è assodato che un servizio ha natura pubblicistica nel momento in cui eroga un bene di utilità riconosciuta, secondo regole e standard fissati dal decisore pubblico, indipendentemente dal soggetto che lo gestisce. Principio, per la scuola, fatto proprio dalla legge 62/2000, che ha ricompreso le scuole paritarie nel medesimo sistema «misto» al quale sono assoggettate anche le scuole autonome statali. Di contro alle derive paventate dalle posizioni laiciste, peraltro trasversalmente presenti sia nel centrosinistra che nel centrodestra, di una privatizzazione del bene istruzione, mi sembra di poter dire che l'attuale cornice legislativa promuove, al contrario, una «pubblicizzazione» della scuola privata, offrendole la possibilità di vedere riconosciuta, anche finanziariamente, la natura pubblica della funzione che svolge, una volta condivisi norme e obiettivi generali comuni all'intero sistema.
In prospettiva, quando l'autonomia scolastica avesse dispiegato intere le sue potenzialità, la partecipazione al sistema nazionale d'istruzione da parte delle scuole paritarie non sarebbe che una fattispecie particolare del rapporto tra centro e autonomie funzionali delle scuole - di tutte le scuole. Se la cornice pattizia vincola tutti i soggetti che partecipano al sistema, anche quelli portatori di pedagogie ideologicamente o confessionalmente orientate, al rispetto di principi e norme fissate dal decisore pubblico, mi pare dovrebbe cadere anche la pregiudiziale relativa al pluralismo educativo delle scuole e non nelle scuole, secondo cui il paese rischierebbe di subire un processo di “balcanizzazione” culturale, con istituti per islamici, per cattolici, new age e via discorrendo. A parte la scarsa plausibilità di uno scenario di questo tipo, in una società sempre più laica e secolarizzata come la nostra, viene da chiedersi, neanche troppo provocatoriamente: se una comunità islamica istituisse una scuola, fedele alla propria cultura e tradizione, ma conforme ai principi etici e alle finalità educative del sistema pubblico, dovremmo salutare la cosa come l'emergere di una posizione alternativa alle opzioni fondamentaliste predominanti di quel mondo, e quindi accoglierla e sostenerla, oppure, in nome di un malinteso principio di laicità, lasciare alle famiglie di quella comunità, per i loro figli, solo l'alternativa fra scuola coranica e scuola statale?


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