Riformista: Il contratto degli statali non è affatto chiuso
EPIFANI INVITA NICOLAIS A STARE ZITTO
Le parole di D'Alema quantomeno «ingenerose»
Sono giorni tesi in casa sindacale, confederale e non. Domenica mattina, sfogliando i giornali, i leader di Cgil, Cisl e Uil si sono trovati sul tavolo l'intervista rilasciata da Massimo D'Alema al Corriere della Sera in cui il vicepremier, nell'ambito di un vasto ragionamento sulla «crisi della politica», tirava una stoccata non da poco anche al sindacalismo confederale. «I sindacati hanno perso il loro slancio» e ora sono molto più focalizzati «sulla tutela di interessi legittimi ma di natura particolare», ha detto D'Alema. L'intervista non ha creato, sulle prime, particolari malumori per due motivi, diciamo così, “tecnici”: Epifani, Bonanni e Angeletti proprio domenica sono volati a Siviglia, dove da ieri si è aperto il congresso della Ces, il sindacato confederale europeo che si chiuderà giovedì e che vedrà, peraltro, l'elezione di Epifani all'interno del suo direttivo. L'appuntamento era noto da tempo ma quando Prodi ha telefonato ai tre per dire loro «vediamoci subito, ho da farvi proposte importanti», gli è stato risposto, tra il serio e l'imbarazzato, «veramente siamo in Spagna...».
Inoltre, sia domenica sera, quando si è svolto il vertice ristretto di palazzo Chigi tra Prodi, Letta, Padoa-Schioppa, D'Alema e Rutelli, che aveva per oggetto la destinazione del famoso “tesoretto”, sia ieri mattina, gli occhi del mondo sindacale erano puntati a ricevere segnali dal governo sul fronte più caldo e controverso, dopo quello delle pensioni, il rinnovo del contratto del pubblico impiego. Ieri mattina il ministro alla Funzione pubblica Luigi Nicolais (Ds) annunciava trionfante che «l'accordo è stato raggiunto» sulla cifra-simbolo chiesta dai sindacati (101 euro di aumento) ma aggiungeva anche che il contratto sarebbe diventato triennale, da biennale che è oggi. Nemmeno poche ore ed Epifani gli rispondeva a brutto muso da Siviglia: «Nicolais parla troppo, anticipando cose che neanche ci sono» (il problema delicato, per la Cgil, è la revisione del modello contrattuale) mentre Bonanni e Angeletti ribadivano che «i contratti vanno chiusi, poi si può pensare a revocare lo sciopero». Domani, quando i tre saranno convocati a palazzo Chigi si capirà se lo sciopero proclamato per il primo giugno sarà revocato o meno, ma molti ne dubitano, specie nella Cgil. Senza dire che, in serata, arrivava la smentita ufficiale di palazzo Chigi («Mai parlato di cifre»), parole destinate a ingarbugliare di più la matassa e far imbufalire i sindacati.
In attesa che le cose si chiariscano, in casa Cgil tiene banco l'intervista a D'Alema. Giorgio Cremaschi, esponente della sinistra interna e segretario nazionale della Fiom, ha definito le sue critiche «ingenerose» ma soprattutto ha chiesto a gran voce lo sciopero generale sulle pensioni. I riformisti, naturalmente, smussano gli angoli e cercano di riportare la discussione all'interno del “contesto” delle parole di D'Alema. Per la segretaria confederale (di area Pd) Nicoletta Rocchi, «se è in crisi la politica, lo sono anche le scelte del governo. Insomma, a volte non capisco i pulpiti da cui vengono le prediche. In ogni caso, è vero che anche il sindacato ha accumulato molti ritardi, in questi anni, e deve cambiare in profondità, rinnovarsi, per capire com'è cambiato il mondo del lavoro, di produrre e dei lavoratori».
Secco quanto articolato il commento di Paolo Nerozzi, leader dei mussiani in Cgil ma soprattutto segretario confederale con delega al pubblico impiego, alle prese con la delicatissima partita degli statali, che cambia ogni ora: «D'Alema dice due cose in contraddizione tra loro. Da un lato critica i costi della politica, come peraltro già il documento unitario di Cgil, Cisl e Uil denunciava, dall'altro ignora che una maestra elementare o un infermiere prende 1200 euro al mese mentre un parlamentare ne prende dieci volte tanto. Le condizioni materiali delle classi dirigenti sono troppo lontane da quelle della classe politica, questa è la dura verità. Vogliamo parlare di efficienza e rinnovamento della pubblica amministrazione? Bene, cominciamo dagli enti e dai dirigenti inutili, dall'intreccio tra Stato e politica, dagli stipendi dei manager pubblici, i più alti d'Europa quando quelli dei lavoratori sono tra i più bassi. O parliamo degli ispettori del lavoro senza benzina, dei poliziotti senza volanti, di intere categorie di dipendenti pubblici e privati senza contratto da mesi o da anni». Nerozzi non ha dubbi: «Il sindacato confederale, mai unitario come in questa fase, è l'unico soggetto che ancora regge la necessità della coesione sociale mentre tutto tende a dividere tra di loro le persone e i ceti. Senza dire del senso di responsabilità che ha dimostrato in occasione della Finanziaria come della discussione attuale, a differenza di una maggioranza litigiosa. Ecco perché rigetto le critiche di D'Alema, che trovo ingenerose. Sono d'accordo con lui, invece, sul fatto che siamo a un cambio di fase che rischia di diventare drammatico».
Sulla querelle del pubblico impiego, Nerozzi dice: «Al di là delle cifre, la possibilità di non onorare un accordo scritto darebbe luogo a un precedente pericolosissimo. Quando il governo ci presenterà proposte serie, concrete e ufficiali, le valuteremo. Per ora lo sciopero è confermato». E la possibilità di cambiare la durata dei contratti ventilata da Nicolais? «Triennalizzare la spesa del rinnovo nel Dpef è un conto, ma non si cambia il modello contrattuale per una categoria sola, lo si fa tutti assieme, tra tutte le parti sociali, e non certo in due minuti».