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Riformista: Gli impietosi dati sull'istruzione italiana non cambiano mai

Fiorella Farinelli

07/10/2006
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Il Riformista

Da tanti commenti sembrerebbe che la pubblicazione Ocde di qualche giorno fa riveli chissà quali deflagranti novità sulla scuola italiana. Ma se c'è di che stupirsi è invece che, pur trattandosi di dati disponibili da tempo, spesso non se ne facciano letture attente e capaci di approcci politici innovativi. Prendiamo, per esempio, il noto divario tra i nostri livelli di istruzione (48% di diplomati) e la media Ocde (67%), un problema serissimo se “società della conoscenza” non è solo retorica. I genitori di questo brutto figlio li conosciamo: il grave ritardo nei processi di scolarizzazione che solo negli ultimi vent'anni si sono messi a correre e il nostro squilibrio demografico, cioè il basso numero delle leve giovani rispetto all'insieme della popolazione. In sintesi, anche se domani tutti i nostri ragazzi conseguissero un diploma (e oggi siamo invece all'81%), occorrerebbe qualche decina di anni per raggiungere i paesi più avanzati.

Senza illudersi.E allora? Allora bisognerebbe mettere al centro il life long learning, senza illudersi che tutto possa risolversi con interventi, peraltro indispensabili, di contrasto della dispersione e di allungamento dell'obbligatorietà. Non sta succedendo, e sono solo 65mila i giovani che riacchiappano il diploma con i corsi serali di scuola secondaria. L'attenzione alla demografia, e anche alla matematica elementare, è d'altra parte necessaria anche da altri punti di vista. Per esempio, per la spesa per l'istruzione. E' opinione diffusa che gran parte dei mali della scuola italiana, dalle preoccupanti performance segnalate da P.I.S.A ai pochi laureati, derivi dalla quota modesta rispetto al Pil della spesa per l'istruzione. Ma se il dato si spiega anche con i numeri della nostra popolazione scolastica, non si può ignorare che la spesa è davvero bassa solo nel post-secondario, cioè nell'università e nella formazione superiore non accademica (che da noi è poco presente, e finanziata soprattutto con risorse comunitarie).

Gli stipendi bassi.Il quadro è diversissimo, invece, nella scuola: Ocde ci riconosce di essere ai primi posti per investimenti sulla fascia d'età strategica dei 3-5 anni e ci dice che nei cicli di base e secondario la nostra spesa è più alta o comparabile con quella dei paesi più avanzati. Anche il costo medio per studente, tra i più alti dell'area Ocse, è ragguardevole. Ci dice anche che il tempo-scuola non è affatto inferiore alla media (sempre che questo sia davvero un fattore di qualità: e c'è invece da dubitarne, almeno nei professionali e nei tecnici) e che le nostre classi sono meno affollate. Dov'è allora il problema? Forse negli orari di lavoro degli insegnanti, nettamente più bassi, o nella scarsa attrattività di un lavoro docente mal retribuito e senza carriera? O nei tredici computer ogni cento studenti, o nella poca cura della qualificazione professionale degli insegnanti, o nel loro scarsissimo ricambio generazionale? A leggerli bene i dati possono metterci sulla buona strada.


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