Riformista: È finita in un cassetto la ricerca effettuata per stabilire la produttività degli atenei
Franco Peracchi, professore di Econometria dell’università di Tor Vergata, è perplesso.
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«Nell’università italiana serve un segnale forte di cambiamento. L’esercizio di valutazione della ricerca elaborato dal Civr (Comitato di indirizzo per la valutazione della ricerca) e presentato l’anno scorso poteva essere un buon inizio, per avvicinarci agli standard internazionali. Ma che fine ha fatto?». Franco Peracchi, professore di Econometria dell’università di Tor Vergata, è perplesso. Coinvolto nel 2003 nell’elaborazione del primo esercizio di valutazione della ricerca italiana, fa notare che su quell’ambizioso studio, pubblicato nel 2006, «è calato uno strano velo di silenzio». Scopo dell’iniziativa mastodontica, cui hanno collaborato 77 università, 12 enti pubblici e 13 istituti privati di ricerca, era quello di formulare criteri più meritocratici per ripartire i fondi universitari. Il compito di numerosi, autorevolissimi professori chiamati a coordinare oltre 6.600 esperti impegnati a esaminare per due anni migliaia di lavori scientifici pubblicati tra il 2001 e il 2003, era quello di elaborare uno studio sulla qualità dei nostri atenei e di formulare dei rating in base ai quali assegnare i fondi.
Uno studio talmente innovativo da essere diventato «non solo il primo in Italia, ma anche il migliore in Europa per ampiezza e per carattere sistematico della valutazione», secondo Jean-Paul Fitoussi, professore di economia all’istituto di studi politici di Parigi. Fitoussi, coinvolto assieme a Peracchi nel progetto, più specificamente del gruppo di coordinatori che ha esaminato la ricerca nelle facoltà economiche e statistiche, è talmente convinto di quel lavoro da citarlo spesso in Francia come modello. Anche lui esprime oggi l’auspicio «che non venga buttato via. Anche perché contiene osservazioni interessanti. Nel campo dell’economia, ad esempio, è emerso che finalmente la ricerca italiana non è male, non è così debole come si pensava». In secondo luogo, ragiona l’economista, «lo studio del Civr mirava a un obiettivo importante: introdurre criteri meritocratici per assegnare le risorse universitarie».
A oggi i trasferimenti agli atenei avvengono soprattutto in base al numero degli iscritti, ma l’obiettivo del lavoro, promosso nel 2003 dall’ex ministro dell’Università, Letizia Moratti, doveva essere quello di legare i trasferimenti alla produttività delle università e dei centri di ricerca. «A me non interessa chi l’ha promossa - osserva dunque Peracchi - mi interessa che si tratta di una delle migliori iniziative intraprese da un governo negli ultimi quindici anni. E che si ispirava molto semplicemente a un criterio che viene adottato da anni in altri paesi europei. Spero quindi che l’attuale esecutivo non la faccia cadere solo perché si tratta di un’iniziativa di quello precedente».
In effetti, di quello studio si sono perse un po’ le tracce. Dal ministero dell’Università ricordano che nel frattempo il ministro Fabio Mussi ha promosso l’Anvur, l’Agenzia nazionale di valutazione del sistema universitario e della ricerca, che ha ricevuto grazie alla scorsa finanziaria una generosa dote iniziale di cinque milioni di euro. Un mese fa è stato approvato il regolamento e nel giro di sei mesi circa, l’agenzia potrebbe essere operativa. Il suo compito, come recita il regolamento, sarà quello di svolgere «attività di valutazione, ivi compresa la stesura del rapporto biennale sullo stato del sistema nazionale delle università e della ricerca, nonché, correlate a queste, attività di accreditamento, di raccolta e analisi di dati, di consulenza, di formazione e promozione culturale». L’Agenzia potrà anche proporre dunque al ministro «parametri di ripartizione per l’allocazione delle quote dei finanziamenti statali alle università e agli enti di ricerca che dipendono dalla qualità dei risultati delle attività svolte». Ma il principio è che sarà il ministro a stabilire ogni anno «una quota non consolidabile» del fondo per l’università che potrà essere distribuito in base a criteri qualitativi. E il resto?
Inoltre, visto che il Civr, con un notevole dispendio di soldi ed energie, ha già prodotto un lavoro così esaustivo, perché non utilizzarlo, Moratti o non Moratti? Una prima finanziaria è già passata invano (dal ministero fanno sapere che sono mancati tempo e margini effettivi per applicare quei criteri, causa tagli draconiani ai trasferimenti universitari). Per la prossima finanziaria, visto che la nascitura Agenzia non farà mai in tempo a formulare uno studio equivalente sulla qualità dei nostri atenei, perché non applicare già quelli formulati dall’esercizio di valutazione?
Comunque, a scanso di equivoci, dal momento della nomina del consiglio direttivo dell’Agenzia «sono soppressi il Comitato nazionale per la valutazione del sistema universitario e il Comitato di indirizzo per la valutazione della ricerca, e l’Agenzia subentra nei rapporti giuridici in essere dei comitati soppressi». Se la Moratti aveva dunque previsto dopo il primo, un secondo studio del Civr che avrebbe coperto il triennio 2004-2006, appare evidente che grazie (o a causa) della nascitura Agenzia, questo studio non si farà mai.