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Riformista: A una società meticcia non si può rispondere con una scuola unica

L’idea che il concetto di pubblico coincida con «statale» è un’anomalia tipicamente ed esclusivamente italiana, e ridurre la questione della libertà di educazione al rapporto fra pubblico e privato è un falso dilemma.

28/07/2006
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Il Riformista

L'omelia del Patriarca di Venezia per la Festa del Redentore, centrata sulla libertà di educazione, ha riportato d’attualità un dibattito che sembrava languire, anche se gli interventi che ha suscitato sembrano seguire un copione già visto, con la Rosa nel Pugno che di fronte alla richiesta di più spazio alla società civile teme che «si passi dalla scuola di Stato alla scuola della Chiesa» e il presidente della Camera secondo cui «la scuola in una società che diventa sempre più meticcia deve essere unitaria e cioè pubblica». Ora, a parere dei più, è proprio il crescere del meticciato che richiede una scuola più flessibile: inoltre, con la legge 62 del 2000, in Italia esiste il “sistema scolastico nazionale”, cioè la scuola pubblica, composto da scuole autonome statali e da scuole paritarie, che non sono gestite dallo Stato, ma ne rispettano i criteri ordinativi, facendo saltare l’identificazione fra pubblica e unitaria. L’idea che il concetto di pubblico coincida con «statale» è un’anomalia tipicamente ed esclusivamente italiana, e ridurre la questione della libertà di educazione al rapporto fra pubblico e privato è un falso dilemma.
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Pubblico, non statale. Il vero problema, scrivevo 25 anni fa, è l’autonomia delle scuole: e la legge istitutiva dell’autonomia, che sempre più mi convinco sia passata perché se ne sottovalutò la portata innovativa, prevede che non esista più un progetto centralizzato, di cui le singole scuole sono esecutrici più o meno passive, ma che ciascuna scuola formuli uno specifico progetto, comunicato ai genitori e da loro condiviso. Questo vale per tutte le scuole (quelle autonome statali come quelle paritarie), che sono legittimate non dall’essere «di Stato», ma dall’avere una precisa proposta educativa. Dopo aver detto per cinquant’anni che pubblico coincide con statale, adesso vogliamo negare solo alle scuole statali la possibilità di diversificare la loro offerta formativa per far fronte ai cambiamenti che sono sotto gli occhi di tutti? Il tema della costruzione di un sistema pubblico è tipico di un approccio trasversale agli schieramenti, perché riguarda non la libertà dei cattolici, o dei musulmani, ma quella dei cittadini: e non è casuale che sia stato affrontato, e almeno sul piano dei principi risolto, da un governo di sinistra. Nel momento in cui afferma che al centro del percorso educativo c’è una precisa proposta formativa completamente libera anche se rispettosa delle regole fissate centralmente, l’articolo 21 della Bassanini pratica l’eutanasia del sistema unico centralizzato ormai superato.
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La libertà di scegliere. A una domanda di formazione che diventa sempre più differenziata non si può rispondere, pena l’inefficacia, con una scuola unica: questo non significa privatizzare, né tanto meno svuotare il ruolo dello Stato, ma liberarlo dall’onerosa gestione per assegnargli un compito di governo, che consiste nel fissare gli elementi comuni della cittadinanza e gli standard delle competenze che i vari livelli e indirizzi di scuola devono trasmettere ai ragazzi. L’idea che questo ridurrebbe la scuola statale a occuparsi di situazioni di svantaggio che nessun altro vuole gestire (i poveri, gli stranieri, gli handicappati) testimonia una bassissima stima della scuola statale medesima, che non riuscirebbe a competere se non in condizioni protette, il che risulta evidentemente falso, dato che esistono ottime e abbondanti scuole statali: tra l’altro, se funzionassero così male, che senso avrebbe tenerla in vita? Se poi si teme che solo i già privilegiati possano pensare a scegliere o a istituire scuole «della società civile» per i propri figli, lo Stato dovrebbe curare una sorta di «educazione del consumatore» per aiutare le famiglie a sviluppare il proprio senso critico. La deriva è pericolosa: non è che prima o poi qualcuno si chiederà se possiamo veramente permettere a questo cittadino irresponsabile e adolescente di votare per scegliere i propri rappresentanti? Non sarebbe meglio che lo Stato scegliesse per lui? n
Luisa Ribolzi


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