Riforma della scuola, un governo che non sa più che pesci pigliare
di Marina Boscaino
Non sanno più che pesci pigliare e l’unico linguaggio che conoscono è quello dell’arroganza, dell’arbitrio, dell’autoritarismo. Pensateci: un governo che non è legittimato da alcun voto popolare, infarcito di personaggi volgari ed incapaci (Faraone docet, si fa per dire) sta minacciando di decidere – incurante di qualsiasi evidenza, dalla piazza, allo sciopero, all’opposizione parlamentare, ad una società civile che comincia a dichiarare apertamente che il modello comunicativo del Giovane Capo non ha più l’appeal di una volta, alla guerra interna per bande – di affossare definitivamente la scuola pubblica, asservendola al modello che i Poteri Forti (Fondazione Treelle, Compagnia di San Paolo, Confindustria) hanno imposto al suo mandato. Vi sembra possibile? Lo considerate accettabile? Dopo le twittate e i clamorosi annunci a Porta a Porta relativi alla necessità di rinviare la “riforma” di un anno, ecco un nuovo repentino cambio di scenario.
Il renziano presidente della commissione Istruzione di Palazzo Madama, Marcucci: “L’ipotesi di stralciare le assunzioni non esiste perché fanno parte di un progetto organico e quindi non possono essere estrapolate dal contesto“. Bugie. Architetture fantasiose e stravaganti. Di progettualità e di organico in quel testo non c’è niente. La scuola così com’è consente e rende necessarie gran parte delle assunzioni. Questi spregiudicati dilettanti allo sbaraglio stanno tentando di prosciugare le nostre forze. Ma noi non cediamo. Non un passo indietro: saranno semmai loro ad assumersi piena responsabilità, se dovessero davvero prendere corpo le ultime indiscrezioni sulla fiducia (anche qui si fa per dire: mai parola fu più lontana dal sentimento che attualmente una parte consistente del Paese nutre nei confronti di chi lo governa
Dopo il vertice di Palazzo Chigi (in cui il presidente del Consiglio ha convocato i deputati del Pd, il partito di cui è anche segretario, in una visione a dir poco padronale delle istituzioni e della rappresentanza politica) si ventila infatti con insistenza la possibilità di un maxiemendamento, deciso da Lui con i Suoi, ignorando la commissione stessa: un blitz che indica chiaramente la salute di Parlamento e democrazia in questo Paese. Sia detto tra parentesi: sono stati convocati non tutti i deputati: “Leggiamo sulla stampa che si è tenuta stamane una riunione a Palazzo Chigi ‘con i parlamentari che si occupano di scuola’. Non siamo stati invitati”, così inizia il comunicato di Mineo e Tocci, dissidenti del Pd in Commissione Cultura. Superfluo ogni commento.
Quando in commissione verrà presentato il maxiemendamento dei relatori (Conte, Ap e Puglisi, Pd) occorrerà però aprire i termini per i subemendamenti. A quel punto, se le opposizioni ripresenteranno lo stesso numero di proposte avanzate in precedenza, allora non sarà possibile terminare l’esame in commissione Istruzione e si andrà in Aula con il testo della Camera, su cui il governo presenterà un maxiemendamento che ricalcherà la proposta dei relatori. Su quello verrà posta la fiducia per consentire l’ok del Senato entro la prossima settimana, e procedere ad una rapidissima lettura alla Camera per l’approvazione definitiva.
Dunque, la prossima settimana potremmo sapere da che parte stanno davvero i cosiddetti dissidenti del Pd. Quelli che in questi giorni hanno fatto il giro delle piazze che la mobilitazione ha animato e ai quali abbiamo chiesto fedeltà alla Costituzione e non ad un partito che ha tradito qualsiasi parvenza di democrazia e di aderenza ai principi della Carta. Per loro un’incredibile opportunità: fare quello che l’art. 67 gli affida; rappresentare la nazione senza vincoli di mandato. E di mandante.
In un attimo – per alchimie, cerchi magici che si rompono e si riformano, umori – cancellata persino la Conferenza di luglio, annunciata solo due giorni fa da Renzi. Ecco l’idea di decisione di questo governo: imposizione, imposizione, imposizione. Ecco la volontà di ascolto – ancora una volta demagogica e falsa, come tutte le rivendicazioni fatte in questo senso da settembre ad oggi – che questo strano personaggio, cui chi sa davvero chi e chissà davvero perché ha deciso di affidare la responsabilità del Governo di questo Paese, invocava solo un paio di giorni fa.
La scuola pubblica rischia di diventare proprietà di un partito politico ostaggio di un prestigiatore estemporaneo, con il frasario di un venditore di pentole di bassa lega e la stabilità psichiatrica di un Dorian Gray da avanspettacolo. Che, scompostamente, forse consapevole che le sue profferte non ingannano più, sta cercando di sfuggire con un ultimo guizzo e con un nuovo colpo di mano antidemocratico, ai milioni di voci, sempre di più, che gli dicono che la sua credibilità è in fase drammaticamente discendente. E che i milioni di voti che ha perso nel corso delle ultime settimane non sono un caso e tantomeno un episodio. I cui giannizzeri e cortigiani della prima e ultima ora continuano – da Puglisi, a Farone, all’inutile Giannini – a battere su una grancassa il cui suono è quantomai sgraziato e stonato. Giocano il tutto per tutto. Sono disperati. Ma questa disperazione rischia di innescare un drammatico conflitto sociale, considerata la materia che toccano e le procedure coercitive che adottano.
La scuola italiana li aspetta. La prossima settimana, ancora, la mobilitazione prevede iniziative congiunte di docenti e studenti e di tutti i sindacati a Roma, nelle piazze che circondano il Senato, raccogliendo peraltro la staffetta dello sciopero della fame che i comitati Lip di altre città hanno fatto nei giorni scorsi, accompagnati da moltissime manifestazioni in altri luoghi d’Italia. Noi siamo lì perché abbiamo ragione. E non smetteremo di esserci perché avere ragione significa oggi per noi non solo difendere la scuola della Repubblica; ma anche continuare a fornire l’ossigeno della partecipazione democratica e della resistenza civile e politica ad un Paese boccheggiante, che nemmeno nel ventennio berlusconiano aveva chinato il capo tanto apaticamente ad un autoritarismo che non ha precedenti.
Ci chiediamo come il presidente della Repubblica possa ancora rimanere in silenzio.