Rettori sul piede di guerra 240 milioni alla fondazione creata dalla legge Gelmini
L’ente finanziato serve ad aiutare i “meritevoli” ma doveva decollare grazie alle aziende
ROBERTO PETRINI
ROMA
— Blitz notturno sul “decreto del fare” sui fondi per l’Università. Ad insaputa dei Rettori, che sono sul piede di guerra, un emendamento della maggioranza ha tagliato 240 milioni alle risorse destinate alle università più efficienti. «Un emendamento sciagurato », osserva il Rettore dell’Università di Bologna Ivano Dionigi. Con l’aggravante che la misura arriva pochi giorni dopo la pubblicazione delle «classifiche» dell’Anvur (l’agenzia pubblica di valutazione) sugli atenei che hanno ottenuto la migliore performance e in parallelo con la notizia che la quota di fondi che andrà alle università più «meritevoli» salirà dal 13,5 al 20 per cento, circa 1,2 miliardi. Tuttavia proprio da questi 1,2 miliardi sono stati «sottratti» i 240 milioni che andranno a finanziare la Fondazione per il merito, istituita dalla legge Gelmini, di carattere privato, e destinata a promuovere gli studenti più meritevoli ma nell’ottica di una collaborazione con il sistema industriale e, almeno nel progetto iniziale, con risorse versate dagli imprenditori. L’intervento arriva dopo tagli al Fondo di finanziamento ordinario all’Università che
proseguono da tre anni (300 milioni quest’anno) e che hanno ridotto le risorse da 7 a 6,3 miliardi. «Invece di prevedere fondi specifici e additivi per la causa sacrosanta dei capaci e meritevoli, si tolgono all’intero sistema universitario. Perché non assegnare alle università la relativa e dovuta quota premiale obbligandole a spendere per il diritto allo studio? », chiede Dionigi. Dopo la protesta della Conferenza dei rettori non è escluso un ripensamento che, come per molte altre materie, potrebbe arrivare nel passaggio al Senato.
Scoppia intanto il caso della partecipazione
degli stranieri ai concorsi pubblici italiani. Il disegno di legge «europeo», presentato dal governo, recependo una direttiva, aggiorna la nostra legislazione (risalente al 2001) in base alla quale ai pubblici concorsi possono partecipare solo cittadini Ue. Una norma discriminatoria che si è tentato di correggere specificando nel ddl governativo che possono partecipare anche i cittadini di «paesi terzi » ma solo se muniti di permesso di soggiorno definitivo. Una dizione che rischia di circoscrivere l’accesso degli stranieri ai concorsi e che inoltre, come osserva il sito lavoce.info, potrebbe escludere le categorie non espressamente citate dalla norma e autorizzare le restrizioni incostituzionali basate sulla cittadinanza. La vicenda, seguita con preoccupazione dall’Asgi, è ancora aperta: «Abbiamo presentato un emendamento che allarga la possibilità a chi ha un permesso di soggiorno temporaneo» dice il parlamentare di Sel Giulio Marcon. In ballo infatti non ci sono solo bassi livelli lavorativi ma anche ricercatori e studenti formati in Italia che si vedrebbero negato l’accesso alla pubblica amministrazione.