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Retescuole:Nel paese dei tarocchi

di Pino Patroncini

10/10/2006
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Retescuole

Quando la Moratti lanciò sul mercato il suo diritto-dovere dissi che ci dava un obbligo scolastico taroccato.
Infatti posta di fronte a due nodi storici, quali il fatto che l’Italia fosse il paese europeo col più basso obbligo scolastico, essendo l’unico fermo a 14 anni, e la discussione fosse aperta ovunque su un innalzamento fino ai 18, aveva assunto la decisione pilatesca di cambiare l’ordine delle questioni ricorrendo a una modificazione dei termini lessicali sì da legittimare di fatto lo status quo: l’obbligo ci sarebbe stato, ma non sarebbe stato scolastico bensì si sarebbe potuto assolvere anche fuori dalla scuola, nella formazione professionale e nell’apprendistato, che nel frattempo si era provveduto a svuotare di ogni contenuto formativo riducendolo ancora di più a pura attività lavorativa.
E non era tutto: per fare ciò si arretrava l’obbligo scolastico dai 15 anni a cui lo aveva portato Berlinguer, si inventava il tappabuco dei cosiddetti corsi triennali sanciti da un accordo Stato-Regioni, si modificavano le statistiche indicando tra gli scolarizzati anche i frequentanti la formazione professionale e i suddetti corsi e si spacciava un 2,5% di alunni sottratti in tal modo all’istruzione professionale (1,5% in meno a cui va aggiunta l’inversione di tendenza rispetto a un trend di crescita stabile negli anni di un + 1%!) per alunni “sottratti alla strada”, cioè alla dispersione.
Il programma dell’Unione, al contrario e a fatica, sotto la pressione dei movimenti che si erano opposti alla Moratti e alle sue sciagurate politiche scolastiche, aveva alla fine riscritto la parola obbligo scolastico fino a 16 anni sulle bandiere della coalizione che si apprestava a governare anche la scuola, nella tanto invocata “discontinuità con la Moratti”.
Ma che cosa ci dà oggi Fioroni? Ci ridà la stessa cosa che ci aveva dato la Moratti. Lo chiama obbligo scolastico fino a 16 anni, ma poi ci dice che può essere assolto in percorsi stabiliti di comune accordo tra Stato e Regioni, ritirando così fuori dal cappello formazione professionale e corsi triennali.
Insomma se il diritto-dovere della Moratti era un obbligo scolastico taroccato, l’obbligo scolastico di Fioroni è un diritto-dovere taroccato.
Ed a poco serve che si innalzi il limite per accedere al lavoro da 15 a 16 anni: l’utilità sarà solo quella di far sparire dalle statistiche 50.000 giovani in cerca di prima occupazione senza farli riapparire nella scuola, così come la Moratti ne aveva fatti comparire 15.000 tra i “recuperati” dalla strada facendoli scomparire dall’istruzione professionale di Stato.
Ma la cosa più grave è che sembra in questo modo sfuggire a tutto il mondo politico, di destra ma anche di sinistra, il valore civile dell’innalzamento dell’obbligo scolastico. Sembra quasi che, mentre si spendono discorsi sul valore della cultura e sulla società della conoscenza nei fatti si dia ragione a quanti si domandano a che serve una legge sull’obbligo scolastico fino a 16 o a 18 anni, in un paese in cui già più del 90% dei licenziati dalla scuola media proseguono gli studi.
Già! A che serve?
Se la domanda la rivolgessero a me direi che serve non tanto a quel 10% che manca all’appello e che pure a scuola ci va portato, ma che serve al Paese. Serve far compiere al Paese un salto culturale, a dare ad esso una nuova concezione del rapporto con la sua scuola.
Per fare un esempio: vorrà pur dire qualcosa il fatto che nonostante che nella vicina Francia ci sia una selezione scolastica assai più alta che in Italia ci sia una dispersione scolastica minore. Vorrà pur dire qualcosa il fatto che lì l’obbligo scolastico a 16 anni esista dal 1967, da quasi 30 anni, da prima dell’unificazione della loro scuola media che è avvenuta solo nel 1975. E non parlo solo della frequenza negli anni obbligati, parlo del trascinamento su tutto il percorso scolastico.
L’innalzamento dell’obbligo serve dunque a convincere un popolo che almeno fino ai 16 anni a scuola “bisogna” pur andarci.
La qual cosa non è un’acquisizione semplice né scontata..
L’esempio ce lo ha dato la storia dell’innalzamento dell’obbligo ai 14 anni, una cosa molto contestata, anche allora con argomenti simili agli attuali, quando nel 1962 si fece la scuola media unica, la quale tra l’altro non aveva posto quel limite, diversamente da quanto credono molti.
Il limite a 14 anni infatti, pochi se ne ricordano, fu posto nel 1923, con la riforma Gentile che aderiva in ciò ad una convenzione internazionale di pochi anni precedenti. Vedete dunque da quanto lontano si parte.
Ma rimase un limite fittizio, inapplicato. Fino agli anni cinquanta, se lo si ricordava ai governanti, questi allargavano le braccia come a dire: che volete che ci faccia, non abbiamo nemmeno le scuole per tenerli tutti questi ragazzi!
A quell’epoca solo 2 ragazzi su 10 arrivavano a prendere la licenza media. Gli altri “si disperdevano” tutti: o in maniera “hard”, abbandonando gli studi dopo la quinta elementare, o in maniera “soft”, frequentando o la sesta classe o i cosiddetti avviamenti professionale o commerciale.
Nel 1960 quando si cominciò a discutere di assorbire l’avviamento in un’unica scuola media i licenziati della scuola media arrivavano a malapena al 35%. E la spinta alla discussione della cosa, non fu certo un’invenzione di qualche testa balzana, dal momento che c’era già stato un aumento impetuoso del flusso verso la scuola media che era iniziato intorno al 1958, probabilmente in coincidenza con l’avvio del cosiddetto “boom”.
Ma se si confronta quel 35% di licenziati del 1960 con l’attuale 72% di diplomati, quei “politicanti” di allora messi a confronto con i nostri attuali, “itali amleti” dubbiosi e incerti, sembrano dei giganti, pronti a ad affrontare, loro sì, la sfida dello sviluppo. Eppure essi non erano estremisti rivoluzionari, ma cauti e compiacenti democristiani, tutt’al più spalleggiati da qualche socialista di complemento ( a proposito del riformismo che tanto va di moda oggi!)
Nel 1962-63 quando la legge fu approvata i licenziati erano ancora al 45% e la classe dei nati nel 1952, la prima che usufruì della nuova scuola, arrivò a licenziarsi solo al 61,82%.
Ci fu un altro grande incremento di licenze medie tra i nati nel periodo 1956-59 che frequentarono la scuola media credibilmente tra 1967 e il 1973, anni “topici”, evidentemente.
Ma è solo con i nati nel 1976 che si raggiunge il 100% dei licenziati, credibilmente nel 1990 e anche oltre per i ripetenti e quelli che la licenza l’hanno presa nei corsi per adulti.
Insomma ci sono voluti 67 anni dalla proclamazione del principio, 28 anni di riforma scolastica e 24 anni dalla prima classe che ne ha usufruito, perché si consolidasse nella cittadinanza italiana l’idea che una licenza media fosse un titolo indispensabile per tutti.
Quanti ce ne vorranno con i chiari di luna attuali perché la stessa consapevolezza si estenda a un diploma o a una qualifica?


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