Forse pretendere che chi riteneva che la riforma Moratti presentasse solo errori di natura quantitativa ripensasse una diversa qualità della scuola era sperare troppo.
Una parte consistente della politica italiana, tra il fatto che di scuola non capisce un accidente e il fatto che in fondo in fondo condivideva ciò che stava facendo la Moratti, ha infatti sempre pensato che forse la Signora quando era ministro a viale Trastevere avesse solo un pochino esagerato con il sale e l’aceto, tanto da rendere disgustosa la pietanza, ma che tutto sommato la ricetta non poteva essere che quella.
In fondo queste persone hanno sempre pensato che quando dicevamo che volevamo l’abolizione della legge 53 lo facessimo solo per estremismo. Massimalismo, lo chiamavano.
Loro il fatto che dicessimo che legge era sbagliata nelle finalità, anzi era ANTICOSTITUZIONALE, non l’hanno neanche mai preso in nota.
Ed eccoci ora di fronte alle stesse dolenti note. Agli stessi errori potremmo dire se non fosse che errare è umano e perseverare è diabolico.
Fioroni ci ammannisce la sua riforma. Parla di cancellazione delle legge Moratti e i giornalisti i cascano. Qualcuno si fa prendere la mano e parla niente poco di meno che di rivoluzione copernicana.
E in che cosa consisterebbe questa rivoluzione copernicana?
Nel fatto che
1) si detassano le donazioni alle scuole statali come se fossero fatte a fondazioni,
2) si riconfermano gli attuali istituti tecnici e professionali al posto dei licei tecnologico ed economico..
3) si mantiene in piedi comunque il canale dell’istruzione e formazione professionale, il secondo canale morattiano, di competenza regionale (giova ricordarlo)
4) si costituiscono poli tecnico- professionali in cui entrano istituti tecnici e professionali, corsi triennali ( la IFP di cui sopra), gli IFTS ( nuovo nome: ITS), ma non i licei (dove evidentemente si continua a studiare in una campana di vetro)
5) si trasformano i consigli di istituto in consigli di amministrazione con dentro rappresentanti delle aziende e degli enti locali.
Tolta la spinosa questione delle fondazioni dove Fioroni crede di aver parato il colpo delle critiche che subito si erano levate con la clausola che i donatori non possono entrare negli organismi di gestione, rispetto ai provvedimenti previsti dalla Moratti, l’unica cosa che cambia è il fatto che i professionali non scompaiono nella istruzione e formazione professionale regionalizzata ma rimangono statali.
Per il resto la “ragione sociale” di tecnici e professionali resta quella attualmente esistente e i poli tecnico-professionali assomigliano tanto ai campus della Moratti (a loro volta ispirati ai poli tecnologici di Confindustria) i quali, per chi se lo ricorda ( per gli smemorati c’è sempre a disposizione il testo del decreto 226), prevedevano organi di gestione con la presenza di aziende e autonomie locali.
Insomma il testo si muove tra conservazione dello status quo ante e aziendalismo morattiano, né più né meno.
Ed allora rispetto a che cosa è una rivoluzione copernicana?
Rispetto alla Moratti? No di certo: salva solo i professionali e riconferma il resto.
Rispetto allo status quo? No di certo: riconferma l’esistente e vi aggiunge le stesse contro-riforme della Moratti.
Forse la rivoluzione copernicana sta proprio qui: nel cercare di salvare capra e cavoli. E questo spiega perché invece di limitarsi a detassare le donazioni ( che già oggi si possono fare ) prima si parla di “fondazioni”, poi si dice “ che sì, però i donatori non fanno parte degli organi di gestione della scuola”, questi però dovranno prevedere anche la presenza delle aziende e così via.
Un passo avanti e due indietro!
Allo stesso modo sui tecnici e i professionali: prima si dice che restano però formano sistematicamente un’area propria ( vedere la bozza pubblicata dalla Cisl dove i canali da due sembrano diventare tre!), poi si dice che sono insieme ai licei nel sistema dell’istruzione secondaria superiore che insieme al sistema dell’istruzione e formazione professionale costituisce il secondo ciclo, poi però solo tecnici professionali e IFP formano i poli tecnologici. Un po’ meno codificato, ma in ogni caso sempre licei da una parte e tecnici e professionali dall’altra.
Credete che in tutto ciò ci sia stato spazio per riflettere sul ruolo svolto dall’istruzione tecnica e professionale nella scolarizzazione di massa ( a proposito di dispersione) a discapito della propria tanto decantata “vocazionalità”? Credete che si sia riflettuto dello spostamento della separazione tra lavori manuali e lavori intellettuali? Credete che ci sia stata qualche considerazione sull’espansione dei lavori intellettuali nella società dei servizi e della comunicazione, prima di dire che i licei con i poli non c’entrano? Credete che ci si sia chiesti perché in piena crisi dell’industrialismo e del produttivismo, sempre presente quando c’è da ricordare che la cosiddetta centralità operaia è finita, si pensa di rilanciare la scuola partendo non dalla complessità del tessuto economico e sociale ma da qualche polo tecnico professionale che inevitabilmente finisce con il ruotare intorno a qualche polo economico-aziendale o a qualche bacino produttivo? Credete che ci sia stato tempo per chiedere tutto ciò anche agli insegnanti e ai lavoratori della scuola?
Evidentemente non c’è stato. E in questo caso si sono fatti un passo avanti e un passo indietro poi un altro passo avanti e un altro indietro.
Una quadriglia più che una rivoluzione copernicana.
E una riforma metà Moratti e metà Fioroni.
Una riforma Moroni.
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