Rete di resistenza a difesa della scuola pubblica
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Resistere, resistere, resistere
intervista a Michele Corsi, Rete di resistenza a difesa della scuola pubblica
Partita in sordina, la Rete di Resistenza a difesa della scuola pubblica conta ormai parecchi sostenitori, non solo tra gli insegnanti, ma anche tra i genitori e gli studenti. La necessità di resistere alla riforma Moratti sembra aver ricompattato al suo interno la classe degli insegnanti, che invece sulla riforma Berlinguer si era spaccata; ma ha contribuito anche a riavvicinare insegnanti, genitori, studenti, facendo superare barriere e pregiudizi. La Rete ha fatto circolare un Appello, sottoscritto da più di 11 mila persone. Ecco i contenuti..
Che cos'è la Rete di resistenza a difesa della scuola pubblica?
La Rete è nata sulla base di un appello di una ventina circa di delegati sindacali, iscritti a sigle differenti. La prima assemblea ha avuto luogo il 10 gennaio quando l'attenzione verso i temi della scuola e della riforma era alta: gli Stati Generali erano passato recente. L'ansia e l'angoscia degli insegnanti crescevano, ma non c'era un canale organizzativo attraverso cui potessero esprimere il disagio. Negli stessi giorni a Palermo, a Roma, a Torino, ad Ancona nascevano strutture analoghe, anche se con altri nomi: sintomo che l'esigenza era molto sentita e largamente condivisa. Noi non siamo un'organizzazione, non c'è un coordinamento, non c'è una struttura dirigente, ci sono soltanto delle assemblee pubbliche, che solitamente si tengono nelle scuole. Non sappiamo neanche precisamente quale sarà la prossima iniziativa; probabilmente, cercheremo di fare una manifestazione cittadina, oppure cercheremo di far muovere i Consigli d'istituto.
Quinidi la Rete è essenzialmente un movimento di insegnanti?
All'inizio ne facevano parte soltanto insegnanti e personale non docente della scuola. Eravamo riusciti a raggiungere un centinaio di scuole. Intorno a metà febbraio abbiamo preso contatto con gli altri coordinamenti presenti sul territorio nazionale e abbiamo formulato un appello rivolto al ministero, in cui spiegavamo i nostri no alla riforma. Il nostro appello dava anche delle indicazioni costruttive; indicava cioè proposte alternative. Quando è partita la raccolta di firme, la nostra idea era che questa fosse ristretta ai soli insegnanti.
Invece poi che cosa è accaduto?
In quello stesso periodo avevamo organizzato in ogni scuola degli incontri per far capire ai genitori quali erano le nostre richieste, di che cosa si trattava. I genitori hanno risposto attivamente, non si sono limitati, per così dire, a prendere atto della situazione; hanno capito che si trattava di una cosa che li riguardava direttamente, e hanno voluto aderire e partecipare. La rete quindi si è allargata. Il numero dei genitori cresce visibilmente e sono anche i membri più dinamici e attivi della Rete.
Adesso per esempio stanno elaborando un documento contro i tagli, contro la legge delega, contro la riforma degli organi collegiali per presentarlo ai Consigli d'istituto e di Circolo. Le prospettive sono molto buone, perché come ho detto l'area sensibilizzata ormai è vasta: anche una parte dei dirigenti scolastici sta prendendo posizione pubblicamente.
Le vostre preoccupazioni coincidono con quelle dei genitori?
Alcuni genitori hanno interessi immediati. Coloro che hanno figli che vanno alle scuole dell'obbligo sono spesso preoccupati per il servizio che la scuola offre: temono cioè che venga meno il tempo pieno alle elementari e il tempo scuola alle medie. Poi ci sono altri genitori che hanno un atteggiamento più di tutela, di garanzia di una scuola democratica. Nelle superiori in diversi Istituti si è mantenuto una tradizione di partecipazione, molto intermittente è vero - non ci sono più coordinamenti - però resiste con genitori che partecipano e poi lasciano il testimone ai nuovi genitori, che hanno una loro elaborazione' In questo caso, le obiezioni che muovono alla riforma Moratti sono più culturali.
In tutto questo, gli studenti che ruolo hanno o che posizione hanno assunto?
I contatti con gli studenti sono recentissimi; è proprio cosa delle ultime due settimane. Anche loro hanno cominciato a raccogliere firme per l'appello. Ma i rapporti con loro sono più complessi, perché sono ancora più magmatici di noi. Gli studenti hanno una capacità di mobilitazione molto alta, ma limitata nel tempo. Hanno organizzazioni e coordinamenti poco stabili, senza una rete di terminali in ogni scuola, come invece è per gli insegnanti, grazie alle strutture sindacali. Le scuole superiori non sono collegate tutte tra di loro, non c'è molto scambio di materiali. Quello che ho notato è che a loro interessa particolarmente avere a disposizione del materiale scritto sulle riforme, il più possibile documentato, oggettivo. In questo senso si è creato un buon feeling, perché il nostro approccio è molto preciso, molto documentato, in modo da produrre testi inattaccabili. Come sappiamo, la Moratti reagisce alle critiche dicendo che sono tutte bugie, ma noi, nei documenti che elaboriamo, facciamo riferimento diretto ai diversi punti della legge.
Cosa contestate maggiormente?
Le faccio un paio di esempi. Innanzitutto: il doppio canale. Nel concreto significa ad esempio che gli istituti tecnici - periti, ragionieri, geometri - nella riforma sparirebbero, costringendo gli studenti e le loro famiglie a scegliere se iniziare un percorso che porta all'università, i licei, e dura dieci anni o frequentare un corso professionale triennale o quadriennale. Costringerebbe, in misura ben più drammatica di oggi, i ragazzini di 12-13 anni a scegliere il proprio destino di vita. Perché anche se è prevista teoricamente la possibilità nel caso si cambi idea di passare dal professionale ai licei, ciò non sarà possibile nella pratica, come nella pratica non accade già oggi, per la completa diversità dei due ordini di scuola.
Tutto il discorso intorno alla riforma è stato costruito partendo dal presupposto che la scuola in questi ultimi anni sia davvero rimasta ferma, ma non è così: ci sono state riforme che hanno migliorato la scuola. Per esempio, la riforma della scuola elementare; per esempio, il processo che mirava a rendere il più possibile omogenei i primi anni delle superiori; per esempio, l'obbligo scolastico, che viene riabbassato ai 14 anni, mentre la legge del centro-sinistra l'aveva aumentato a 15 nella prospettiva di arrivare a 16 anni. Sono anni molto delicati, questi, verso i quali non si hanno le dovute attenzioni. Il passaggio dalla terza media alla prima superiore è sempre drammatico; ci sono percentuali di bocciature che superano il 50%: è un problema. Le esperienze positive fatte dalle scuole non sono state minimamente prese in considerazione dal ministro, tant'è che i tagli agli organici colpiranno proprio esperienze innovative come quelle degli insegnanti distaccati su progetti di inserimento di bambini stranieri.
Mi par di capire che in discussione l'impianto generale della riforma'
Dietro a queste riforme c'è l'idea della scuola che boccia, della scuola che seleziona. Certo, questa è una mia interpretazione, ma un'interpretazione che si basa su alcuni fatti, su misure prese: ad esempio il taglio agli organici, 1200 in Lombardia già a settembre. Del resto questo è il modello culturale che trova espressione anche sui giornali. A fine anno, dopo gli esami di maturità ci sono sempre articoli in prima pagina che urlano al lassismo: "Scandalo! 95% di promossi". Ma questo è un risultato positivo. La scuola che boccia è una scuola che non funziona, è una scuola che viene meno al suo dovere. Perché non ci sono articoli in prima pagina sul fatto che in molte superiori più del 50% dei ragazzi viene bocciato? Quello è il problema; non il fatto che i superstiti vengono promossi' La bocciatura è una scelta che molti insegnanti vorrebbero evitare, ma alla quale vengono indotti da molteplici fattori. Le riforme della Moratti risolvono questo problema? Noi diciamo di no: tagliare gli organici e dunque tagliare il sostegno all'handicap, i progetti per l'inserimento degli stranieri e quelli contro la dispersione' va nella direzione esattamente opposta. Pensiamo ad un'altra conseguenza del taglio agli organici: l'accorpamento delle classi; sappiamo bene che in una classe numerosa, quasi automaticamente, l'insegnante deve pensare a mantenere la disciplina e non a insegnare, quindi cresce la frustrazione e anche la rabbia, diciamolo' Lo studente viene visto come nemico e l'insegnante entra nell'ottica della bocciatura, della scrematura. Le assicuro che anche l'insegnante più democratico, in situazioni di questo tipo, comincia a ragionare in quest'ottica. Ci vogliono invece delle misure che possano attutire i salti, i passaggi delicati: quello dalla quinta elementare alla prima media e quello dalla terza media alla prima superiore; ad esempio diminuendo il numero degli allievi per classe ovunque, ma soprattutto nelle prime classi delle medie e delle superiori.
Si discute molto oggi di modalità di insegnamento, Berlinguer con la sua riforma pensava ad una scuola che favorisce apprendimenti. Mi pare che la riforma Moratti abbandoni questa strada; mettete in discussione anche questo?
Si va ad un ritorno di fiamma del nozionismo. Questo è un aspetto che noi deduciamo da alcuni elementi precisi, dedudicibili dalla legge delega, anche se non scritti esplicitamente. Per esempio l'istituzione di un sistema nazionale di valutazione, congiuntamente alla riforma dell'esame di stato. Il vecchio esame spaventava gli studenti, ma si trattava davvero di un esame di stato: gli insegnanti circolavano sul territorio nazionale e con questo cresceva l'omogeneità culturale. Invece, oggi questi elementi di omogeneità vengono a cadere e l'esame perde di valore. Se in una scuola privata, la commissione è composta dagli stessi insegnanti pagati da quella scuola, che esame di stato è? Il rischio che si trasformi in una pagliacciata c'è. E per quel che riguarda la scuola pubblica, la domanda che gli studenti si fanno è: che differenza c'è tra questo nuovo esame e l'ultimo scrutinio?
In realtà, il vero esame di stato diverrà nei fatti il test a risposta guidata, omogeneo, questo sì, su tutto il territorio nazionale; test che sia in terza media, sia in quinta superiore accompagnerà l'attuale esame. Negli Stati Uniti la valutazione a test è la modalità corrente e infatti ci sono fior di manuali che insegnano a superare i quiz, un po' come oggi accade nelle nostre scuola-guida. Ci saranno, poi, alcune scuole che potranno vantare risultati nella capacità degli studenti di ricordare nozioni e superare i test e questo influirà direttamente sulla capacità ricettiva dell'istituto, sulla possibilità di fare nuove iscrizioni. Si creerà un meccanismo per cui ci sarà una rincorsa a far sì che i propri studenti accumulino nozioni e sappiano rispondere ai quiz. Quella dei quiz non è una novità della legge Moratti; se ne parlava anche con il precedente governo, ma l'aspetto preoccupante è l'abbinamento tra istituzione dei quiz e indebolimento dell'esame di stato.
Torniamo alla vostra iniziativa: le prospettive sono buone?
Sì, alla scadenza del termine che ci eravamo assegnati ci siamo trovati con 11.000 firme raccolte in tre settimane. Visto il risultato, abbiamo deciso di andare avanti, di estendere la raccolta ad altri genitori, studenti e ovviamente a quei docenti che non siamo riusciti a raggiungere finora.
Ma l'aspetto più importante secondo me è il fatto di essere riusciti a ricomporre la frattura che spaccava al suo interno il mondo della scuola. Ci sono state delle rotture drammatiche che hanno tagliato a metà la sinistra scolastica, non in senso partitico, durante i governi di centro-sinistra: la riforma dei cicli e il concorsone hanno davvero lacerato all'interno la classe degli insegnanti. Alcuni di noi sostenevano che la riforma Berlinguer fosse aziendalistica, autoritaria nei metodi, gerarchica. Stiamo riuscendo a ricomporre questa frattura semplicemente per aver constatato che la fase in cui ci troviamo è quella della "resistenza", per cui ciascuno di noi mantiene le stesse opinioni sul passato, ma il fronte si è unito contro la riforma della Moratti, nell'elaborare un documento comune contro l'attuale politica scolastica del governo. Non ci sono discussioni drammatiche al nostro interno, il ché, per gli insegnanti, è un bel progresso. Chi conosce la categoria sa di cosa parlo.
Non solo, ma siamo anche riusciti a riaprire il dialogo con studenti e genitori. Il fatto che si incontrino questi tre soggetti, che spesso nella scuola sono in contrasto tra loro, hanno esigenze contrapposte, è un terreno estremamente utile per ragionare sulla scuola così com'è oggi: una scuola che, certo, deve cambiare. Questa si sta rivelando un'occasione per ricominciare a discutere, superare le barriere che ci dividono, ricominciando un percorso di trasformazione del sistema.
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